L’Abate Faria e la Deriva LGBT di Avvenire. Giù le Mani dai Bambini.
30 Novembre 2020
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, la deriva omosessualista del quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire , si fa sempre più forte. Se ne è accorto anche l’abate Faria, la cui attenzione in genere è rivolta a temi di altra levatura. Che ci ha scritto questa riflessione, dopo l’ennesimo articolo gender-ammiccante di Avvenire e di Moia. Leggendo quello che scrive l’abate Faria, mi è venuto in mente solo un commento: giù le mani dai bambini. Fra di voi fate quello che vi pare e piace, ma giù le mani dai bambini.
§§§
Caro Tosatti,
dopo un riposo notturno una volta tanto sereno (merce rara, alla mia età) ed una ancor più confortante preghiera mattutina che preannunciava l’Avvento, quella che l’altroieri si prospettava come una bella giornata oltremodo rallegrata da un clima decisamente mite, è stata subito funestata dalla lettura dei quotidiani. O meglio, di un quotidiano in particolare, il già cattolico giornalino dei vescovi italiani.
Il quale pubblicava con tanto di richiamo in prima pagina un articolo del ben noto Luciano Moia, il cui titolo era già tutto un programma: “L’identità di genere a scuola: perché se ne può parlare”. A scanso di equivoci, visto che ci vedo sempre meno, ho pulito e ripulito le lenti dei miei occhiali e riletto il titolo. All’inizio ho pensato infatti ma no, hai letto male cecato che sei, sicuramente hanno scritto “perchè non se ne può parlare”, vedrai che è così. Invece avevo letto bene.
E ancora peggio mi sono sentito dopo essermi sorbito (a quel punto non potevo non leggere anche il resto) il contenuto. La cui sintesi è la seguente: siccome stando ad uno studio della Fondazione Toniolo una percentuale di ragazzi pari al 10,3% tra i maschi e al 4,6% tra le femmine si dichiara omosessuale, ecco che la Giornata nazionale contro l’omotransfobia prevista dalla legge Zan di recente approvata alla Camera, potrebbe rivelarsi un’occasione utile per affrontare anche a scuola un tema “ormai irrinunciabile”.
E il rischio, paventato da più parti, che la succitata iniziativa possa trasformarsi nel più classico dei cavalli di Troia per indottrinare i bambini secondo i canoni dell’ideologia gender? Niente paura, dice Moia. Il quale cita niente meno che lo stesso relatore della legge in questione, l’onorevole Zan (un po’ come se ai tempi del dibattito sull’aborto si fossero chieste rassicurazioni alla Bonino sulla legge 194/78), che in una lettera al direttore di Avvenire si è premurato di precisare che “«non si prevede in alcuna parte della legge l’introduzione di fantasmatiche “ore di gender”, né si espongono studentesse e studenti a chissà quali contenuti scabrosi. Si prevede semplicemente che, in occasione della Giornata nazionale contro l’omotransfobia, possano svolgersi nelle scuole iniziative dedicate a richiamare i valori del rispetto e del contrasto delle discriminazioni e della violenza motivate da orientamento sessuale e identità di genere»”.
Insomma nessun rischio o spauracchio da agitare, e anzi tutti obiettivi “in larga parte condivisibili“, chiosa Moia. Già. Peccato che lo stesso Zan, intervistato stavolta dal Foglio, abbia ammesso qual è il vero obiettivo della legge, ossia “instillare nelle persone un atteggiamento di prudenza”. Non credo ci voglia molto per capire che il rischio di indottrinamento e dell’instaurazione di un clima da stato di polizia/pulizia sia dietro l’angolo. Ma andiamo avanti. Nè vale la tesi – “non regge in alcun modo”, dice sicuro Moia – di coloro i quali sostengono che “non sarebbe corretto affrontare a scuola questi argomenti perché “divisivi” o addirittura imbarazzanti…I nostri ragazzi non solo ne parlano, cercano informazioni, si guardano dentro per capire e per capirsi, ma arrivano a definire come “normali” scelte che interrogano e, in molti casi, spiazzano noi adulti“.
Insomma non basta, sentenzia Moia, “ribadire come un mantra l’evidente suddivisione binaria della natura umana. Una parte dei nostri ragazzi vive anche “quelle” esperienze e ci chiede di non fingere indifferenza, di essere accolta e aiutata a capire“.
Fine della storia? Non ancora. Perchè anche così, si chiede Moia a mo’ di finto avvocato del diavolo, chi avrebbe “competenze e strumenti per farlo in modo coerente e sereno? E in questo modo non si aprirebbero le porte ai propugnatori della cosiddetta cultura gender?”.
E qui la risposta, caro Tosatti, è da standing ovation. Perché, vede, la realtà è complessa, e le cose non sono tutte bianche o tutte nere. Ci sono tanti altri colori, ma che dico, c’è un arcobaleno di colori. Su questo discorso del gender, ad esempio, senta cosa si risponde Moia alla domanda di prima: “Non tutti gli approfondimenti sulla questione del genere – come illustrato lo scorso anno dal documento della Congregazione per l’educazione cattolica, Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione – sono un cedimento alla cultura che, secondo la semplificazione corrente, vorrebbe appiattire la differenza sessuale nella logica di un’autodeterminazione senza limiti e senza barriere. Ma il documento vaticano spiega che è necessario fare una distinzione tra ideologia e studi sul gender”.
Ha capito? Un conto è l’ideologia gender, ossia un “pensiero unico che determina anche l’educazione dei bambini”, e in quanto tale da condannare (forse); altro sono gli studi sul gender, cioè quelle ricerche che “cercano di approfondire adeguatamente il modo in cui si vive nelle diverse culture la differenza sessuale tra uomo e donna”. Ora, in cosa consista esattamente questo approfondimento non è dato sapere. A noi risulta che gli esseri umani si ostinano a nascere chi col pisello chi con la vagina, e che non è che uno nato maschio poichè si percepisce femmina allora è femmina, e viceversa.
Altrimenti passa il principio che nulla è oggettivo, il che non è evidentemente accettabile, oltre che falso. Ma tornando alla distinzione tra ideologia e studi, il punto che Moia sottolinea è che “su questi aspetti, si ammette, ci sono alcuni elementi di ragionevole condivisione, come il rispetto di ogni persona nella sua peculiare e differente condizione, affinché nessuno, a causa delle proprie condizioni personali (disabilità, razza, religione, tendenze affettive, ecc.), possa diventare – scrivono gli esperti vaticani – oggetto di bullismo, violenze, insulti e discriminazioni ingiuste.
Che è poi quello che papa Francesco scrive in Amoris laetitia (n. 250). Che sono, poi, le intenzioni migliori della legge Zan.” Et voilà. Come nel gioco dell’oca siamo tornati al punto di partenza. Il punto è e resta l’educazione al rispetto, alla non discriminazione, al contrasto del bullismo, ecc. Ed ecco allora che “non è stravagante cogliere nell’articolo della legge che sollecita le scuole ad approfondire, insieme alla questione omofobia, gli indispensabili aspetti antropologici per comprenderne significati e relazioni, un’occasione per capire e accompagnare il cammino dei nostri figli più disorientati”.
E se qualcuno pensa, avverte Moia sempre nelle vesti di finto avvocato del diavolo, che un tale disorientamento “sia causato dalla persistente invasione del “gender””, stia ben attento a non sbagliare bersaglio, e si chieda piuttosto: “Non c’è una minima percentuale di responsabilità anche nel fatto che le famiglie, a loro volta confuse, hanno smesso di essere un riferimento educativo? E che nelle scuole e nelle altre agenzie educative sia così difficile organizzare progetti di educazione all’affettività e alla sessualità capaci di mescolare con saggezza la norma dell’ideale con l’umanità del bene possibile?“.
Ecco qua. Alla fine della fiera se oggi su una questione che più limpida e cristallina non si potrebbe quale l’identità sessuale, tra i giovani (e non solo, aggiungiamo noi) serpeggia confusione e disorientamento la colpa non è di una martellante campagna mediatica e legislativa portata avanti manu militari dalle lobby omosessualiste, no; la colpa manco a dirlo è delle famiglie, che “a loro volta confuse, hanno smesso di essere un riferimento educativo”, e della scuola, dove è tanto difficile educare all’affettività e alla sessualità sapendo “mescolare con saggezza la norma dell’ideale con l’umanità del bene possibile”. Giunti a questo punto, caro Tosatti, mi corre l’obbligo di fare un paio di considerazioni.
La prima è che questo articolo di Moia conferma, caso mai ce ne fosse bisogno, quanto avesse colto nel segno il compianto card. Caffarra quando disse che solo un cieco può non vedere la confusione che c’è oggi nella Chiesa. Basterebbe prendere la frase finale, con quel riferimento alla “norma dell’ideale” e all'”umanità del bene possibile”. Poche parole che dicono più e meglio di mille trattati come il nuovo corso ecclesiale, di cui Avvenire è specchio fedele, consideri il Vangelo e più in generale la morale cattolica nè più nè meno che un ideale, e in quanto tale un qualcosa a cui tendere ma che ultimamente è irraggiungibile; e come di conseguenza sia necessario fare i conti con “l’umanità del bene possibile”.
Come se la realtà fosse immodificabile, anzi peggio come se dovessimo semplicemente limitarci – per rispetto alla realtà concreta della persone – a prendere atto e a fare i conti con quella che è la situazione esistenziale di chi hai davanti. Alcuni ragazzi (e sottolineo “alcuni” stando ai numeri portati da Moia) dicono di essere omosessuali? E’ un fenomeno più che sufficiente e rappresenta “soprattutto per le famiglie un dato urgente su cui riflettere perché ripropone con la forza dei fatti, la questione dell’orientamento sessuale. Una questione “anche” educativa – oltre che esperienziale, ormonale, genetica, culturale, ecc. – che non può essere elusa né dai genitori, né dalla scuola”.
Capite? Con la forza dei fatti, non delle chiacchiere. E i fatti dicono che c’è una questione relativa all’orientamento sessuale dei giovani, la quale essendo “anche” educativa non può non essere affrontata dalle e nelle famiglie così come a scuola. Ora anche a voler tralasciare il non banale dettaglio che a) quegli stessi fatti che sembrano stare così a cuore a Moia, stanno lì a dimostrare che anche solo parlare di “orientamento sessuale” è fuorviante posto che, non ci stancheremo di ripeterlo, per la Chiesa vale il dettato biblico secondo cui “maschio e femmina li creò”, e b) che ovunque è stata praticata, l’educazione sessuale nelle scuole si è risolta in tentativi più o meno (mal)celati di indottrinamento ideologico gender-oriented, di cui sono preclaro esempio le linee guida a suo tempo emanate dalla sezione europea dell’OMS con il documento “Standard per l’educazione sessuale in Europa” (facilmente reperibile sul web), motivo per cui è assolutamente sconsigliabile che di un argomento così delicato se ne occupi la scuola, il punto è che anche quando Moia fa riferimento alle famiglie – e giustamente, essendo i genitori i primi educatori dei figli, non lo Stato – tutto sembra risolversi nel fatto che bisogna ascoltare, comprendere, dialogare con chi “vive anche “quelle” esperienze e ci chiede di non fingere indifferenza, di essere accolta e aiutata a capire”.
E Cristo? Che posto ha in tutto ciò Gesù Cristo? Che posto ha in tutto ciò l’annuncio del Vangelo? Che posto ha in tutto ciò l’irrinunciabile diritto che tutti gli uomini, gay compresi, hanno di conoscere la Verità e di essere salvati? E visto che ci siamo, che posto ha in tutto ciò Avvenire? Già perché poi l’altra cosa su cui volevo dire due parole, caro Tosatti, riguarda il giornale della Cei. Giornale che su questa vicenda del Dl Zan, sarà bene ricordarlo, dopo il duro comunicato stampa della Cei del 10 giugno scorso, prima ha martellato per settimane nel tentativo di mettere una toppa e salvare capra e cavoli, poi quando si sono resi conto dove il Dl Zan voleva realmente andare a parare, ecco il dietrofront, suggellato da un articolo di Francesco Ognibene del 10 novembre scorso il cui solo incipit non lasciava scampo a equivoci o fraintendimenti: “Ci siamo sbagliati. La ‘legge Zan’ approvata ieri in prima lettura alla Camera non è solo superflua, anche se in parte originariamente benintenzionata: è soprattutto una legge presuntuosa e rischiosa. L’intendimento di combattere i pregiudizi che penalizzano persone omosessuali e transessuali sottoposte a ingiuste discriminazioni ha ceduto il passo in corso d’opera, come si temeva, all’affermazione di un disegno teso a rimodulare fondamenti consolidati della nostra società e persino ridefinire la natura umana”. Io stesso, lo confesso, mi sorpresi non poco e mi rallegrai, anche, nel vedere che finalmente anche Avvenire si era accorto di ciò che era sotto gli occhi di tutti fin dall’inizio (con l’aggravante che c’era pure il precedente del disegno di legge Scalfarotto, non a caso ripescato e confluito nel testo di cui sta parlando).
Ma ecco a distanza di poco più di due settimane l’ennesima giravolta, un nuovo un cambio di rotta, quasi a voler “riparare” per aver ecceduto nelle critiche nei confronti di una iniziativa che come tutti sanno sta molto a cuore non solo alla galassia gay, ma a tutto intero il governo. Ma a questo punto, è lecito supporlo, forse anche a qualcun altro, magari nella Chiesa stessa? Da qui la domanda, caro Tosatti: a che gioco sta giocando Avvenire? Anzi, per dirla fuori dai denti, a chi risponde realmente Avvenire? Perchè dopo un articolo del genere, ultimo arrivato (ma non ultimo) all’interno di un ben preciso percorso, delle due l’una: o i vescovi sono d’accordo con la linea che il loro giornale sta tenendo (dando per scontato, come per altro è stato più volte ribadito dal diretto interessato, l’appoggio del direttore Tarquinio a Moia) sulla questione dell’omosessualità, in generale, e in subordine sulla vicenda del Dl Zan, e allora converrà che ci spieghino come mai; oppure non sono d’accordo, nel qual caso sarebbe opportuno un segnale fermo e chiaro. Altrimenti si rischia solo di aggiungere confusione a confusione. E non va bene.
Abate Faria
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Tag: avvenire, Faria, gender, lgbt, moia, zan
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No, no non c’e alcuna confusione questi vogliono proprio andare in quella direzione , pero’ non possono farlo apertamente per cui fanno come i politici, piano piano cercano di abituare le persone contando sul cambio generazionale.
Ha ragione il Sig. Nippo , aggiungo questi sono pure peggio .
Scrive l’Abate Faria: “passa il principio che nulla è oggettivo”.
No, no! Il principio è già passato a partire dal marzo 2013. E sul relativismo al potere nella Chiesa ha posto il sigillo il suo più autorevole esponente: il papa, quando ha spalancato le porte alle unioni omosessuali prendendo in giro tutto l’orbe terracqueo e affermando per interposta persona (ad esempio Spadaro) che le sue (del papa) dichiarazioni non si riferiscono al matrimonio, che resta tra uomo e donna.
Circa poi la domanda “a chi risponde realmente Avvenire?”, penso che sia una domanda retorica. Infatti sappiamo tutti come funziona: quando papa e cei sono d’accordo, Avvenire risponde alla cei; quando papa e cei sono in disaccordo, Avvenire risponde al papa. Diamine, Tarquinio e soci tengono famiglia e Cechino, se fanno le bizze li spedisce tutti a casa.
Bene farebbero a tenere a mente legislatori e pedagogisti soprattutto – e particolarmente quelli che si professano di area cattolica – con il seguito di replicanti di proposte e teorie innovative in materia di programmi scolastici, il modello educativo da prediligere individuato dal Maestro nell’innocenza e semplicità dei piccoli.
«In verità vi dico: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli…
Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare». (Mt, 3-4,6)
Il monito, interpretato in riferimento a chi conserva una fede “bambina” in Lui, non altera il senso dell’invito a diventare “piccoli”, o a restare tali, senza abbandonarsi a manie di superiorità intellettuale e di grandezza.
«Ognuno sa, sebbene oscuramente e con timore, che dovunque Dio muore nella coscienza della persona umana, lì segue inevitabilmente la morte dell’uomo, ch’è immagine di Dio». Dal messaggio di Giovanni Paolo II per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace. 1985.
Cara Maria Michela,
dobbiamo prendere atto che ciò che per il Vangelo è uno scandalo, per i corrotti e corruttori è un bene, un progresso, una liberazione dai pregiudizi, e che queste schiere di morti viventi, ripieni di putridume, sono in aumento.
Niente va bene, caro abate Faria, quando l’aria dalle parti in cui un tempo si volgeva lo sguardo come ad un faro, diventa ogni giorno sempre più mefitica. Capriole, contorsionismi, giravolte, ridicoli, anzi vomitevoli giri di parole sono lì a dimostrare che di questa gente è meglio tenersi alla larga e che purtroppo Cristo e il Suo Vangelo sono sempre più indifesi, se non addirittura ignorati. La falsa chiesa e tutti i suoi accoliti si è messa a passeggiare senza vergogna lungo i peggiori marciapiedi del mondo.
A chi non ha ancora perso la testa e con essa la fede, conceda il Signore, col soccorso della Sua Madre Santissima, di restare saldo nella verità.
Anche Avvenire ha quindi le sue correnti ? Chi pro, chi contro il gender ? Qualche arcivescovo che ora oserà commentare quanto scritto ? Oppure qualche romano che oserà esibire in San Pietro uno striscione “non gender nelle scuole” per richiamare il Papa ? Oserei dire che la confusione nella Chiesa è totale…. e da cattolico questa situazione mi rattrista notevolmente..
E’ urgente organizzarsi per creare scuole parentali, prima che sia troppo tardi e sovvenzionarle con fondi privati alla guisa come si è fatto per tanti anni con l’università Cattolica del Sacro Cuore. Già la scuola cattolica è stata messa alle strette e pretendono di obbligarla al gender, e poi hanno inflitto tante oneri e tasse da rendere difficile continuare. Il Covid ha completato il complotto contro la scuola cattolica ordito dalla massoneria e dalla sinistra-M5s.
È difficile commentare questi avvenimenti senza sentire un urto di nausea. Ormai siamo arrivati nella (ex)Chiesa di Roma a un livello di confusione che può essere solo opera del diavolo, che, essendo “bugiardo e padre di menzogna”, fa vedere il male come bene e viceversa.
Le famiglie una volta avevano nella Chiesa il sicuro presidio per l’educazione dei propri figli, tant’è che molti, anche non cattolici dichiarati, sceglievano di mandare i figli nelle scuole private, che nella stragrande maggioranza erano gestite da enti religiosi. Né si pensi che era una scelta solo per ricchi. Molte famiglie affrontavano duri sacrifici per garantire ai figli una sana educazione morale e peraltro in molte scuole private si costituivano “fondi” appositi per favorire le iscrizioni anche di ragazzi di famiglie non abbienti.
Del resto, con gli input che arrivano da Santa Marta, cosa si può sperare da Avvenire?
È necessario che i genitori che davvero hanno a cuore l’educazione e la crescita sana dei figli si organizzino per costituire le scuole parentali. In Italia ce ne sono già tante. Sono in regola con la legge e sottraggono i loro figli alle unghie del demonio. Non credo assolutamente di esagerare.
In passato studiai a fondo la civiltà pellirossa, soprattutto quella delle famiglie indiane delle “Grandi Pianure”. Molte famiglie e tribù non erano affatto bellicose e cercavano un modus vivendi con l’invasore bianco, dimostrando spesso grande pazienza e sopportazione. Ma c’era un modo sicuro per essere uccisi da un pellirossa: toccare i bambini. In quel caso, non c’era scampo, si veniva ammazzati. Punto e basta.
Dott. Deotto, in Francia Macron ha vietato, o vuole farlo, non ricordo esattamente, le scuole parentali.
In Italia ubbidiranno, purtroppo, alle stesse direttive dei lorsignori e la neochiesa ci intimera`di ubbidire a Cesare per non creare divisioni: si deve dialogare misericordiosamente con satana e suoi idolatri.
Non ci restano che preghiera e sacrificio, magari organizzate comunitariamente come ha fatto Costanza Miriano col Sacro Manto pregato in questo mese di novembre, o come fa regolarmente Radio Maria.
La ringrazio per i suoi articoli.
Avvenire = Charlie Hebdo.