Imperium e Katechon nella Chiesa. Una Riflessione sui Tempi Attuali.
24 Novembre 2020
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, riceviamo e ben volentieri pubblichiamo questo studio preparato a cura del Sodalitium Equitum e che ha come tema l’Imperium e il Katechon. Due argomenti quanto mai di attualità nei tempi che stiamo vivendo. Buona lettura.
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Imperium e Katechon
(A cura del: Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis)
Il veloce precipitare degli odierni eventi “storici” che stanno coinvolgendo tanto la Chiesa Cattolica quanto la sfera politico-sociale mondiale, e di cui noi siamo testimoni come Christi fideles, risulta altresì proporzionato ad un palpabile senso di sempre più diffusa impotenza.
Le grida di smarrimento elevate tramite pubbliche denunce, petizioni, appelli, manifestazioni e quant’altro, si rivelano infatti insufficienti a fermare quella spirale di confusione che, come si paventa, si è innescata in maniera ormai irreversibile sia in ambito clericale che laico; a tal punto che la particolare gravità delle situazioni in atto è da più parti letta come sintomatica di un passaggio epocale dalle forti connotazioni escatologiche.
Se ciò non vuol significare la certezza della imminente Parousia – non è dato a noi, infatti, il poterne prevedere i tempi né tantomeno stabilirli[1] – si può tuttavia a ragione presumere che la presente contingenza “storica” stia costituendo, tanto per la fede cattolica nelle sue componenti laiche e clericali quanto per l’intera umanità stessa, una prova che in ogni caso influenzerà profondamente gli aspetti e le direzioni ontologiche che ne caratterizzeranno l’immediato futuro.
Fatta salva l’imponderabilità del Mistero messianico e dei tempi che ci separano dal pieno compimento del Regnum Christi sulla terra, sappiamo tuttavia che la nostra attesa non deve essere inoperosa, in quanto a noi è dato di poter perlomeno “affrettare la venuta del giorno di Dio”[2].
In siffatto frangente, come in altre occasioni già da noi riaffermato[3], la nostra convinzione rimane una volta di più che un ruolo determinante possa e debba essere svolto dal ripristino nella “storia” (come Sacrum Imperium) di quella funzione archetipica e “metastorica” della Regalitas, la quale oggi, purtroppo, non risulta più esser parte integrante dell’Ecclesia Christi. Tale esigenza risulta motivata dal semplice fatto che essa Regalitas, seppur secondo differenziati livelli ontologici, collabora effettivamente col Sacerdotium nel compito di condurre l’umanità alla salvezza.
Volendo meglio spiegarci, possiamo dire che in quanto l’ufficio della Regalitas è quello di amministrare la Iustitia, ebbene esso mira dunque a combattere la terrena cupiditas umana divenendo rimedio contro l’infirmitas peccati, per così permettere all’uomo di rinnovare e riconsolidare la propria “giustificazione” divina ricevuta col Battesimo.
Tutto ciò viene peraltro già chiaramente espresso dalla teologia paolina, secondo cui la divina Giustizia di Dio – della cui azione, come dicevamo appunto, la Regalitas ne è “inter-mediatrice” in ambito temporale[4] – non possiede un carattere statico bensì dinamico; l’effetto di questa azione si riversa sull’uomo, che viene in tal modo “giustificato”, rinnovato dall’agire di Dio[5]. E poiché la Iustitia è per S. Paolo concetto opposto al peccato[6], ecco che essere sottomesso alla Iustitia implica essere contestualmente libero dal peccato.
Per tutto il pensiero teologico-politico medievale (a partire dalla speculazione agostiniana del De Civitate Dei fino agli inizi del XIV sec.) l’Imperium ed il relativo esercizio della Iustitia (la quale deve propriamente intendersi quale la virtù che “attribuisce a ciascuno il suo”) non presumono altro che la possibilità di “condurre le cose al proprio fine”: il che, in merito all’uomo, in sintesi significa “ottenere la sua salvezza eterna”.
In altre parole, l’uomo viene reintrodotto nello stato di purezza edenica, ossia in uno stato ontologico che è appunto di equivalenza a quello posseduto nel Paradiso Terrestre: ed è proprio a questo stato che pare alludere il Signore allorché dice: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”[7].
Da parte sua, il suddetto recupero ontologico di quell’integrità e di quell’ordine primordiali un tempo persi per colpa del peccato originale, rimane propedeutico al raggiungimento escatologico della Gerusalemme Celeste, di cui è invece responsabile la funzione svolta dal Sacerdotium.
E’ bene ribadire che la Regalitas è archetipo divino che riconosce la propria identità di funzione nel Cristo Signore in quanto Rex et Sacerdos secondo l’Ordine di Melchisedec[8], nome che significa “Re di Giustizia”. Questi è peraltro altresì definito come “Re di Salem” ovvero “di Pace”, mostrando con ciò la propria piena e completa prerogativa regale, prima ancora che sacerdotale.
Il sommo Sacerdozio che Gesù esercita, è differente da quello della “sacerdotale” tribù di Levi, essendo Egli oltretutto effettivamente virgulto della “regale” tribù di Giuda[9]. In altre parole, il Sacerdotium cristiano raggiunge la propria perfezione, anche e soprattutto, nel fatto che Melchisedec è propriamente Re[10].
Tutto ciò per dire che in Cristo, ossia a livello principiale, il Sacerdotium, in quanto dignità propria di Colui che offre il sacrificium, coincide ontologicamente con la Regalitas, che è nella fattispecie la dignità di Colui che sta offrendo Sé stesso in oblazione sacrificale. La perfezione di tale “sacerdotale” sacrificium è ottenuta e garantita, dunque, per la santità e per l’innocenza senza macchia di Colui che lo è andato ad offrire: Cristo in quanto Rex. E ciò non può non mantenere la sua fondamentale incidenza.
Va ancora osservato che se da una parte in Eb 9,27-28[11] si sottolinea quanto l’efficacia del sacrificium del Signore comporti che il Suo ritorno, la Parousia, coincida col Giudizio Finale, d’altra parte, in Ap 19,11-16, ci viene confermato che tale Sua seconda venuta avverrà nell’aspetto e funzione di «Re dei Re […] giudicando e combattendo con giustizia». La Regalitas di Cristo, Signore e Giudice, rimane pertanto intimamente pregna di una valenza escatologica che la rende una funzione che non ha ancora, per così dire, esaurito definitivamente il proprio esercizio; e ciò differentemente dal Suo Sacerdotium, il quale risulta invece già espletato una volta per sempre in virtù del carattere eterno del Suo sacrificium[12]; tant’è che nella Celeste Gerusalemme, come è scritto, non vi sarà più bisogno di “alcun Tempio”[13].
E’ dunque un fatto, in definitiva, che sia proprio la funzione archetipica e metastorica della Regalitas, che storicamente si è incarnata nel Sacrum Romanum Imperium, a rivestire una particolarissima significatività all’interno del mistero escatologico. Ed è in tutto tale contesto, allora, che viene senz’altro ad inserirsi anche la figura del Katechon.
Riprendendo il passo paolino di 2Ts 2,3-7, notoriamente caposaldo di tutte le argomentazioni escatologiche, leggiamo: «Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia (ἀποστασία) e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione (τῆς ἀπωλείας), colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce (τὸ κατέχον) la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità (τῆς ἀνομίας) è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo (ἐκ μέσου) chi finora lo trattiene (ὁ κατέχων)».
Nel corso del tempo, innumerevoli e varie sono state le proposte esegetiche volte ad interpretare tale enigmatico passo, nonché a comprendere, in special modo, a chi e a che cosa debba venir riferito quel termine Katechon. Tuttavia, tra di esse, spesso ci si dimentica che la spiegazione tradizionalmente più accolta da tutti i Padri, Latini e Greci, è stata certamente quella secondo cui τὸ κατέχον indica una forza, un potere: l’ “Impero Romano”; la qual cosa si concretizza allo stesso tempo in una persona: ὁ κατέχων, l’“Imperatore”.
Mentre S. Leone Magno[14] e S. Tommaso[15] proclamavano la “sacralità” di Roma, da parte loro Tertulliano[16], Giovanni Crisostomo[17], Giovanni Damasceno[18], Lattanzio[19], S. Cirillo Gerosolomitano[20], S. Girolamo[21], S. Ambrogio[22], S. Agostino[23], S. Beda il Venerabile[24] (e molti altri) tutti concordavano nell’indicare l’Impero Romano come “ciò che impedisce, trattiene, frena, contiene, regge” il manifestarsi dell’anticristo. Ebbene, alla luce di ciò, rimane allora indubitabile come sia il Sacrum Romanum Imperium a dover essere riconosciuto quale Katechon nella sua più propria identità ontologica, avendo esso raccolto, appunto, la sostanziale eredità dell’antico Imperiumlatino, dopo averlo cristianizzato.
Oltre a ciò, il fatto che tale funzione risulti di effettiva quanto esclusiva pertinenza della Potestas Regale lo attesta chiaramente la natura di ciò a cui essa funzione si oppone: intendiamo quel “mistero di iniquità” a cui si allude nel passo succitato della Seconda Lettera ai Tessalonicesi. Il testo greco rende infatti il significato di “iniquità” con ανομια, come abbiamo già visto; ma pure con αδικια, come compare in un successivo versetto del medesimo capitolo[25]. Orbene, se il primo termine (anomia) traduce letteralmente “senza legge”, il secondo (adikia) significa “senza giustizia, senza equità”.
L’iniquitas di cui in questione, la “mancanza di equità”, si costituisce pertanto come l’esatta inversione dell’Imperium, la cui peculiare prerogativa è appunto quella di emanare la Lex ed amministrare l’equità della Iustitia. La funzione Regale, in analogia con la sapienziale funzione ordinatrice del Creatore, è in definitiva quanto concorre al mantenimento dell’ordinata ed equilibrata (equa) disposizione del Mondo. Il suo venir meno al proprio ruolo di “medianità equale” tra il temporale e lo spirituale dell’uomo (laddove il Sacerdotium media tra la parte spirituale dell’uomo e Dio), il suo esser “tolto dal mezzo”, l’esser “allontanato” (apostasìa) dalla propria posizione “mediatrice” quale re-medium contro l’infirmitas peccati[26], tutto questo è ciò che causa la venuta del “figlio della perdizione”: l’anticristo. Questi è “figlio” proprio in quanto conseguenza dell’“abolizione” dell’Impero (infatti, il termine che traduce ‘perdizione’, ἀπωλεία, deriva dal verbo ἀπόλλῦμι, che non a caso è a sua volta in relazione con il lat. aboleo, “abolire”); esso è quindi l’esito della distruzione e della perdita dell’ordinamento: il che è a sua volta causa di rovina, in quanto caduta al di fuori da quel rectum stabilito dal Celeste Rex (lett.: “colui il cui compito è regere”) e che deve poi essere amministrato dal Rex terreno.
In definitiva, l’apostasìa (dal verbo gr. ἀφίστημι, “allontanare, disgiungere, rimuovere, far sparire”) che si dice debba di necessità precedere la venuta dell’anticristo, significa per l’appunto l’“allontanamento”, la sparizione dell’Imperiumdalla sua funzione di Katechon.
Alcune riflessioni finali.
Nell’imminenza di una “svolta” escatologica, a cui la presente contingenza storica sembrerebbe condurci, accogliamo con favore e soddisfazione la recente rinnovata attenzione operata da più parti attorno alla figura del Katechon: attenzione che appare indubbiamente quanto mai attuale e necessaria.
Tuttavia, soprattutto alla luce di quanto sopra delineato, andrebbero fatte altresì alcune precisazioni. Assodato che la funzione “katechetica” rimane di pertinenza della componente “temporale” dell’Ecclesia, allo stato attuale non pare esserci alcuna realtà politico-sociale che possa assolvere a tale ruolo svolgendo le veci della Regalitas Imperiale; e ciò fondamentalmente per due ragioni che attengono rispettivamente al “chi” ed al “che cosa”.
La prima è che la persona atta a svolgere tale funzione non può che essere un “consacrato”, un individuo cioè che abbia ricevuto dal Sacerdotium quel riconoscimento sacramentale che avalli il possesso da parte sua del carisma regale[27].
La seconda è che l’Istituto deputato a svolgere la suddetta funzione “temporale” non può venir confuso con una qualunque semplice Monarchia; né tantomeno con una qualunque altra forma di governo tra quelle oggi attuate, stante l’abiura dello ius naturale da esse perpetrata, il che le rende in verità ontologicamente illegittime.
L’Imperium, almeno fino al momento storico in cui esso ha mantenuto sino in fondo la purezza del proprio statusontologico, si è difatti sempre distinto per rappresentare un “potere sovranazionale”. La sua essenza gerarchica, dottrinalmente delineata in maniera tale che l’Imperatore si pone sulla terra secondo un’analogica immagine di quel che Dio è per l’Universo, si riferisce insomma alla reductio multitudinis ad unitatem, ad un’unità “universale” che trascende, senza pur tuttavia annullare, la pluralità.
Proprio alla luce dell’odierna totale disgregazione in atto tanto in ambito politico-sociale quanto ecclesiale, risulta opportuno ricordare che tale concezione “unitaria, sintetica e universale”, propria della Regalitas Imperiale, prima ancora di costituire un’aspirazione materiale e storica si presenta piuttosto quale un metastorico Principio d’Ordine, rivestito di una natura e di una necessità spirituali. Essa è difatti l’unico Istituto a poter contrastare il ribaltamento e la sovversione che si intende operare allorché si tenta di “contraffare” l’Universalità col globalismo, che è come dire la qualità con la quantità; operazione, questa, che è sintomatica del tentativo di instaurazione del “nuovo ordine mondiale”.
La renovatio Imperii è dunque un obiettivo che andrebbe perseguito, “a prescindere” dalla sua, apparentemente improbabile, imminente realistica attuabilità.
L’individuo non può incidere sui Principi “metastorici” influenzandone la manifestazione storica, ma può comunque liberamente scegliere se “storicamente” aderirvi o meno: nella fattispecie, egli può aderire o meno alla realtà del Katechon.
Così facendo, se certamente egli non allontanerà l’anticristo, la cui venuta nel tempo storico rimane escatologicamente inevitabile, nondimeno “affretterà” la venuta del Tempo metastorico del Regno di Cristo ed il compimento della Giustizia. E testimoniando in tal modo la propria “purezza”, il proprio essere “giusto” e “conforme”, egli sarà “giustificato”: ossia “pronto” per essere “ricapitolato nel Cristo Giudice”.
Ai Christi fideles spetta oggi dunque il dovere di porsi dalla parte del Katechon, rendendosi disponibili a conformarsi con la provvidenzialità metastorica. Viceversa, se decidessero di rinunciarvi, sceglierebbero di sottostare fatalisticamente al corso della storia e dell’anticristo, ponendosi nella schiera di coloro i quali saranno condannati perché «…non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità (αδικια)» (2 Ts, 2,12).
“O SS. Vergine Maria, rinunciamo a noi stessi per donarci a Te, nostra cara Madre”
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Il Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis (Sodalizio Cavalleresco di Maria Soccorso dei Bisognosi), che ha curato quest’articolo, è una Fratrìa costituita da Cavalieri investiti sacramentalmente secondo il rituale contenuto nel Pontificale Romano di S.S. Papa Pio V, tramite investitura originale compiuta da un Vescovo della S. Chiesa Cattolica. Scopo del Sodalizio è quello di “combattere la buona battaglia” in maniera esemplare, a difesa della S. Chiesa Cattolica, della Sua Santa Fede e di tutti i bisognosi ed oppressi, per mezzo delle caritatevoli armi della preghiera, dell’azione e della cultura di Verità.
Essendo la Cavalleria, come via di milizia, strettamente legata alla funzione Regale, uno dei propositi di tale Sodalizio – a livello di battaglia culturale – è propriamente quello di conservare, custodire e, nella misura del possibile, trasmettere la conoscenza dell’importanza della Regalità Sacra in un mondo cattolico che purtroppo l’ha evidentemente smarrita. A tal proposito, ci sia concesso di annunciare la pubblicazione, entro l’inizio del prossimo anno, di un nostro libro contenente una serie di saggi, appunto, sull’argomento della Regalitas.
Per informazioni: www.reginaequitum.it
Per comunicazioni: reginaequitum@gmail.com
***
[3] Cfr. “La perdita della Regalità”, in https://www.maurizioblondet.it/la-perdita-della-regalita-come-causa-della-mondanizzazione-del-corpo-ecclesiale/ (23.08.20);
“La Chiesa vedova”, in https://www.marcotosatti.com/2020/09/02/la-chiesa-vedova-perdita-di-regalita-clero-mondanizzato/ (02.09.20);
idem in https://www.ilpensierocattolico.it/index.php?/entry/321-la-chiesa-%E2%80%9Cvedova%E2%80%9D-la-perdita-della-regalitas-come-causa-della-mondanizzazione-del-corpo-ecclesiale/ (28.09.20).
[4] «Chi si oppone all’Autorità resiste all’ordine stabilito da Dio…Essa è infatti ministra di Dio per il tuo bene…non per nulla essa porta la spada: è infatti ministra di Dio, esecutrice di giustizia contro chi fa il male» (Rm 13,2.4).
[5] «…per manifestare la Sua Giustizia nel tempo presente, in modo da mostrarsi Giusto Lui, e giustificare chi ha fede in Gesù» (Rm 3,26).
[6] «Quale relazione può esserci tra la Giustizia e l’iniquità?» (2Cor 6,14).
[8] Cfr. Sal CIX,4; Eb 7,1-3; Gen 14,18-20.
[10] Non è privo della sua significatività che il Signore Gesù, al momento della propria epiphaneia, riceva l’omaggio di quei Magi che la Tradizione, non a caso, ricordi come anch’essi Re.
[11] «E come è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola e dopo la morte venga il Giudizio, così pure Cristo si è immolato una volta sola per togliere i peccati di molti, e comparirà una seconda volta, senza peccato, per quelli che l’aspettano, per dar loro la salvezza» (Eb 9,27-28).
[12] Cfr. Eb 9,24-28; 10,11-14.
[14] S. LEONE MAGNO, Sermo I in natali Apostolorum.
[15] S. TOMMASO, In 2.am ad Thessalonicenses, c. II, lect. 1.
[16] TERTULLIANO, Apologeticum, XXXII, 1.
[17] S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Homilia IV in II ad Thessalonicenses, coll. 485-486.
[18] S. GIOVANNI DAMASCENO, La seconda ai Tessalonicesi, col. 923.
[19] LATTANZIO, Divinae institutiones, XXV, coll. 812-813.
[20] S. CIRILLO GEROSOLOMITANO, Katechesis XV, 12.
[21] S.GIROLAMO, Ad Algasia, 11.
[22] S. AMBROGIO, In Epistolam Beati Pauli ad Thessalonicenses secundam.
[23] S. AGOSTINO, De Civitate Dei, XX, 19, 3.
[24] S. BEDA IL VENERABILE, Expositio ad Thessalonicenses II.
[25] E’ significativo che, nel versetto qui menzionato, l’“iniquità” intesa come “mancanza di giustizia” venga posta in relazione con la mancanza di “verità”: «…e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità» (2Ts 2,12).
[26] E’ sintomatica l’ambivalenza del termine remedium, in cui compare sia il riferimento al verbo medeor, “medicare, sanare”, che all’aggettivo medium, che indica “ciò che sta in mezzo, al centro”.
[27] Abbiamo già in più occasioni ribadito, ma è bene ricordarlo, che la dignità regale è munus direttamente elargito da Dio, come affermato in diversi luoghi della Scrittura: cfr. Rm 13,1; Prov 8,15; Sap 6,1-3; Zc 4,1-14. Non è dunque competenza del Sacerdotium trasmetterla, perché tale dignità non gli appartiene. E’ necessario però che la Regalitas venga riconosciuta, avallata, legittimata, consacrata dal Sacerdotium.
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Tag: imperium, katechon, sodalitium
Categoria: Generale
Rispondo e grazie dell’attenzione.
Mi rendo conto di scrivere male come mi rendo conto della mia pochezza, ma mai ho affermato che teoria e prassi non andassero a braccietto, come se l’ortodossia non fosse anche ortoprassi…questo è slogan di ben altre fazioni che fazioni rimangono nonostante la patina che si danno.
Io ho giust’appunto negato il principio su cui si basa la pretesa politica sul Cristo, ho denunciato che la Quas Primas inventa una festa antitradizionale per motivi congiunturali ed astratti di dubbia provenienza. Ho negato che nostro Signore sia sovrano in questo mondo, che invece verrà a giudicare.
Ho ribaditato che la credenza fallace di un potere politico gestente il mondo NON SIA già di per sè in mano al regno di sacerdoti che è la santa Chiesa nel battesimo nel nome del DIO Unico Uno tripersonale, Chiesa che appunto non è del mondo.
La Chiesa è già e non ancora il Regnum, a fortiori perché romana nella fusione delle cariche civili-religiose che i concili sancirono. Tale subordinazione collima del tutto con la figura del Rex supremo, il Verbo incarnato Gesù DIO.
La teantropicità della Chiesa stessa non può permettere l’esistenza del categoriale profano, ed in forza dell’unione ipostatica ogni atto umano , nella Grazia di DIO, è volgente allo spirituale, anche sul piano civile.
Ho già fatto presente che porre il confronto tra gerarchia e poteri civili non può correlarsi con i riferimenti comuni degli stolti, ossia quelli che cianciano della dicotomia sacerdotium-regnum oppure chiesa-impero. Comprenderà che la dicotomia posta in essere è del tutto fuorviante. Parlare così è dar adito all’esoterismo, parlare così è dichiararsi inintelligibili e contraddire la Rivelazione.
Compreso che il temporale, di per sè stesso, è per definizione l’azione umana in questa vita, si vedrà bene che nessun papa ( sovente ritenuto il massimo gerarca ) ne è al di fuori.
L’inintelligibilità consiste appunto in questo, nel mischiare il categoriale profano col temporale, come se quest’ultimo per i battezzati ammettesse le ombre della mondanità.
Il temporale di questa vita è sottomesso a DIO ergo allo spirituale per definizione. Ma oltre la dicotomia di per se stessa insussistente, il discorso riprendendo Bonifacio VIII è solo nella subordinazione del laico ( o del chierico ) al gerarca, insignito di regalitas, il riconoscimento dunque di un ambito civile di azione che non interprelli direttamente il gerarca ma di cui rimane supervisore ( come il nome di episcopo richiede ).
Non che io abbia una risposta a tutte le questioni, non che io abbia risolto discrepanze o possa esser in grado di decifrar certi sviluppi e la storia.
Ora Partimmo dalla stirpe sacrale dei benedetti ( non sempre primogeniti) di Set, per giungere alla Fede di Abramo ed al patto del Sinai. Davide fu scelto perché secondo il cuore di DIO, e da lui venne nostro Signore. Comprenderà che la nostra Fede è evoluzionistica ( non me ne voglia l’azzardo ) e compiuta e fatta crescere da DIO per Sè stess e per il riscatto di noi tutti.
Se tale apice fu dunque nella Regalitas, da cui tutti gli stolti pagani nella loro reminescenza adducevano al proprio re prerogative divine, vuol dirmi che io mi sono contraddetto? Lei semplicemente non mi ha capito e Melkitsedeq conferma quel che scrivo: il Rex precede il sacerdozio perché ha un sacerdozio che gli è connaturato e superiore, e lei crede che neghi Bonifacio VIII? Egli stesso nel suo magisterio conferma la realtà: il laico è sottoposto al sacerdote e tutti insieme lo sono al Gerarca, che difatti è il Cristo, Capo invisibile della Chiesa.
Perché cita Sadoc?
Io non sò cosa possa rappresentare il kathecon ma se crede che gli imperi od i regni cristiani abbiano portato avanti il diritto naturale si sbaglia, ne allude lei stesso. Le eresie di monarchi e imperatori dovrebbero farla rinsavire e lei stesso lo fa presente con Teodosio, ma se vuol tirarmi in questo discorso, io ammetto di avere solo opinioni, la mia essendo che il kathecon sia la romanitas ierarchica stessa, ossia la gerarchia ecclesiale, che da secoli sta picconando se stessa ( gli pseudo tradizionalisti invece parlano solo dal vaticano II in poi ).
La storia parla da sè indipendentemente dai liberali.
Se io affermo che la festa di Cristo Re è degradante DIO stesso, innovativa , scissa dalla sua vita illustrissima e santa su questa terra determinando una cognizione astratta del suo Regno strumentalizzato politicamente ( visto il periodo storico in cui fu indetta ) lei mi accusa di questa palesità riportando testi vecchi ed astrusi? Apra gli occhi e ricordi a sè stesso che non esiste solo l’ortodossia ma anche l’ortoprassi ed il vivere una pia liturgia degna di questo nome, non come fece il Papa Pio X che distrusse bellamente il breviario ed a cui è intitolata una fraternità che inneggiando al primo dei pessimi riformatori deturpa se stessa nei suoi intenti!
Ergo se tutta la sua accusa deve pendere sull’accusa a me di liberalità, avendo ben poco da circostanziar lei al riguardo contro di me, rigetto senza ulteriormente spiegarmi.
Semplicemente lei non ha colto cosa io abbia scritto perché nessuno non vorrebbe principi civili più o meno cristiani.
Per conto mio la verità e la validità vengono prima di tutto, in nome di DIO. E se ciò comporterà peggiori condizioni, DIO giudicherà, io sarò e rimarrò peccatore e servo inutile. Giacomo scrisse: “Una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo” ed è proprio alla luce della deformazione ideologica ed estetica della Fede sul campo politico che certo tradizionalismo non si avvede di aver subito del tutto tale nefanda seduzione, che giust’appunto, è la più subdola delle contaminazioni.
saluti
“Innanzi tutto questo articolo sembra dimenticare che i gerarchi hanno dato in 2 millenni pessima figura di sè e che il pesce puzza appunto dall testa. Ma andiamo oltre sul tema posto in essere”.
Appena un’osservazione: questo argomento è antico è stato usato dai cattolici liberale nell’ottocento ed è stato risposto dai grande teologi, come il P. Matteo Liberatore, S.I.:
“Assurdità del concetto, nel senso dei cattolici liberali.
I
l vizio radicale dei cattolici liberali è l’incoerenza. Ciò apparisce di per sè stesso dal detto fin qui; giacchè se il liberalismo, inteso anche in senso moderato, si manifesta eterodosso; è certamente solenne contraddizione il volervi aderire, e fare al tempo stesso professione di ortodossia. I cattolici liberali rigettano il manicheismo nella specolazione, ma l’approvano nella pratica; lo rimuovono dalla cagione, ma l’inducono nell’effetto. Sarà bene chiarir la cosa un poco più distesamente.
Ed in prima apparisce la costoro incoerenza dal voler prescindere dai principii, che essi, quasi diremmo, per istrazio chiamano astratti. Ma questi principii sono veri, sì o no? Negare che sieno veri non possono, senza rinunziare ad essere cattolici; giacchè quelli al trar de’ conti si riducono a verità di fede, quali sono che l’ordine naturale dee sottostare all’ordine soprannaturale, la natura alla grazia, la vita presente all’avvenire. E poichè queste verità non sono tali pel solo uomo individuo, ma per l’uomo in qualunque stato si ritrovi; ognun vede la conseguenza, che ne risulta, per ciò che riguarda l’ordine sociale. I liberali cattolici (almeno i più) concedono tal conseguenza, per sè riguardata; sol ne ricusano l’applicazione. Ma Dio buono! e non sono esse verità pratiche, cioè ordinate a dirigere l’operare? E una verità ordinata a dirigere l’operare, può, senza incoerenza, ammettersi, e non volere che scenda di fatto a dirigerlo?
Le circostanze, ripigliano, lo divietano. Questo è un altro discorso. Se tal considerazione è quella, che vi muove, tenetevi nei limiti della medesima. Distinguete, come fu detto con felice formola, la tesi dall’ipotesi. Dite altamente che la colleganza dello Stato colla Chiesa, e quindi l’armonia tra i due poteri, è di per sè necessaria ed imposta dall’ordinamento divino; ma per disgrazia il mondo presente non vuol saperne. Lodate dunque la prima, e deplorate la cecità e la malizia del secondo. Ma voi non fate così. Voi anzi consigliate alla Chiesa che da sè stessa rompa ogni legame collo Stato, non pretenda sopra di lui veruna ingerenza, si ritiri nella pura cerchia dell’ordine spirituale; recandone per ragione, che ciò è per riuscire più utile ad essa Chiesa.
Nel che noi scorgiamo nuova contraddizione. Imperocchè come può riuscire più utile il fare l’opposto di ciò, che importa l’ordinamento divino? O bisogna negare che l’accordo dello Stato colla Chiesa sia inteso da Dio (nel qual caso saremmo da capo alla negazion de’ principii); o bisogna sostenere che l’attuazione appunto di un tale ordinamento riesce più utile, come allo Stato, così ancora alla Chiesa; e il non poterla in date congiunture ottenere, è un male, che bisogna compiangere, ma non mai lodare e molto meno consigliare.
Ma quante pressure e quanti aggravii non ha sofferto la Chiesa dai Principi protettori! Si ricordino le lotte cogl’Imperatori di Bisanzio, coi Cesari di Germania, coi Re di Francia, di Spagna, e va dicendo. Benissimo; è questo il luogo comune, a cui assiduamente si ricorre. Ma esso che prova? Prova soltanto che l’uomo colla sua perversità e malizia si sforza di corrompere l’opera di Dio: ma, non perchè l’uomo si attenta a corromperla, convien disconoscerla o abbandonarla. In primo luogo l’argomento obbiettato pecca per incompiuta enumerazione; giacchè esso guarda al solo lato cattivo e chiude l’occhio al lato buono; riferisce i soli mali, che si mescolavano al bene, ed omette i molti beni, che pure restavano e soprabbondavano al male. Se la protezione dei Principi tralignava talvolta in oppressione, il più sovente riusciva di presidio e di aiuto alla Chiesa. In secondo luogo l’argomento pecca per difetto di comparazione, imperocchè se si ragguagliano le angarie, che quei Principi fecero soffrire alla Chiesa, con quelle che le fanno ora soffrire i liberali, non sappiamo da qual parte propenderà la bilancia. Lasciando stare l’Italia, dove il sistema liberale non è il moderato ma l’assoluto; non ci ha forse qualche altro paese, dove il liberalismo, impiantato da una maggioranza cattolica, sembrava esser guernito di tutti que’ temperamenti e di tutte quelle cautele, che ne dovessero assicurare i pretesi beneficii; e nondimeno la Chiesa ne sta riportando ferite sì gravi, che non sappiamo dove esse andranno a parare in un tempo più o meno lontano? Infine l’argomento pecca per falsa illazione. Conciossiachè dall’introdursi l’abuso dell’uomo in un sistema, di per sè necessario e prescritto da Dio, segue soltanto che dee con ogni studio darsi opera a sceverare il prezioso dal vile, non già a rigettarli entrambi, volgendosi a un altro sistema, di per sè reo e contrario agl’intendimenti divini.
Questo, dicono in fine, quand’anche fosse desiderabile, non è più possibile: il secolo vi ripugna; e l’ostinarsi a difenderlo non avrebbe altro effetto, che d’inasprire vie peggio gli animi, e nimicarli maggiormente alla Chiesa. Più prudente sarà fare, come suol dirsi, della necessità virtù; ed accettando uno stato di cose, che non è in nostro potere rimuovere, studiarci d’impedire che non precipiti a totale rovina. Ecco l’Achille degli avversarii. Senonchè ciò dicendo, i cattolici liberali incorrono, al veder nostro, la massima incoerenza, perchè escono al tutto fuori dello stato della quistione. Qui non si tratta, se posta la contumacia del mondo debbasi usar pazienza e procurar di cavarne il miglior partito possibile; ma trattasi se convenga approvare una tal condizione sociale, e promuoverla coi nostri sforzi. Anche nei tre primi secoli di persecuzione fu forza alla Chiesa accomodarsi come potè; ma era per questo da encomiare quello stato di cose, e dar opera a perpetuarlo? Sappiamo bene che il mondo è infermo e corre furiosamente alla propria rovina. Ma per questo appunto convien curarlo e colla persuasione e coll’opera indurlo a far senno. Secondarne in quella vece le voglie e palparne i matti intendimenti, è tradirlo. Che direste di un medico, il quale per non asperare il malato, ne lasciasse inciprignire le piaghe? Nol condannereste di pietà sconsigliata e crudele? E se l’anzidetto medico sostenesse per soprassello che un tal tenore benchè mortifero, secondo le regole dell’arte, è nondimeno salutar nella pratica, attesa la volontà del malato; nol riputereste degno d’esser chiuso in un manicomio?” R. P. Matteo Liberatore d.C.d.G., Da: La Chiesa e lo Stato (2a ed.) Napoli 1872, cap. I, pag. 7-21, CAPO I. — CONDIZIONE DELLA CHIESA RIMPETTO ALLO STATO.
ARTICOLO I, Concetto liberalesco, IV.
Assurdità del concetto, nel senso dei cattolici liberali – Progetto Barruel
Daouda, secondo me l’articolo tratta della teoria non della praxis. Inoltre a questo in questi due millenni abbiamo avuto degli gerarchi che hanno datto un’ottima testimonianza e la Chiesa gli venera come santi negli altari. Ma che cosa lui vuoi dire all’affermare quello che ha affermato? Intendi dire che l’impossibilità pratica concreta cancella il principio astratto?
Per quanto riguarda il resto del tuo commento, la questione riguarda la dottrina dei due Gladi o due poteri. Papa Bonifacio VIII ha affermato nella Bolla Unam Sanctam che il potere temporale dipende dal potere spirituale, non il contrario. Riguardo a questo rapporto, si ritiene che i due poteri abbiano origine divina e il loro rapporto può essere:
a) Subordinazione del temporale allo spirituale;
b) Subordinazione dello spirituale al temporale;
c) Indipendenza di entrambi i poteri.
L’ideale nella dottrina cattolica è l’alternativa A, perché come ha detto il nostro Signore, la lampada non è posta sotto il moggio… L’alternativa B Cesare se mette al posto di Dio e nell’alternativa C abbiamo una sorta di manicheismo, come viviamo oggi, dove le legge di Dio e dello Stato sono antagoniste.
Lui ha sostenuto che il potere reale precede il potere sacerdotale, ma nel popolo d’Israele il potere sacerdotale è stato stabilito prima del potere reale. La legislazione sul potere sacerdotale venne da Mosè circa 1000 anni prima che Israele avesse il suo primo re, Saul, che fu deposto da Dio attraverso dell’ultimo giudice e primo profeta Samuele che ha comunicato tanto la deposizione di Saul, come la scelta di Davide il suo sucessore. Se non me ricordo male il Sommo sacerdote del tempo del Re Davide era Sadoc, certo? Quindi è praticamente tutto l’opposto di quello che lui ha affermato quando ha detto che la prerogativa reale precede quella sacerdotale. Non c’è indipendenza del potere temporale rispetto a quello spirituale…
Quello che ha firmato il commento come Immaturo irresponsabile ha detto che per lui il katechon sarebbe il diritto naturale. Il Diritto Naturale è contro l’omosessualità, ma nell’Impero Romano non aveva nessuna legge che lo proibisse. È stato Teodosio ad appliccare questa legge del Diritto Naturale in tutto l’Impero. La città di Tessalonica ha resistito l’ordine dell’Imperatore, lui ha inviato il suo esercito e ha promosso un massacro nella città. Il risultato di tale massacro è stato che Sant’Ambroggio ha impedito a Teodosio di entrare nella cattedrale di Milano, come gli ha proibito la comunione. Teodosio ha dovuto fare penitenza per essere riamesso alla comunione e lo ha fatto con vestiti di sacco. Quindi, il Diritto naturale, senza un potere che faccia la sua appliccazione, è come una spada senza qualcuno senza qualcuno che la maneggi: è un potere appena in potenza. Se vede nell’episodio di Teodosio la sottomissione dell’Imperatore al vescovo, come del potere temporale allo spirituale. a
L’articolo di Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis è ottimo e la sua pubblicazione è opportunissima. Aspetto una seconda parte trattando della regalità della Chiesa e del modelo di Chiesa democratico “popolo di Dio” che è natta con il Concilio Vaticano II.
Innanzi tutto questo articolo sembra dimenticare che i gerarchi hanno dato in 2 millenni pessima figura di sè e che il pesce puzza appunto dall testa. Ma andiamo oltre sul tema posto in essere.
Tralasciando il fatto che i nostri padri e le nostre madri, sia sotto pagani od eretici non hanno mai agito nel modo in cui istericamente i patiti della politica fanno col pretesto della religione, il sintomatico “passaggio epocale” stranamente non considera l’inganno a cui saranno sottoposti gli stessi eletti ( e che con l’aiuto di DIO vinceranno ) come se vedere la realtà esimi automaticamente dallo stesso. E’ tempo di dirlo a tutti: il rischio più grande lo corrono i supposti tradizionalisti!
Ora non è tempo da perdersi con veggenti di ieri e di oggi ( stoltamente chiamati profeti riguardo certi avvenimenti declassando ed insultando tanto quelli reali quanto la profezia divina in sè stessa ) che rifanno il verso all’eresia del chiliasmo e patteggiare per certi epigoni pubblici fra cui prelati che si credono avversari del fantomatico NWO sulla cui natura o struttura sarebbe tempo perso parlare con chi dalla sua scrivania ha già la sua verità preconcetta, e ripetendo cose che si sapevano da 30 anni ancora nelle loro schematiche banalità.
Ho già risposto ad articoli similari che rifanno il verso all’impostazione guénoniana del sacerdozio e della regalitas ma qui ne faccio un sunto per quel che ne riguarda la Santa Chiesa di DIO la cui comparazione coll’impero è di per sè insussistente alla luce di quanto segue:
a) considerando il caso di un principe cristiano , il rapporto è del tutto fra gerarchia ecclesiastica ed i politici civili e non dunque fra sacerdoti e laici ( laddove una badessa è gerarca rispetto al semplice presbitero che pur se separato fa parte del popolo di DIO e non ha alcuna mansione similare né giuridica ). Il papato in quanto strettamente collegato alla giurisdizione è una funzione di archia sacra ed esso stesso di per sè rientra dunque nelle categorie che voi altri attribuite all’impero. Fintanto che esiste la potestà di giurisdizione, la missio canonica e la communio gerarchica non può cessare l’intrinseeca regalitas della Chiesa. Teneniamo conto poi che le cariche amministrative dell’impero teocratico cristiano vennero a confluire e fondersi con quelle ecclesiastiche, cosicché si potrebbe dire che l’impero romano sopravvive nella santa Chiesa
b) la stessa potestà di giurisdizione infatti implica per natura un governo cosicché le rispettive spettanze fra principi civili o religiosi verte su di un diverso ambito ma permane assolutamente nella stessa dimensione della reggenza giust’appunto, laddove la subordinazione del civile al religioso è la stessa che chiunque ha verso un gerarca ecclesiastico.
c) non vi è alcuna sottomissione della regalità al sacerdozio. Mi spiego meglio: in ogni società religiosa antica il re è il segno dell’identità fra popolo e nazione. I grandi Cirillo e Metodio, Patrizio, Bonifacio e quanti altri, convertendo i re pagani, automaticamente convertivano a valanga i rispettivi popoli/etnie correlati.
Lo stesso Costantino da tribuno della plebe in prectore, pontefice massimo , imperator equestre, console a vita, raffigurando in sè la totalità del dispiegamento sociale romano, convertendosi, non poteva che aprire la strada a Teodosio il grande decretando la fine del paganesimo.
Cosa c’entra tutto ciò? Veniamo allora al tema del Figlio di Davide…Davide è stato unto 3 volte 1) da Samuele della Tribù di Efraim , giudice e profeta 2) dai pater familias della tribù di Giuda in Hebron 3) dai pater familias delle altre tribù sempre in Hebron successivamente e di certo senza l’intervento della tribù di Levi.
Ora il pater familias, e non uso questo termine a caso, è il rex della propria famiglia-tribù.
Sappiamo inoltre che Davide poteva indossare l’efod del sommo sacerdote, compiva sacrifici, elargiva benedizioni e poteva entrare nella casa del Signore come il sommo sacerdote.
Tutto questo fa comprendere come la prerogativa regale sia “antecedente” a quella sacerdotale conglobandola.Non esistono quindi 2 funzioni una regale ed una sacerdotale. L’episodio di Melkitsedeq manifesta difatti che il sacerdozio discende dalla regalità che di per sè stessa è sempre stata intesa divinamente da chiunque, ergo ben più che sacra e vissuta come archetipo da miriadi di tradizioni religiose pagane ed inveratasi solo nell’incarnazione del Verbo, DIO.
E’ chiaro che allora la Regalitas della Chiesa è differente da quella umana, come quella del Cristo, dove la festa innovativa ed astratta,svincolata dalla sua vita per esaltare la sua regalità è perlomeno distorcente se non sinistra per l’andazzo che ha comportato, oltre che di dubbio gusto e frutto di mere circostanze storiche biasimevoli ( a quando la festa del Cristo eterosessuale di grazia? Se i motivi sono tali e le astrazioni bene accette, inventatevi di tutto!).
E questo si nota in questa locuzione temeraria e forse eretica oltre che del tutto parziale ( ignorando di certo i padri apostolici ed il periodo patristico-classico come si usa spesso fare ):
—Per tutto il pensiero teologico-politico medievale l’Imperium ed il relativo esercizio della Iustitia non presumono altro che la possibilità di “condurre le cose al proprio fine”: il che, in merito all’uomo, in sintesi significa “ottenere la sua salvezza eterna”…In altre parole, l’uomo viene reintrodotto nello stato di purezza edenica, ossia in uno stato ontologico che è appunto di equivalenza a quello posseduto nel Paradiso Terrestre: ed è proprio a questo stato che pare alludere il Signore allorché dice: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta—
Non credo serva commentare, basti far presente un certo riecheggio gnosticista.
Ad ogni modo:
-compreso che non esiste motivo per cui un regno cristiano incarni la regalità del Cristo in termini politici ( tipici del principe di questo mondo semmai )
-compreso che Paolo parla di iniquità la intende relativamente alla morale e dunque l’ortoprassi dei canoni e non un’istituzione ( giusto per rintuzzare gli idioti che ancora oggi credono che Paolo,Giacomo o Pietro si contraddicano )
-fatto presente che se i padri hanno parlato dell’impero romano esso di certo era quello divenuto poi bizantino e non creato ex abrupto nell’800
non perdo tempo a disquisire sul kathecon dacché esula e supera la mia comprensione, così come la supera disquisire sull’Empio ossia il figlio della perdizione, stupidamente chiamato antiCristo ( termine da ritenersi per i docetisti come Giovanni apostolo stabilì e tutti gli gnostici di tale risma ), che ne è ad esser seri l’esatto opposto.
Concordo con le battute finali inerenti l’apostasia anche se chiaramente non inerenti al discorso regale civile che non ha senso ma semma guardando il tradimento della gerarchia ecclesiastica rispetto la scrittura e le sue norme,i suoi propri canoni,la morale, che ha reso la Chiesa nella sua potestà di giurisdizione arbitraria, usurpatrice, ipocrita ed abolente essa stessa da se stessa.
Le riflessioni finali di per sè sono del tutto auspicabili, cogenti, comprensibili e vere tanto quanto sono mal poste alla luce di quel che ho provato, probabilmente male, ad asserire.
D’altronde i cristiani fuori dall’impero, bontà di DIO, rimasero soltanto dei disgraziati! E vorrei, vorrei, vorrei, parlare del perché ROMA, ma non ha importana sussistendo quella nella santa Chiesa.
Ancora una volta la politicizzazione della Fede porta ad un sinistro uso della Rivelazione stessa.
—Ai Christi fideles spetta oggi dunque il dovere di porsi dalla parte del Katechon, rendendosi disponibili a conformarsi con la provvidenzialità metastorica. Viceversa, se decidessero di rinunciarvi, sceglierebbero di sottostare fatalisticamente al corso della storia—
sottoscrivo.
Carissimi,
forse viviamo in mondi diversi… se c’è mai stato qualche katechon (l’escatologia è roba difficile e sospetta) è stato travolto e spianato da un bel po’. L’unica cosa di cui sono sicuro è che quando creperò ci saranno ancora quelli che ragionano in secoli e non in anni: un papato e un brodino di chiesa alla Francesco (molto peggio, perché tra i cattolici(?) è già molto peggio) e i Cinesi. Il resto poltiglia tremebonda e rimbambita. E infatti papa (sotto) e cinesi (sopra) si stanno mettendo d’accordo, si capiscono. Tutto molto diverso da ora. Sul resto non metto la mano sul fuoco.
Amen
don Egizio
Due osservazioni, una critica, una di appoggio “complementare”. Non credo che tra la condizione post-edenica e la Beatitudine (realtà “superiore” a quella ante-peccato originale) la Provvidenza abbia previsto una fase intermedia consistente in una restaurazione del paradiso terrestre. Vero è che il Regno è già iniziato, e che il più spaventoso peccatore, dopo la Confessione si trova nelle stesse condizioni di santita’ di Adamo fino alla colpa, ma l’ intera creazione, compresa la condizione “fisica” di quell’ uomo in Grazia di Dio, rimarrà ferita (mortale) fino alla fine dei tempi. Prova di ciò furono i conflitti tra Papato e Impero, che si combatterono pur riconoscendosi reciprocamente poteri legittimi, anzi “sacri” (ciascuno nel proprio ordine).
Appoggio invece con grande entusiasmo il riferimento al Diritto Naturale, che, potremmo dire, è la “sostanza” di ogni leggittimità politica (di ogni potestas che non si basi sulla mera forza,o, come nei poteri politici di oggi, giustamente definiti dall’ autore “ontologicamente illegittimi”, basati sulla volontà di potenza).
Forzando un po’ , potremmo dire che, restando la forma imperiale fuori da ogni realistico orizzonte storico futuro, proprio il Diritto Naturale (in che condizioni si trova ?) è il katèchon.
Se si “crede”, se si dà credito – come cristiani – a TUTTA la Rivelazione, NULLA, nessun “evento” nel passaggio dalla “storia” alla “metastoria” è EVITABILE.
Perfino il FIGLIO (il Figlio del Padre, il giudeo Gesú) dovette soggiacere suo malgrado (“allontana da me questo calice…”) ad una “FUNZIONE”, ad un suo “SACRIFICIO”, scendendo nella storia per assecondare la VOLONTA’ del Padre, per COMPIERE il disegno finale, metastorico, definitivo, eterno del Padre.
NULLA E’ EVITABILE per uno che ha una “filosofia cristiana”, una visione cristiana del vivere, della storia. Tutto è stato scritto e DEVE COMPIERSI.
Di quanto rivelato nelle Sacre Scritture NULLA E’ EVITABILE: né l’apostasia degli ultimi tempi, né l’iniquitas, né l’anticristo, né la Parusia.
Anche il katechon. Sembra sia già avvenuto, sia già stato “tolto di mezzo”, sia acqua passata perché il Sacerdotium di oggi ha smesso la sua funzione di “re-medium”, è in altre faccende affacendato e si è auto-liquefatto con le beatitudini terrestri (economia, ecologia, diritti umani…).
E circa la “funzione” katechetica dell’individuo è bene misurare la nostra “umana” grandezza o bassezza. L’individuo è una comparsa nella storia: lo sceneggiatore-regista è Dio e l’individuo -per il suo bene- è meglio che “obbedisca” alla particina assegnatagli. L’individuo non conta un’acca nel disegno sovrannaturale del “ripristino della Giustizia Originaria” (tranne che per le gratuite attenzioni amorevoli del Padre). La infirmitas peccati è la sua unica realtà. Il suo fine è la sua “giustificazione”. Non vada oltre le sue competenze e le sue facoltà compromesse. Semplicemente si dia da fare con i Sacramenti benignamente regalatigli. Non speri nell’attuale Sacerdotium affaccendato nel servizio al NOM e speri solo che per il Covid19, 20, 21… non gli chiudano le chiese e gli tolgano dalla bocca il Corpo di Cristo prima di abbandonare la sua “storia” terrena.
Un po’ troppi “latinorum”, “grecorum” et “doctororum” per i miei gusti e le mie capacità. Ne è prova la stramba traduzione dei termini virgolettati in latino maccheronico.
Preferisco e comprendo meglio quanto esposto seguendo il detto evangelico: ti ringrazio o Padre perchè hai fatto conoscere queste cose ai piccoli, ecc. (più esattam. v. Mt 11,25) [sperando di rientrare nella categoria].
Mauro
Cristo ringrazia il Padre perché ha nascosto ai sapienti gli ammonimenti rivolti a quelle città cui è minacciata sorte peggiore di quella dei sodomiti: e sono appunto queste le cose rivelate dal Padre ai piccoli; Gesù si compiace del Padre perché in questo modo i sapienti (secondo Dio, non secondo la carne) sono invece risparmiati di questi avvertimenti e anzi è a loro che così Gesù stesso invece allora rivelerà non queste suddette cose rivelate appunto esse ai piccoli, ma, proprio anzi il Padre in se stesso: ai sapienti, ossia, è Cristo stesso a poter rivelare loro il mistero del Padre, il quale glieli ha quindi consegnati proprio nascondendo ad essi quei sostegni pedagogici che per loro non sono ormai più necessari ma che invece servono sempre ancora ai piccoli.
Perciò non converrà identificarsi troppo con i piccoli descritti in questa parabola. Basta leggere il testo evangelico per intero e non stralciare solo la frase per sé sola.
Perciò, finisci di leggere poi anche la frase successiva:
Matteo 11:27
Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
Vedi semmai anche 1 Corinzi 14:20
Fratelli, non comportatevi da bambini nei giudizi ; siate come bambini quanto a malizia, ma uomini maturi quanto ai giudizi.
Uno studio davvero apprezzabile, che, mi sembra, riproponga la tradizionale diarchia Autorità spirituale e Potere temporale, che però, vista la situazione degenerata in cui annaspa il mondo, risulta più che utopica.
Infatti, non si dovrà insistere sul fatto che già soltanto i termini “Sacerdozio” e “Regalità” dicono niente al mondo moderno, anzi post moderno, il significato del primo essendo andato del tutto smarrito ed il secondo richiedente un’incarnazione divenuta del tutto inconcepibile, ossia quella del Monarca (oggi abbiamo il “presidente della repubblica”, carica ufficiale democratica del tutto priva di dignità sacrale).
Nel finale si legge “Ai Christi fideles spetta oggi dunque il dovere di porsi dalla parte del Katechon”,
E chi sarebbe, oggi, il Katechon? Siamo sicuri che ancora ci sia un Katechon?
Ai Christi fideles spetta oggi dunque il dovere di porsi dalla parte del Katechon, rendendosi disponibili a conformarsi con la provvidenzialità metastorica. Viceversa, se decidessero di rinunciarvi, sceglierebbero di sottostare fatalisticamente al corso della storia e dell’anticristo, ponendosi nella schiera di coloro i quali saranno condannati perché «…non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità (αδικια)» (2 Ts, 2,12).
Certo, nessuno vuole aiutare l’anticristo, spero.
Come nessuno voleva aiutare le persecuzioni dei primi cristiani. Ma stiamo attenti, qui sta il paradosso. Tra rivelazione (ultima) di Dio e catastrofe. Apocalisse significa RIVELAZIONE. Cioe’ i sinonimi con cui si confonde l’Apocalisse. L’apocalisse e’ una “buona novella”. E’ l’annuncio che alla fine il bene vincera’, che Cristo tornera’ PRESTO! (non dimentichiamoci che sono le ultime parole delle sacre scritture!)
Voi dite che non si sa’ ne il giorno ne l’ora; ma il periodo si. Non addentriamoci in un campo minato che e’ la mancata Parusia di 2000 anni fa (e prima e dopo tutte le mancate redenzioni anche ebraiche, tralasciamo le islamiste..).
Chiunque ha onesta’ intelettuale e conosce le scritture ha il dubbio che i cristiani fossero una eresia apocalittica ebraica e non volessero istituire qualcosa nel mondo. La grande prostituta di Apocalisse siede sui 7 colli: e’ Roma.
Per alcuni modernisti con Costantino: al posto del regno di Dio venne la chiesa.
Ma il fine (l’eskaton) per quanto impossibile irrazionalmente e’ rimasto nel credo e nel catechismo. Gesu’, nonostante tutte le apparenti smentite storiche, tornera’. Diceva Benedetto XVI in una sua catechesi paolina (su 1 ts) che per noi e’ difficile pregare “maranatha” come i primi cristiani. Ma allora siamo cristiani?
Metastoria
Bisogna stare attenti. La chiesa non e’ solo un traghettatore di anime da far suonare con l’arpa sulle nuvolette. La differenza tra cristianesimo e filosofia si vide nell’areopago. L’immortalita’ dell’anima era accetta dai pagani, LA RESURREZIONE DELLA CARNE RIDICOLIZZATA.
Ma e’ qui il punto di differenza. L’ultimo giorno resuscitera’ LA CARNE. Finche’ la chiesa ha potuto ha impedito la cremazione, chi si cremava (massoni) lo faceva per irridere la resurrezione della carne.
“Tutta la creazione geme e soffre” scrive san Paolo. Ma a citazioni possiamo anche dire che Gesu’ ce l’aveva con gli alberi di fico (che secco’ perche’ non diede frutto).
Gesu’ risorto mangia e beve, non e’ solo spirito.
Non bisogna differire la parusia ma affrettarla.
Senno’ e’ apostasia. Certo affrettarla con la preghiera e le opere. O almeno cambiare il credo e la liturgia: ” nell’attesa che Cristo arrivi tardi e la chiesa faccia da sola il Regno di Dio”. Potrebbe andar bene. Mi pare si sia pensato parecchio cosi in 2000 anni. I risultati si vedono.
Ai Christi fideles spetta oggi dunque il dovere di porsi dalla parte del Katechon, rendendosi disponibili a conformarsi con la provvidenzialità metastorica. Viceversa, se decidessero di rinunciarvi, sceglierebbero di sottostare fatalisticamente al corso della storia e dell’anticristo, ponendosi nella schiera di coloro i quali saranno condannati perché «…non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità (αδικια)» (2 Ts, 2,12).
Certo, nessuno vuole aiutare l’anticristo, spero.
Come nessuno voleva aiutare le persecuzioni dei primi cristiani. Ma stiamo attenti, qui sta il paradosso. Tra rivelazione (ultima) di Dio e catastrofe. Cioe’ i sinonimi con cui si confonde l’Apocalisse. L’apocalisse e’ una “buona novella”. E’ l’annuncio che alla fine il bene vincera’, che Cristo tornera’ PRESTO! (non dimentichiamoci che sono le ultime parole delle sacre scritture!)
Voi dite che non si sa’ ne il giorno ne l’ora; ma il periodo si. Non addentriamoci in un campo minato che e’ la mancata Parusia di 2000 anni fa (e prima e dopo tutte le mancate redenzioni anche ebraiche, tralasciamo le islamiste..).
Chiunque ha onesta’ intelettuale e conosce le scritture ja il dubbio che i cristiani fossero una setta apocalittica ebraica e non volessero istituire qualcosa nel mondo. La grande prostituta di Apocalisse siede sui 7 colli: e’ Roma.
Per alcuni modernisti con Costantino: al posto del regno di Dio venne la chiesa.
Ma il fine (l’eskaton) per quanto impossibile irrazionalmente e’ rimasto nel credo e nel catechismo. Gesu’, nonostante tutte le apparenti smentite storiche, tornera’. Diceva Benedetto XVI in una sua catechesi paolina che per noi e’ difficile pregare “maranatha” come i primi cristiani. Ma allora siamo cristiani?
Metastoria
Bisogna stare attenti. La chiesa non e’ solo un traghettatore di anime da far suonare con l’arpa sulle nuvolette. La differenza tra cristianesimo e filosofia si vide nell’areopago. L’immortalita’ dell’anima era accetta, LA RESURREZIONE DELLA CARNE RIDICOLIZZATA.
Ma e’ qui il punto di differenza. L’ultimo giorno resuscitera’ LA CARNE. Finche’ la chiesa ha potuto ha impedito la cremazione, chi si cremava (massoni) lo faceva per irridere la resurrezione della carne.
“Tutta la creazione geme e soffre” scrive san Paolo. Ma a citazioni possiamo anche dire che Gesu’ ce l’aveva con gli alberi di fico (che secco’ perche’ non diede frutto).
Gesu’ risorto mangia e beve, non e’ solo spirito.
Non bisogna differire la parusia ma affrettarla.
Senno’ e’ apostasia. Certo affrettarla con la preghiera e le opere. O almeno cambiare il credo e la liturgia: ” nell’attesa che Cristo arrivi tardi e la chiesa faccia da sola il Regno di Dio”. Potrebbe andar bene. Mi pare si sia pensato parecchio cosi in 2000 anni. I risultati si vedono.