LA CHIESA VEDOVA. PERDITA DI REGALITÀ, CLERO MONDANIZZATO.
2 Settembre 2020
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, abbiamo ricevuto dagli amici del Sodalitium Equitum questa riflessione molto interessante sulla perdita del concetto di Cristo Re, e le sue ricadute sulla vita della Chiesa. Come ricorderete qualche tempo fa l’arcivescovo Viganò aveva pubblicato su Stilum una riflessione sullo stesso tema. Buona lettura.
§§§
LA CHIESA VEDOVA.
LA “PERDITA DELLA REGALITAS” COME CAUSA DELLA MONDANIZZAZIONE DEL CORPO ECCLESIALE
A cura del: Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis
Grande soddisfazione ci procura l’aver notato, negli ultimi tempi, un crescente rinnovarsi dell’attenzione, sia da parte laica che presbiterale, sul tema della “Regalità sociale di Cristo Re”. Tale compiacimento ci deriva dal fatto che, da sempre, riteniamo esser questo l’argomento propriamente atto a fornire il determinante criterio valutativo con cui leggere i motivi alla base di quell’evidente crisi in cui si dibatte l’Ecclesia Christi; e oltretutto, per sperare di trovare allo stesso tempo una decisiva, oltre che realistica, soluzione ad essa. Accanto a ciò, tuttavia, ci è parso di scorgere altresì una ingiustificabile incompletezza nel trarre dal discorso le debite conclusioni che esso sembrerebbe prospettare: mancanza la quale ci procura puntualmente la delusione per l’ulteriore occasione perduta. Il riconoscere infatti come prioritaria necessità quella di riportare il tema della Regalitas Christi al centro dell’impegno cattolico, tanto nella vita privata e familiare quanto in quella sociale e politica, pare rimanere in effetti solo un virtuoso proclama che non viene mai corredato delle concrete, conseguenti soluzioni applicative. E’ proprio alla luce di tali evenienze che ci siamo dunque sentiti stimolati a proporre pubblicamente le seguenti riflessioni.
Il fondamento di ogni discorso parte dal riconoscimento effettivo della duplice funzione che è propria del Signore Gesù Cristo, in quanto Sacerdos et Rex (oltre che Propheta) secondo l’Ordine di Melchisedec . Fino al momento in cui si è mantenuta, in seno all’Ecclesia Christi, la naturale e tradizionale distinzione di tali due funzioni, il Papato ha specificatamente rappresentato la prima, laddove la seconda è rimasta peculiarità del Sacrum Imperium. Data la differente area di pertinenza, diciamo così, che ha riconosciuto il Sacerdozio quale attivo custode e responsabile della dimensione “spirituale” dell’individuo battezzato e la Regalità di quella invece “temporale”, nel corso dei secoli che ci separano dalla nascita del Sacro Romano Impero (800 d.C.: incoronazione di Carlo Magno) si è venuta così sempre più a puntualizzare e a definire una gerarchia di valori, all’interno della quale si è riconosciuta una ovvia “superiorità” da parte del Papato sull’Impero.
Va però subito osservato che l’ineccepibilità di tali conclusioni rimane tale purché, come già propugnava Dante alla sua epoca (e come più recentemente è stato ribadito anche da A. Del Noce ), tale “gerarchia di dignità” non venga confusa con la “gerarchia di giurisdizione”. In altre parole: se al Sacerdozio spetta il riconoscimento di una più alta dignità in virtù della sua funzione “spirituale” (oltre che di indirizzo morale ed etico) che è ontologicamente superiore rispetto a quella “temporale” espletata dalla Regalità sacra, a quest’ultima spetta di contro una autonomia nella giurisdizione del temporale che il primo non può affatto arrogarsi; la quale giurisdizione, se rettamente esercitata, concorre comunque sempre a conseguire, oltre al “bene comune”, anche il “bene spirituale” della Comunità. L’Impero non è indipendente dal Papato, ma ne è comunque autonomo nell’esercizio della propria funzione, pur dovendo entrambi in ogni caso rimanere correlati alla luce della naturale e necessaria sinergia, della complementarietà che devono con reciprocità mantenere i rispettivi Uffici, per soddisfare adeguatamente alle esigenze della duplice dimensione “fisico-spirituale” che è propria della natura di ogni individuo battezzato. Purtroppo, la storia dell’Ecclesia ci ha mostrato come tale complementare reciprocità non sia stata sempre rispettata: e ciò per responsabilità proprie sia dell’una che dell’altra Istituzione. Non è questo il luogo per poter affrontare i dettagli storiografici di un discorso che a noi basta così sommariamente riassumere: le iniziali eccessive ingerenze imperiali sulle questioni spirituali hanno comportato una sorta di reazione difensiva da parte del Papato; il quale, seppur nella necessità di giustamente ribadire la dovuta propria superiorità ontologica rispetto alla Regalità, ad un certo punto è giunto a pretendere eccessivi diritti nella gestione anche della funzione temporale. Gli esiti sortiti dalle vicende, maturatesi lungo un periodo temporale che rimane dell’ordine di svariati secoli, sono quelli odiernamente ben visibili.
Un altro aspetto della questione, di primaria importanza, è dato dalla circostanza secondo cui l’unzione Regale risulta legittima solo quando amministrata dal Sacerdozio. Ed è appunto questo il nodo su cui si sono poi sedimentati numerosi equivoci. La Regalitas, in quanto eminente dignità che è propria del Signore – accanto al Sacerdotium – non può non considerarsi che munus “direttamente proveniente da Lui”: sono noti i diversi passi biblici (neo e veterotestamentari) che si esprimono in tal senso . La necessità dell’intervento sacerdotale, trattandosi dell’attuazione di un rito, non può dunque essere interpretata come legata alla trasmissione operata dal Sacerdotium dello specifico potere Regale – come esso è giunto a pretendere – in quanto questo non gli appartiene; ma solamente come l’esigenza di operare un suo “riconoscimento”, un suo “avallo” che garantisca e legittimi “spiritualmente” l’effettiva avvenuta acquisizione del sacrale munus Regale da parte dell’Imperatore.
Un ulteriore rimarchevole elemento è dato poi dalle chiare implicazioni metafisiche, metastoriche – e quindi anche meta-politiche – possedute dalla Regalitas umana, in quanto potere derivante direttamente da Cristo Gesù. Nell’Enciclica Quas Primas (1925), con riferimento al passo di Dn 7,13-14, Pio XI afferma che: «tutti debbono riconoscere che è necessario rivendicare a Cristo Uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di Re; infatti soltanto in quanto è Uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la potestà, l’onore e il regno». L’Ufficio della Regalitas non ha dunque nulla di metaforico ; ed inoltre, pur esplicandosi nel concreto del temporale, esso possiede chiari collegamenti con la dimensione meta-temporale, escatologica e salvifica relativa alla missione del Logos incarnato. Se è vero come è vero che Cristo è Re in senso umano, all’inverso anche l’Imperatore, nell’esercizio del proprio Ufficio consacrato, è da ritenersi Suo Vicario: e ciò accanto ed analogamente al Papa. Il detentore del Potere Regale è colui che attua l’archetipo della Regalitas nella sfera temporale, in vista dell’escatologica, completa istituzione del Regno di Dio in terra.
Anche sul senso della presenza del Regno di Dio sulla terra sono sorti numerosi fraintendimenti: tipica è ad esempio l’obiezione secondo cui si verrebbe a dimostrare, sulla base delle stesse parole del Signore, come esso Regno non possa affatto essere ‘di questo mondo’ . Tuttavia, ciò non vuol significare che esso non abbia nulla a che fare con la Regalità esercitata temporalmente, giacché il Regno di Dio è effettivamente già ‘in questo mondo’, come oltretutto affermato altrove da Gesù stesso: «Il Regno di Dio è dentro di voi» . Tutti i Padri ed i Dottori della Chiesa hanno concordemente asserito che il Regno di Cristo Gesù non è mondano; pur tuttavia hanno altresì riconosciuto che Esso è in questo mondo, in nuce nella Sua Chiesa, per fiorire perfettamente – ed in eterno – nell’altro mondo che viene. Possiamo allora dire che la Regalitas, quando espressa dall’Impero, non va intesa in quanto appiattita in una dimensione temporalmente orizzontale, ma piuttosto come conforme ad una dimensione escatologicamente verticale! Anzi, proprio a tal proposito è bene ricordare quanto enunciato nel Catechismo della Chiesa Cattolica, laddove si dice: «La Chiesa cresce, si sviluppa e si espande mediante la santità dei suoi fedeli, finché arriviamo tutti ‘allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo’ (Ef 4,13) […]. Con la loro vita secondo Cristo, i cristiani affrettano la venuta del Regno di Dio, del ‘Regno di giustizia, di amore e di pace’» .
La Regalitas è insomma una funzione necessaria affinché, attraverso l’Ufficio che è ad essa proprio – ossia di amministrare la Iustitia nonché di offrirsi quale baluardo e difesa a favore dell’Ecclesia, contro i suoi nemici esterni ed interni – venga realizzata una condizione “temporale” tale da permettere agli uomini di esser pronti ad ottenere, come conseguenza, gli escatologici fini “spirituali”; i quali sono, a loro volta, più immediatamente e più specificatamente di pertinenza del Sacerdozio.
Ciò è da intendersi alla luce del fatto che – così come espresso dalla dottrina politica di Dante, nonché da tutto il pensiero teologico-politico fino al XIII sec. (a partire dalla speculazione agostiniana del De Civitate Dei) – la Regalitas non svolge in verità un’attività dal carattere meramente legislativo-amministrativo, se non nella misura che tale attività, favorendo l’annullamento della cupiditas umana, costituisce propriamente un remedium contro l’infirmitas peccati.
Tutto ciò è peraltro già chiaramente espresso dalla teologia paolina, secondo cui la divina Giustizia di Dio – della cui azione nell’ambito temporale ne è intermediatrice per l’appunto il Potere Regale – non possiede un carattere statico bensì dinamico; l’effetto di questa azione si riversa sull’uomo, che viene in tal modo “giustificato”, rinnovato dall’agire di Dio . E poiché la Giustizia è per S. Paolo concetto opposto al peccato , ecco che essere sottomesso alla Giustizia implica appunto essere contestualmente liberato dal peccato.
In altre parole, l’esercizio della Iustitia da parte della Regalitas Imperiale, ponendosi a rinforzo del sacramento battesimale, permette all’anima il recupero ontologico dello stato edenico: cioè quello che era proprio di Adamo, precedentemente al peccato originale. E’ solo dopo aver riguadagnato tale stato di purità, corrispondente al Paradiso Terrestre, che essa anima diviene infatti veramente e completamente pronta per ascendere alla condizione escatologica figurata dalla Gerusalemme Celeste; e ciò, questa volta, sotto l’egida del Papato attraverso la funzione che è ad esso propria: la gestione del magistero della fede attraverso l’amministrazione dei sacramenti e l’insegnamento dei principi dottrinali.
Da tali presupposti conviene a questo punto trarre alcune conclusioni. Ci permettiamo di osservare che la crisi della Chiesa verrebbe ridotta ad una lettura davvero molto superficiale se ci limitassimo a far risalire l’inizio d’ogni “male” al Concilio Vaticano II; lo schema adottato sarebbe infatti fin troppo semplicistico: vi è una realtà ecclesiale perfetta prima del 1963 e vi è un totale disastro successivamente. A nostro modo di vedere, invece, quello a cui stiamo assistendo è l’epilogo di un processo innescatosi, come dicevamo, già molti secoli addietro; ed i cui effetti sono oramai ben evidenti nella caduta in latenza dell’Impero , a beneficio dei laicistico-massonici Stati nazionali e delle pseudo-monarchie che nulla più hanno di cattolico; oltre che nell’odierna profonda, implosiva e oramai quasi definitiva secolarizzazione del Papato, tra i cui più evidenti sintomi si annovera la totale perdita di ogni suo senso del trascendente.
Il grande errore compiuto dal Sacerdotium già in concomitanza del periodo che fu a cavallo tra i secoli XIII e XIV, ossia di interferire in maniera sempre più squilibrante rispetto alla Regalitas sulla gestione diretta del temporale, ha innescato una serie di avvenimenti posteriori non più controllabili che, inanellandosi l’uno dopo l’altro, hanno condotto a quanto oggi risulta sotto gli occhi di tutti (nonostante i ravvedimenti che, ad onor del vero, sono anche successivamente sopraggiunti nel merito, da parte del Papato): ossia, alla perdita per l’Ecclesia non solo dell’unità ecumenica, ma anche del potere di cristianizzare il mondo. La Regalità sacra è infatti parte integrante della Chiesa nella sua integralità; una volta persa questa completezza, la Chiesa istituzionale dei Sacerdoti ha anche perso, in larghissima misura, la sua capacità di incidere sul mondo e di ricostruire una Civiltà cristiana.
Qualche critico, a questo punto, potrà ribatterci che la Chiesa si fonda essenzialmente sui Sacramenti e che questi sono conferiti dai Sacerdoti: la Chiesa può dunque esistere, in linea di principio, anche senza la funzione Regale. Tuttavia – e senza nemmeno ricordare che l’unzione Regale col chrisma è una “consacrazione sacramentale” – questa è solo una verità parziale: sarebbe come dire che un individuo umano possa sicuramente “sopravvivere” senza le braccia e le gambe, ma a prezzo di doversi “appoggiare” sulle braccia e le gambe altrui. In realtà la Chiesa, privata così della Regalità, non ha fatto altro nei secoli che appoggiarsi – e alla fine piegarsi – a poteri a Lei del tutto estranei se non ostili.
A mo’ di epilogo, a questo punto ci par giusto citare l’Enciclica di Leone XIII Immortale Dei (1885), nella quale compare un riconoscimento chiaro dell’imprescindibilità della funzione Regale esercitata dall’Impero ai fini di una più completa proiezione dell’Ecclesia verso l’istituzione escatologica del Regno di Dio in terra: «Vi fu un tempo in cui la filosofia del Vangelo governava la società: allora la forza della sapienza cristiana e lo spirito divino erano penetrati nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in ogni ordine e settore dello Stato, quando la religione fondata da Gesù Cristo, collocata stabilmente a livello di dignità che le competeva, ovunque prosperava, col favore dei Principi e sotto la legittima tutela dei magistrati; quando Sacerdozio e Impero procedevano concordi e li univa un fausto vincolo di amichevoli e scambievoli servigi […]. E certamente tutti quei benefici sarebbero durati, se fosse durata la concordia tra i due poteri: e a ragione se ne sarebbero potuti aspettare altri maggiori, se con maggiore fede e perseveranza ci si fosse inchinati all’autorità, al magistero, ai disegni della Chiesa. Si deve infatti attribuire il valore di legge eterna a quella grandissima sentenza scritta da Ivo di Chartres al pontefice Pasquale II: ‘Quando Regno e Sacerdozio procedono concordi, procede bene il governo del mondo, fiorisce e fruttifica la Chiesa. Se invece la concordia viene meno, non soltanto non crescono le piccole cose, ma anche le grandi volgono miseramente in rovina’».
E ancor più recentemente, anche il Cardinal Ratzinger, pochi mesi prima di venir eletto Pontefice, soffermandosi sul senso storico-politico-sociale della separazione tra Papato ed Impero, tra fede e politica, nonché gettando uno sguardo verso il futuro dell’Europa, ebbe emblematicamente modo di scrivere: «Poiché da ambo le parti di contro a tali delimitazioni rimase vivo sempre l’impulso alla totalità, la brama di porre il potere al di sopra dell’altro, questo principio di separazione è divenuto anche l’origine di infinite sofferenze. Come esso debba essere vissuto correttamente e concretizzato politicamente e religiosamente rimane un problema fondamentale anche per l’Europa di oggi e di domani» .
L’attualità della questione rimane dunque viva e pertanto anche suscettibile di aprire immediate ulteriori riflessioni soprattutto all’interno del laicato cattolico. E’ infatti compito di quest’ultimo il riflettere sulla necessità di recuperare il legame imprescindibile con i sacrali principi meta-politici della Regalitas; e ciò non solo per rivivificare la Iustitia e l’ordine sociale e politico, ma altresì perché, recuperando l’integralità tutt’oggi mancante all’Ecclesia Christi, si contribuirebbe contestualmente a risollevare il Sacerdotium dalla sua mondanizzazione e dal suo conseguente odierno smarrimento, causato dalla perdita della visione trascendente della propria fede. Solo una Ecclesia non più “vedova dell’Impero” potrà tornare saldamente ad essere l’unica e vera guida spirituale del popolo di Dio.
*****
Il Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis (Sodalizio Cavalleresco di Maria Soccorso dei Bisognosi), che ha curato quest’articolo, è una Fratrìa costituita da Cavalieri investiti sacramentalmente secondo il rituale contenuto nel Pontificale Romano di S.S. Papa Pio V, tramite investitura originale compiuta da un Vescovo della S. Chiesa Cattolica. Scopo del Sodalizio è quello di “combattere la buona battaglia” in maniera esemplare, a difesa della S. Chiesa Cattolica, della Sua Santa Fede e di tutti i bisognosi ed oppressi, per mezzo delle caritatevoli armi della preghiera, dell’azione e della cultura di Verità.
Essendo la Cavalleria, come via di milizia, strettamente legata alla funzione Regale, uno dei propositi di tale Sodalizio – a livello di battaglia culturale – è propriamente quello di conservare, custodire e, nella misura del possibile, trasmettere la conoscenza dell’importanza della Regalità Sacra in un mondo cattolico che purtroppo l’ha evidentemente smarrita. A tal proposito, ci sia concesso di annunciare la pubblicazione, entro l’inizio del prossimo anno, di un nostro libro contenente una serie di saggi, appunto, sull’argomento della Regalitas.
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Tag: chiesa, cristo re, sodalitium equitum
Categoria: Generale
Vede Silvano, quello che Lei presenta come una possibilita’ , la scoperta successiva di particolari poco edificanti, non li preoccupa minimamente;
stanno cambiando , hanno gia’ cambiato, il metro di valutazione per essere santi:
prima era aver amato Dio, cioe’ Cristo, piu’ di ogni altra cosa, adesso basta essere un buon uomo , magari alla mano , che ama , anzi in primis rispetta, gli altri per essere considerati – dai mass media , il popolo bue segue- santi.
Se dovesse anche un domani uscir fuori ad esempio l’omosessualita’ di Paolo VI non sarebbe problema, il terreno e’ gia’ preparato per giustificare dal punto di vista umano, unico criterio rimasto, anche questo.
Mi lascio sedurre anch’io dall’illusione che la situazione disastrosa possa essere cambiata a forza di citazioni.
«L’ineffabile Provvidenza di Dio propose all’uomo due fini: la beatitudine di questa vita, che consiste nell’esercizio della virtù propria ed è rappresentata dal Paradiso Terrestre; e la beatitudine della vita eterna, che consiste nel godimento della visione di Dio, cui la virtù umana non può ascendere se non soccorsa dalla Luce Divina, e che è rappresentata dal Paradiso Celeste. A queste due beatitudini, come a conclusioni differenti, occorre giungere con diversi mezzi. Infatti giungiamo alla prima per mezzo degli insegnamenti filosofici, purché li seguiamo operando secondo le virtù morali e intellettuali; e alla seconda per mezzo degli insegnamenti spirituali, che trascendono la ragione umana, purché li seguiamo operando secondo le virtù teologali: la Fede, la Speranza e la Carità. Benché tali conclusioni e mezzi ci siano mostrati (le une dalla ragione umana, che ci è manifestata interamente dai filosofi, gli altri dallo Spirito Santo, che mediante i profeti e i sacri scrittori, mediante Gesù Cristo, Figlio di Dio a Lui coeterno e i suoi discepoli, rivelò la verità soprannaturale a noi necessaria), l’umana cupidigia indurrebbe ad abbandonarli se gli uomini, come cavalli vaganti nella loro bestialità, non fossero “con il morso e con il freno” mantenuti sulla strada. Perciò fu necessaria all’uomo una duplice guida, corrispondente al duplice fine: cioè il Sommo Pontefice che, secondo la rivelazione, guidasse il genere umano alla vita eterna, e l’Imperatore che, secondo fli insegnamenti filosofici, inidirizzasse ol gene umano alla felicità temporale. E poiché a questo porto nessuno o pochi (e a prezzo di gravi difficoltà) potrebbero giungere, se il genere umano non riposasse nella tranquillità della pace, sedati i flutti della cupidigia lusingatrice, il reggitore del mondo, che è detto Principe Romano, deve tendere specialmente alla meta seguente: che in questa aiuola dei mortali ci viva liberamente in pace».
Dante, De Monarchia, III, 16
Magistrale! E se vediamo come siamo ridotti, vien da piangere.
Enrico, le catastrofi storiche, ben presenti anche al tempo di Dante, ci pensa la Provvidenza a rimediarle. Noi non ci facciamo strumenti della Provvidenza a suon di citazioni, ma testimoniando la Verità. Cosa che tu non fai, continuando a postare messaggi fuorvianti.
Circa Dante, se ti vai a cercare il documento di Benedetto XV che ne celebra la grandezza, vedrai tu stesso che tra i tanti meriti c’è il demerito di aver sostenuto una falsa visione dei rapporti tra il potere temporale e quello spirituale; demerito a cui il buon Papa dalla Chiesa accenna con delicatissima misericordia, arrivando ad accusare la “polvere del mondo” di aver pervertito, su quel punto, il genio e la sensibilità del Poeta.
Il tuo demerito, invece, è quello di aver preso l’errore di Dante – forse l’unico degno di nota – ed averlo utilizzato per fuorviare le persone semplici che leggono questo blog, bevendosi di tutto.
Il demerito di Dante, il mio demerito ….
Quand’è che ci parlerà dei suoi demeriti, Silvano?
Lascio a te di parlarne. Sei libero di dire quali demeriti manifesti nei miei interventi.
Lei va a braccetto con Boanerghes. Siete due campioni nello svicolare di fronte a domande imbarazzanti.
Un passo molto importante e dirimente mi sembra questo:
“La Regalitas, in quanto eminente dignità che è propria del Signore – accanto al Sacerdotium – non può non considerarsi che munus “direttamente proveniente da Lui”: sono noti i diversi passi biblici (neo e veterotestamentari) che si esprimono in tal senso . La necessità dell’intervento sacerdotale, trattandosi dell’attuazione di un rito, non può dunque essere interpretata come legata alla trasmissione operata dal Sacerdotium dello specifico potere Regale – come esso è giunto a pretendere – in quanto questo non gli appartiene; ma solamente come l’esigenza di operare un suo “riconoscimento”, un suo “avallo” che garantisca e legittimi “spiritualmente” l’effettiva avvenuta acquisizione del sacrale munus Regale da parte dell’Imperatore”.
Questa è la teoria di Re Giacomo I (Anglicano), confutata da Bellarmino e Suarez.
Della stessa opinione, Lutero, Melantone e Calvino.
Uguale per i gallicani.
Loro discepoli: Nicola, i lefebvriani e questi cavalieri (tra cui si annoverano fuggiaschi della FSSPX come l’errabondo C. Nitoglia).
Anche i pliniani la pensano allo stesso modo, ma loro probabilmente mutuano da Re Luigi XIV.
Come volevasi dimostrare i “tradizionalisti” sono gli ultimi che possono ergersi a difesa della “sana dottrina” e della “tradizione bimillenaria”, che dicono tutt’altre cose.
DANTE (De Monarchia, III, 3):
“Il Sommo Pontefice, vicario di Gesù Cristo e successore di Pietro cui dobbiamo non ciò che è dovuto a Cristo, ma solo ciò che è dovuto a Pietro”.
Io sto col Sommo Poeta che è immortale e cattolico.
Voi altri pensate, dite e fate quel che vi pare.
Tu stai pure coi Sommi Poeti (e con gli eretici). Io sto coi Sommi Pontefici.
Ecco come Benedetto XV usò le stesse parole del De Monarchia per commentare la visione politica di Dante: «nemmeno le anime pie possono evitare di essere insudiciate dalla polvere del mondo » .
Del resto è possibile che Dante non avesse letto S. Tommaso: Al Sommo Sacerdote, successore di Pietro, Vicario di Cristo, al Romano Pontefice, al quale tutti i re del popolo cristiano devono essere sudditi, come allo stesso Gesù Cristo.
Basta che
«nemmeno le anime pie possono evitare di essere insudiciate dalla polvere del mondo »
valgano anche per lei.
D’accordo.
Certamente, infatti non avanzo mie idee, ma mi appello agli insegnamenti della Chiesa (che tu misconosci simulando un’ortodossia che non hai).
“Noi sappiamo dalle parole del Vangelo che in questa Chiesa e nel suo potere ci sono due spade, una spirituale, cioè, ed una temporale, perché, quando gli Apostoli dissero: “Ecco qui due spade” (che significa nella Chiesa, dato che erano gli Apostoli a parlare (il Signore non rispose che erano troppe, ma che erano sufficienti). E chi nega che la spada temporale appartenga a Pietro, ha malamente interpretato le parole del Signore, quando dice: “Rimetti la tua spada nel fodero”. Quindi ambedue sono in potere della Chiesa, la spada spirituale e quella materiale; una invero deve essere impugnata per la Chiesa, l’altra dalla Chiesa; la seconda dal clero, la prima dalla mano di re o cavalieri, ma secondo il comando e la condiscendenza del clero, perché è necessario che una spada dipenda dall’altra e che l’autorità temporale sia soggetta a quella spirituale. Perché quando l’Apostolo dice: “Non c’è potere che non venga da Dio e quelli (poteri) che sono, sono disposti da Dio”, essi non sarebbero disposti se una spada non fosse sottoposta all’altra, e, come inferiore, non fosse dall’altra ricondotta a nobilissime imprese. Poiché secondo san Dionigi è legge divina che l’inferiore sia ricondotto per l’intermedio al superiore. Dunque le cose non sono ricondotte al loro ordine alla pari immediatamente, secondo la legge dell’universo, ma le infime attraverso le intermedie e le inferiori attraverso le superiori. Ma è necessario che chiaramente affermiamo che il potere spirituale è superiore ad ogni potere terreno in dignità e nobiltà, come le cose spirituali sono superiori a quelle temporali. Il che, invero, noi possiamo chiaramente constatare con i nostri occhi dal versamento delle decime, dalla benedizione e santificazione, dal riconoscimento di tale potere e dall’esercitare il governo sopra le medesime, poiché, e la verità ne è testimonianza, il potere spirituale ha il compito di istituire il potere terreno e, se non si dimostrasse buono, di giudicarlo. Così si avvera la profezia di Geremia riguardo la Chiesa e il potere della Chiesa: “Ecco, oggi Io ti ho posto sopra le nazioni e sopra i regni”. (Papa Bonifacio VIII, con tanti saluti al Ghibellin Fuggiasco)
Lei può fare il paio con Alessandro DS,
Quelli come voi credono dii spianare il passo alla Verità a colpi di citazioni.
Se vi piace illudervi in questo modo, prego, accomodatevi.
Premesso che non so cosa dica Alessandro DS, la Verità non ha certamente bisogno di me che le spiani la strada. Mio dovere è testimoniare la Verità quando un eretico diffonde le sue menzogne presso le persone semplici. Se per farlo devo citare il magistero, cito il magistero. D’altra parte il gioco delle citazioni sei stato tu a iniziarlo, ben sapendo che quello di Dante era un errore che ti fa comodo strumentalizzare per far propaganda alle tue idee sbagliate.
Che quello di Dante sia un errore è una sua opinione (o è la verità? No, perché se è la verità vengo subito a prostrarmi ai suoi piedi.
Io preferisco di gran lunga rifarmi a Dante che a … Silvano.
Le sue illazioni sulle mie intenzioni di “strumentalizzare” sono … illazioni … per cui se le può tenere strette.
Non è lei che ha l’autorità per dire che le mie sono “idee sbagliate”.
Dovreste farla finita, voi cattolici all’acqua di rose, di mettervi sempre dalla “parte giusta”.
Io non ti ho risposto con le parole di Silvano ma con quelle di santa Madre Chiesa, alla quale tu sei allergico.
Buona permanenza nell’Isola dei guelfi.
Posto questo interessante articolo sia scritto che in video del filosofo Diego Fusaro riguardo una recente decisione presa da Bergoglio , una decisione che tra le righe dice molto di lui per chi vede tutto alla luce della Fede.
https://www.radioradio.it/2020/09/bergoglio-ha-messo-da-parte-la-fede-in-cristo-a-favore-di-quella-terapeutica-chiesa-cattolica-politica-fusaro-scienza/
quanti bei discorsi intelligenti colti di grande cultura teologica e non, poi la Madonna Madre di Gesù il Signore Dio Nostro appare a tre montanaretti ne belli ne colti forse sicuramente analfabeti e parla con loro e la ascoltano con un Rosario in mano, la Regalità.
Caro Dino,
davanti alla grotta di Betlemme c’erano i Pastori che con il loro animo semplice contemplavano il Re dei re appena nato (beati loro!).
Ma dentro la grotta, ad offrire oro, incenso e mirra, sono entrati i Re Magi che non erano propriamente dei pastorelli ignoranti.
Errore.
È da rileggere il testo di Matteo.
Con i pastori si parla di grotta.
Con i magi di casa.
In caso di dubbio confrontare il testo greco.
Effettivamente, Gesù non è rimasto sempre nel rudere-grotta.
E la presentazione al tempio?
La scena della visita dei magi alla grotta che si vede nei presepi, è e rimane molto suggestiva.
La solita pignoleria nozionistica e insipiente.
Enrico Nippo
Ma vada a parare le capre.
Proprio lei parla di pignoleria e nozionismo.
Questa è solo disonestà intellettuale.
Ho imparato questa distinzione in seminario, non me ne ero mai accorto e forse tanti non sanno questa distinzione.
Fa capire meglio gli sviluppi della vita di Gesù e comprendere meglio la strage degli innocenti.
La santa famiglia di trovava infatti in una piccola casa di Betlemme.
Lei è fissato con la “casa”.
Le fissazioni mentali costituiscono una patologia.
Ma insomma, casa o grotta cosa cambia agli effetti dell’adorazione dei Magi?
Mi sa che lei avrebbe rotto le scatole pure ai Pastori fuori la grotta: Ehi, pastori, guardate che i Magi nono verranno qui alla grotta ma andranno alla “casa”…. “casa” … “casa”…
Boanerghes ,
la strage degli innocenti è un topos ,che riguarda anche re Sargon ,Abramo e Mosè ,(anche se , come accade oggi in varie forme ,concerne una crudele realtà ) . Quanto a Erode il grande ,calcoli accurati ne hanno spostato la morte rispetto alla nascita di Gesù . Chissà che significa “parare i capri ” ? Duellarvi contro-come ,in questo caso, ha fatto Enrico ?
“qualche pontefice la cui santità è stata da poco dichiarata dalla Chiesa.”: ma da quale Chiesa, caro Alfredo, se lo è mai chiesto questo? E’ forse la Chiesa di Cristo quella guidata dal clero ribelle modernista che occupa tutte le sedi cattoliche dal 195(8 ? No, non lo è. di questo sono sicuro come che domani sorgerà il sole. In effetti si tratta di una camarilla di ribelli anticattolici, antipapisti, traditori ed apostati, chi più chi meno, ma nessuno di essi vero cattolico, solo capi di Stato, non certo papi cattolici. E qurlla da loro guidata e comandata non è più la Chiesa di Cristo, ridotta nella diaspora, a nascondersi per evitare persecuzioni, emarginazioni, demonizzazioni e forse anche eliminazione fisica. Mio caro, una cosa vera l’ha detta l’usurpatore biancovestito di Santa Marta: “è finita l’era della Cristianità, la Chiesa non è più magiistra vitae” (parole sue). Certo che non lo è, è caduta in mano nemica, come potrebbe esserlo? Pace e bene
Anonimo,
Avete una bella faccia a scrivere simili boiate e ancora definirvi cattolici.
Lei, invece, né scrive di boiate? O è un altro infallibile come parecchi che bazzicano questo blog?
PREPARATEVI ALL’ARRIVO DELL’AVVERTIMENTO; IL GIORNO È PIÙ VICINO DI QUANTO PENSIATE!
APPELLO URGENTE SAN MICHELE ARCANGELO | Messaggio a Enoch – Colombia, Lunedì 24 Agosto 2020
Se vuoi leggere tutto:
https://reginadelcielo.wordpress.com/2020/09/02/preparatevi-allarrivo-dellavvertimento-il-giorno-e-vicino-piu-di-quanto-pensiate/
Non so chi siano gli estensori di questa lezione su Chiesa e Imperium, ma è bene puntualizzare che:
a) il Sovrano temporale non riceve affatto alcuna investitura diretta da Dio. Questa la riceve solo il Papa.
b) potere temporale e potere spirituale non sono affatto complementari: il potere temporale casomai è strumentale allo spirituale e comunque ad esso subordinato, potendosi discutere dei margini di autonomia del temporale nel caso di materie irrilevanti per lo spirituale (ma potenzialmente non c’è nulla che possa dirsi a priori irrilevante).
Faccio presente che chi sostenga che la Chiesa non possa/debba esercitare anche il potere temporale, direttamente o indirettamente, incorre nella violazione del Sillabo.
Due testi del grande cardinale Pie di Poitiers sul regno di Nostro Signore Gesù Cristo, a chi vuole capire cosa a detto Nosto Signore quando ha affermato “mio regno non è di questo mondo”:
CARDINALE PIE: L’INCIPIT DEL PADRE NOSTRO: IL REGNO DI DIO SULLA TERRA – PRIMA PARTE
https://pascendidominicigregis.blogspot.com/2020/08/cardinale-pie-lincipit-del-padre-nostro.html?m=1
CARDINALE PIE DI POITIERS: GESÙ CRISTO È RE, ED IL SUO REGNO È NEL MONDO – SECONDA PARTE:
“E Gesù Cristo ha chiesto, e suo Padre gli ha dato, e tutte le cose gli sono state consegnate [9]. Dio lo ha reso testa e capo di tutte le cose, afferma san Paolo [10], e di tutte le cose senza eccezione: In eo enim quod omnia ei subjecit, nihil dimisit non subjectum [11]. Il suo regno non è certamente di questo mondo, cioè non proviene da questo mondo: Regnum meum non est de hoc mundo; non est ex hoc mundo[12]; e proprio perché viene dall’alto, e non dal basso: regnum meum non est hinc [13], nessuna mano terrestre potrà strapparglielo [14]. Ascoltate le ultime parole indirizzate ai suoi apostoli prima di risalire al cielo: «Ogni potere mi è stato dato nel cielo e sulla terra. Andate dunque ed insegnate a tutte le nazioni [15]». Notate, Fratelli Miei, Gesù Cristo non dice a tutti gli uomini, a tutti gli individui, a tutte le famiglie, ma a tutte le nazioni. Egli non dice solamente: Battezzate i bambini, catechizzate gli adulti, unite gli sposi in matrimonio, amministrate l’olio santo ai moribondi, date la sepoltura religiosa ai morti. Senza dubbio la missione che conferisce loro comprende tutto ciò, ma comprende anche di più: essa ha un carattere pubblico, un carattere sociale. E come Dio inviava gli antichi profeti alle nazioni ed ai loro capi per rimproverar loro l’apostasia ed i crimini di cui si erano macchiati, così Cristo invia i suoi apostoli ed il suo sacerdozio ai popoli, agli imperi, ai sovrani ed ai legislatori, per insegnare a tutti la sua dottrina e le sue leggi; il loro dovere, come quello di san Paolo, è di «portare il nome di Gesù Cristo davanti alle nazioni, ai re ed ai figli d’Israele»: Ut portet nomen meum coram gentibus, et regibus, et filiis Israel [16]. Ma vedo sollevarsi una volgare obiezione, e sento opporre alla mia dottrina un’accusa oggi di moda: la tesi che voi andate sviluppando, si esclama, è quella della teocrazia nuda e pura. La risposta è semplice, e la formulerò così: «No, Gesù Cristo non è venuto a fondare la teocrazia sulla terra, ma al contrario è venuto a por fine al regime più o meno teocratico che sempre costituì il fondo del mosaismo, sebbene tale regime fosse stato notevolmente modificato sostituendo agli antichi giudici d’Israele i re». Tuttavia, per far sì che tale risposta possa essere compresa dai nostri contraddittori, occorre anzitutto che sia definita l’espressione di cui si tratta; assai spesso tra gli uomini del nostro tempo scoppia con successo la polemica a causa di locuzioni il cui senso è indeterminato. Cos’è dunque la teocrazia? La teocrazia è il governo temporale di una società umana da parte di una legge politica divinamente rivelata e da parte di un’autorità politica costituita sovrannaturalmente. Ma, stando così le cose, siccome Gesù Cristo non ha imposto alcun codice politico alle nazioni cristiane, e siccome non si è incaricato di designare lui stesso i giudici ed i re dei popoli della nuova alleanza, ne consegue che nel cristianesimo non v’è traccia di teocrazia. La Chiesa, è vero, ha potenti benedizioni e consacrazioni solenni per i principi cristiani, per le dinastie cristiane che vogliono governare cristianamente i popoli; ma ripeto, nonostante una tale consacrazione dei poteri umani da parte della Chiesa, dopo Gesù Cristo non c’è più una teocrazia legittima sulla terra. Anche qualora l’autorità temporale fosse esercitata da un ministro della religione, la sua autorità non avrebbe nulla di teocratico perché essa non sarebbe esercitata in virtù del carattere sacro, né in conformità ad un codice ispirato. E allora basta, per riguardo alla lingua francese ed alle nozioni più elementari del diritto, basta con quest’accusa di teocrazia, che si ritorcerebbe in accusa d’ignoranza contro coloro che persistessero a ripeterla”.
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DANTE (De Monarchia, III, 3):
“Il Sommo Pontefice, vicario di Gesù Cristo e successore di Pietro cui dobbiamo non ciò che è dovuto a Cristo, ma solo ciò che è dovuto a Pietro”.
S. TOMMASO (De regimine principum, I, 14) :
“Al Sommo Sacerdote, successore di Pietro, Vicario di Cristo, al Romano Pontefice, al quale tutti i re del popolo cristiano devono essere sudditi, come allo stesso Gesù Cristo”.
Di questi due giganti uno, il laico Dante, è ghibellino, l’altro, l’ecclesiatico S. Tommaso, è guelfo.
Che facciamo?🙂
Chiedo scusa a tutti, ma quando, nell’articolo del Sodalitium Equitum, ho letto la seguente frase: “il recupero ontologico dello stato edenico”, sono crollato al tappeto.
“qualche pontefice la cui santità è stata da poco dichiarata dalla Chiesa…”
Dalla Chiesa o da qualche pubblico adoratore di pachamame e altre divinità sataniche?
Una Fratrìa Cavalleresca! Di estremo interesse!”. Ottima riflessione dai contenuti nobili e poderosi. Da Cavaliere di Malta ad honorem qual sono ho potute gustarla in tutta la sua interezza.
Una sorta di neoghibellinismo in salsa pliniana, ovviamente.
M’immagino la profonda attinenza con la vita quotidiana della maggior parte delle persone comuni… Se questi sono gli avversari del bergoglismo, stiamo freschi. Oltretutto anzi portano acqua al mulino dei laicisti, insistendo sul fantomatico Impero che risolverebbe i problemi mondiali: una sorta di versione pseudocattolica del Governo Mondiale oggi tanto in voga.
Altro che regalità di Cristo Re… che spiegò come il Suo Regno non fosse di questo mondo.
Se si rifiuta Cristo Re, ragionando come se dovessimo noi spiegare noi a Papa PIO XI che il regno di Cristo non è di questo mondo (infatti lo è dell’universo intero), è inutile tentare di rileggere per capire meglio.
@ Iginio
Firmo a due mani il tuo commento.
Prima di firmare bisognerebbe fissar bene sufficientemente il concetto di IMPERIUM che vien da lontano e nulla ha a che vedere con un “governo mondiale” di matrice massonica.
Ma per caso questi sono i signori che affermano che i papi da Paolo Vi in poi sarebbero solo formalmente ma non sostanzialmente pontefici ? Stando a loro dovremmo rinunciare quindi a qualche pontefice la cui santità è stata da poco dichiarata dalla Chiesa. Per carità alla larga !!!
Tutto e’ ormai corrotto Alfredo, i santi sono fatti sulla base del consenso mediatico – e i media sono in mano ai nemici della chiesa e di Cristo- .
Le faccio un solo esempio, Isabella di Castiglia, iter di canonizzazione finito positivamente, mai sara’ canonizzata, perche’, per evitare conflitti e disordini sociali espulse gli ebrei dalla Spagna.
Giusto ? , sbagliato ?.
Veda Lei, se risponde che e’ giusto e’ nella numerosa compagnia
di coloro che reputano il rispetto dell’uomo superiore al rispetto di Dio, che Isabella aveva in massimo grado.
Se risponde sbagliato , prego per Lei, avra’ parecchio da tribolare.
Un’ultimo invito, se e’ in buona fede puo’ esserle utile…
ha mai riflettuto sul fatto che i papi santi negli ultimi 800 anni- prima erano perlopiu’ martiri o persegiutati – siano stati, prima del concilio VAT2, solamente 2 , Pio V e Pio X , e invece dopo il concilio, che ha chiesto scusa ai fratelli maggiori, siano tutti santi ?.
Le cose sono due , se le procedure di canonozzazione non sono “taroccate”, : o la Chiesa si e’ sbagliata prima a fare Santi – non solo negli ultimi 800anni ma negli ultimi 2000 gente che proclamava Cristo come unico Salvatore del mondo senza nessun rispetto per altre cose umane, predicando anche un conseguenziale l’antigiudaismo teologico , badi bene teologico non umano – , o la chiesa si e’ sbagliata negli ultim 60 anni chiedendo scusa di colpe che le sono state attribuite sulla base di una sensibilita’ tutta secolarizzata.
Guardi che i papi santi del XX secolo sono 4, dato in linea con quello di diversi secoli precedenti e nulla rispetto ai secoli del primo millennio. Il dato anomalo, quindi, non è il numero di papi santi recenti, ma la scarsità o completa assenza di papi santi in alcuni secoli. Forse più che chiedersi perché ne siano stati canonizzati 4 del XX secolo, ci sarebbe da chiedersi perché in alcuni secoli non ne sia stato canonizzato nessuno (e la scelta di non canonizzarne risale a secoli precedenti il Vaticano II, ovviamente).
Forse perche’ i criteri applicati erano piu’ rigorosi – specie dopo la riforma del processo di canonizzazione varata da S.Pio V – e meno condizionati dalla politica e dai media – che guarda caso somo passati da un’aperta ostilita’ prima del CV2 a un melensa piaggeria – ?.
Ho solo segnalato un’anomalia storica, quella che dal 1200 circa i soli papi santi siano stati solo 2 e in 60 anni 3.
Il potere nuoceva evidentemente alla santita’ , nei secoli riportati, oggi parrebbe agevolarla, specie da quando detto potere non dice piu’ cose sgradite a Cesare, non lo trova curioso?
capisco. Francamente ho qualche dubbio sulla possibilità di fare (oggi) processi poco rigorosi, in considerazione della quantità di materiale circolante sulla vita di ciascun papa, fin da quando nasce. Una canonizzazione “lasca” lascerebbe aperta la possibilità di nuove scoperte o che emergano reticenze. Magari ha ragione lei, ma se questa fosse la strategia, mi parrebbe davvero poco furba.