DEL POZZO, DDL ZAN: MA LA CHIESA NON HA PIÙ NULLA DA DIRE?

28 Luglio 2020 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Luca Del Pozzo ci ha mandato una riflessione a tutto campo sul DDL liberticida che è in discussione in Parlamento. È un articolo che vi consigliamo assolutamente di leggere e di meditare, perché tiene conto con grande ampiezza di voci e di argomenti. Buona lettura.

§§§

Lo slittamento di qualche giorno, rispetto alla data prevista del 27 luglio, per l’approdo nell’aula di Montecitorio del discusso DL Zan contro l’omo-transfobia e la misoginia, anche se rappresenta comunque un segnale importante non deve far illudere. Con i numeri che ha la maggioranza alla Camera l’esito del voto, a meno di improbabili sorprese, è scontato.

La partita vera si giocherà al Senato, dove invece la coperta è molto più corta. Ed è esattamente con questo orizzonte temporale che il fronte di chi si oppone all’iniziativa in questione sta intensificando gli sforzi. Con l’auspicio che si possa replicare quanto accadde nel 2013, quando l’allora ddl Scalfarotto contro l’omofobia (e non è un caso se tra i vari disegni di legge confuiti nel testo ora all’esame, ci sia anche quello del 2013) fu prima approvato alla Camera, in settembre, per poi arenarsi al Senato l’anno dopo.

Già questo cenno di storia recente è piuttosto emblematico: a distanza di sette anni stiamo assistendo ad un remake dello stesso film – il tentativo di far cambiare per via legislativa la percezione sociale dell’omosessualità – a dimostrazione della tenacia e della determinazione con cui ben precisi ambienti innanzitutto culturali perseguono i propri obiettivi (i cattolici prendano nota). E c’è da scommettere che se anche stavolta andrà male, presto o tardi ci riproveranno col primo treno utile che passerà in parlamento.

Oggi come allora il meccanismo è semplice: crei un caso partendo da una situazione particolare per farlo diventare un problema generale e poter aver così il pretesto per intervenire. Gli esempi recenti, tanto in ambito laico quanto, ahimè, in ambito cattolico, non mancano. Si prenda il caso delle unioni civili, o se si preferisce dei divorziati risposati: se si va a vedere i numeri parliamo di cifre da prefisso telefonico internazionale. Qualcuno ha mai visto code di omosessuali fuori dai municipi o di divorziati risposati fuori dalla chiese per avere accesso all’eucarestia? Io no.

E il motivo è presto detto: perché parliamo, appunto, di fake-emergenze. Nella fattispecie, come ha documentato il Centro Studi Rosario Livatino, i dati ufficiali dell’Oscad, l’osservatorio istituito ad hoc nel 2010 presso il Ministero dell’Interno, dicono di 26,5 segnalazioni in media all’anno da settembre 2010 a dicembre 2018. Cioè, appunto, tutto tranne che un’emergenza. E questo con buona pace della campagna orchestrata ad hoc sui media, grazie alla quale curiosamente da quando è stato avviato l’iter parlamentare del dl Zan, un giorno sì e l’altro pure la cronaca riporta singoli casi di discriminazione o violenza a danno di persone samesex, con l’evidente scopo di dimostrare la tesi dell’emergenza.

La cui insussistenza è dimostrata dalla realtà dei fatti per cui occorre ribadire, a scanso di equivoci, che non c’è alcun vuoto normativo da colmare nè tanto meno alcuna emergenza che giustfichi un nuova norma. Per non parlare del fatto, ciò che rappresenta il pericolo maggiore, che per come è stato disegnato il Dl Zan costituirebbe un gravissimo vulnus alla libertà di espressione. Sarebbe cioè una norma profondamente liberticida. E va dato atto a Michele Ainis, insospettabile di qualsivoglia partigianeria contro le istanze lgbt, l’aver evidenziato dalle colonne del Venerdì di Repubblica quello che è il punto della questione: il fatto cioè che ci troviamo al crocevia della democrazia e dei due valori che la fondano, ossia la libertà d’espressione e la tutela delle minoranze. E dopo aver ricordato che i paesi in cui non esistono leggi in tal senso sono molti di più di quelli che hanno legiferato contro l’hate speech,  Ainis ha avuto il coraggio di dire che si debbono soppesare svantaggi e vantaggi di “questo nuovo reato, probabilmente i primi surclassano i secondi”. Per tre motivi: primo, perchè esistono già ben 35.000 fattispecie di reato, con la conseguenza che “ciascuno può infrangere la legge senza nemmeno sospettarlo”; d’altra parte, “se la tua omofobia ti induce a pestare un gay, c’è già l’aggravante per futili motivi, non occorre forgiarne una nuova di zecca”; secondo, “per il valore pedagogico della tolleranza. Che s’esercita verso le opinioni sgradevoli o sgradite, non certo verso i bei sermoni”; terzo, e ultimo, nel caso in cui venisse approvata una nuova legge, “gli omosessuali diventeranno «soggetti vulnerabili»  con tutti i crismi del diritto. Siamo sicuri che si tratta di un favore?”. Ainis vedi qui un rischio concreto, che cioè alla fine la legge possa rivelarsi un boomerang, perché “in generale le misure di speciale protezione verso questa o quella minoranza possono abbassarne l’autostima, e in conclusione aumentarne il senso d’inferiorità sociale”. Ma l’aspetto decisivo contro il disegno di legge in questione è che al pari di altri fenomeni a forte impronta ideologica e totalitaria – uno su tutti di stringente attualità: la cosiddetta cancel culture, che soprattutto negli Usa sta facendo strame del passato – il politicamente corretto alla base del retroterra culturale del Dl Zan è quanto, non ci stancheremo di ripeterlo, di più liberticida ci possa essere.

Il punto, come ha lucidamente evidenziato l’arcivescovo di Trieste, mons. Crepaldi, è che “in nome di alcune idee si ritiene di criminalizzare idee diverse. Se si concede la possibilità di censurare giuridicamente e penalmente non delle offese, ma semplicemente delle opinioni e delle verità di ordine antropologico e morale diverse da quelle dei proponenti il Disegno di legge, come per esempio la differenza fra uomo e donna, allora veramente la nostra libertà  – quella di tutti, non solo quella dei cattolici – è in pericolo. Si tratta di un disegno pretestuoso che va contrastato con forza”.

Anche per questo stupisce, dopo una iniziale e ferma presa di posizione, come a distanza di settimane e proprio nei giorni in cui il Dl sta per approdare alla Camera, la Chiesa italiana sembra non abbia più niente da dire. Tanto di cappello ai meritori interventi dei singoli vescovi, ma è mai possibile che i vertici della Chiesa italiana – che su altri temi siamo sicuri avrebbero ben altro atteggiamento – di fronte ad una minaccia così grave e che avrebbe serissime ripercussioni anche sull’attività formativa ed educativa della Chiesa stessa, non sentano il bisogno di tornare di nuovo sull’argomento con una campagna se possibile di intensità e forza addirittura superiori?

Anche se sette anni sono in fondo un lasso di tempo modesto, evidentemente sono stati più che sufficienti per produrre tali e tanti cambamenti da rendere irriconoscibile il volto della Chiesa italiana. Non si spiega altrimenti non solo il silenzio, ma anche l’emergere e il consolidarsi di un modo di leggere la realtà umana, e specificamente certe questioni, da cui dipende un ben preciso atteggiamento nei confronti del mondo, in senso lato, che di cattolico conserva forse solo il nome. Modo di leggere la realtà e conseguente atteggiamento nei confronti del mondo che si può riassumere in un due parole: approfondimento e dialogo. Ma proprio questo è il problema: il fatto cioè che anche su un tema dove tutto è chiaro, limpido, cristallino (“maschio e femmina li creò”), ci sia chi pensi che l’importante è il dialogo, il confronto, il dare voce a l’una e l’altra campana, il non arroccarsi su posizione rigide o portando avanti pregiudizi ideologici in un senso o nell’altro, l’essere aperti all’ascolto ed avere un atteggiamento inclusivo e rispettoso verso tutti, come se il dialogo in sé fosse un valore facendo finta di non sapere o non ricordare che esiste la verità.

Tanto più, si dice, di fronte a questioni complesse e articolate  – come si vorrebbe quella dell’identità di ciascuno  – che meritano di essere approfondite e discusse perché la realtà è, appunto, più complessa di ciò che sembra e le cose non sono mai tutte bianche o tutte nere. Ora se tale approccio, se il metodo del dialogo e della ricerca, in senso lato, fosse adottato e portato avanti da chi ha una visione laica della vita, da chi non crede che esista una verità o comunque dei valori assoluti, nulla quaestio. Ma se simili argomenti, se un simile approccio viene fatto proprio in ambito cattolico, di chiunque si tratti e qualunque sia il suo stato o mestiere, beh Huston abbiamo un problema. Per capirci, lo stesso identico problema sollevato a suo tempo dal compianto card. Caffarra quando affermò che “una Chiesa più povera di dottrina non è più pastorale, è solo più ignorante”.

D’altra parte, basta leggere alcuni dei commenti e delle opinioni sul Dl Zan apparsi di recente sul quotidiano della Cei, e confrontarli ad esempio con il documento finale del Sinodo dei giovani del 2018, per avere l’esatta misura di come in ambito cattolico stiano cambiando i registri culturali di riferimento. Il tema specifico dell’omosessualità è affrontato nei paragrafi 149 e, soprattutto, 150 (quest’ultimo non a caso il più contestato con 65 voti contrari, tra l’altro forse troppo frettolosamete intestati ai “conservatori” mentre secondo alcuni sarebbero stati espressione del malcontento dei novatori che avrebbero voluto maggiori aperture), che letti insieme ben fotografano il gattopardismo in salsa ecclesiale (non cambiare nulla per cambiare tutto) oggi in auge.

Se da un lato, infatti, il testo pare collocarsi, rifacendosi anche ad un documento della Congregazione per la Dottrina della fede, nel solco della (immutata) tradizione ecclesiale riaffermando la “determinante rilevanza antropologica della differenza e reciprocità tra l’uomo e la donna e ritiene riduttivo definire l’identità delle persone a partire unicamente dal loro «orientamento sessuale»”, dall’altro parla di “questioni relative al corpo, all’affettività e alla sessualità” – tra cui quelle sulle “inclinazioni sessuali” e sulla “differenza e armonia tra identità maschile e femminile” – che secondo i padri sinodali “hanno bisogno di una più approfondita elaborazione antropologica, teologica e pastorale, da realizzare nelle modalità e ai livelli più convenienti, da quelli locali a quello universale” (il corsivo è mio, ndr).

Ora, anche a voler tralasciare il non banale dettaglio che alla teologia del corpo San Giovanni Paolo II dedicò qualcosa come 129 catechesi di insuperata bellezza e che quindi risulta, come dire, di non immediata comprensione cosa ci sia ancora da approfondire (o meglio, si capisce eccome essendo proprio il magistero del santo papa polacco il bersaglio grosso dei novatori, come ha ben dimostrato la vicenda della riforma dell’Istituto omonimo), il punto è che sembra esserci una qualche contraddizione tra l’affermazione della necessità di ulteriori approfondimenti sulla differenza e sulla relazione uomo-donna e la riaffermazione della “determinante rilevanza antropologica della differenza e reciprocità tra l’uomo e la donna”. Non solo. C’è anche un altro aspetto che balza agli occhi, e che la dice lunga su dove quel testo, dicendo senza dire, vuole andare a parare. Dopo aver parlato in maniera generica di questioni sulla sessualità, del rapporto uomo-donna, ecc., a un certo punto si legge: “Esistono già in molte comunità cristiane cammini di accompagnamento nella fede di persone omosessuali: il Sinodo raccomanda di favorire tali percorsi”. Intanto, si potrebbe notare che dedicare un intero paragrafo  – il cui titolo “sessualità: una parola chiara, libera, autentica” nulla lascia intendere che l’oggetto sia nella realtà monotematico – alla questione dell’accoglienza delle persone omosessuali (o dell’omosessualità?), oltre che essere forse eccessivo e un pizzico riduttivo visto che la sessualità è un qualcosa che riguarda anche chi omosessuale non è (incidentalmente la stragrande maggioranza dei cristiani), è anche forse inutile dal momento che il magistero della Chiesa è chiaro su questo aspetto per cui non si capisce il bisogno di ribadire cose già note; inoltre, e cosa più importante, rischia di essere fortemente fuorviante quel riferimento ai “cammini di accompagnamento” delle persone omosessuali. Perché un conto è se parliamo di cammini attraverso i quali la persona omosessuale viene aiutata a vivere la sua condizione in conformità al Vangelo e al catechismo (come d’altra parte sono tenuti a fare anche gli eterosessuali); tutt’altro conto invece è se parliamo di cammini che, contrapponendosi apertamente al magistero della chiesa (e ce ne sono), puntano a far passare (e di conseguenza a far vivere) l’omosessualità come una condizione assolutamente naturale e normale.

Su questo punto il documento sinodale non è chiaro, e non essendo chiaro si presta a letture ambigue e fuorvianti. Con tutto ciò che ne consegue. Come ambigue e fuorvianti risultano certe prese di posizione sul Dl Zan, che pure si sono lette e sentite di recente in ambito cattolico. Sempre, beninteso, in nome del dialogo e dell’ascolto. Dialogo rispetto al quale uno come ad esempio il vescovo di Ventimiglia San Remo, mons. Antonio Suetta, ha una visione, come dire, piuttosto controcorrente, anzi diciamo pure politicamente (ed ecclesialmente) scorrettissima. E che proprio per questo ha lo stesso effetto di una più che salutare boccata d’ossigeno. Nel volume “Controcanto. La fierezza di essere cattolici” (giusto per la cronaca, fierezza in inglese si traduce con “pride”), da poco in libreria, mons. Suetta dimostra di avere una visione profetica di ciò che sta accadendo, visione di cui oggi la Chiesa ha estremo bisogno. Innanzitutto, è importante il fatto che il vescovo sottolinei la centralità della Parola per capire cosa sta succedendo: “Più leggo la Sacra Scrittura, che va sempre letta sapendo che il Signore parla oggi alla sua Chiesa, più trovo nella Parola la chiave per decifrare chiaramente quello che stiamo vivendo, e mi sorprende la volontà di molti, ostinatamente vagabondi per altre vie. Mi interroga dolorosamente come si possa non vedere un ribaltamento di tutti i valori, in particolare di quelli che attengono all’ambito della sessualità, dell’affettività, e dunque della famiglia e, allargando il discorso, a tutte le tematiche che toccano il grande dono della vita. E come è possibile non vedere in tutto questo un rovesciamento diabolico del disegno creaturale di Dio?” Non solo.

Subito dopo aggiunge una frase che, pronunciata da un vescovo, è di una gravità inaudita: “Mi viene da sorridere, amaramente, pensando che addirittura persone di fede, o peggio ancora, pastori, possano pensare di sovvertire o modificare la cifra che il Signore ha scritto nella creazione uscita dalle sue mani e dal suo cuore. Un commento serio a questo non riesco a farlo”.

Prima notazione importante: abbiamo qui un vescovo che dice chiaramente che ci sono pastori che pensano di sovvertire la creazione di Dio. Ma non è finita: perchè se è comprensibile che un mondo degradato a livello morale e umano sdogani visioni della vita e dell’esistenza oggettivamente lontane e differenti dalla verità dell’uomo, lo è molto meno il fatto che “la Chiesa, chiamata ad annunciare la verità di Cristo, si lasci irretire o anche semplicemente abbassi la guardia, lo trovo semplicemente impossibile”. “Prendiamo, ad esempio, – prosegue mon. Suetta – il tema della cura pastorale delle persone omosessuali: la Chiesa non ha mai emarginato (leggi bene: la-Chi-e-sa-non-ha-mai-e-mar-gi-na-to), ma ha sempre dato indicazioni…di cura pastorale e di valutazione morale. Si può e si deve capire meglio il fenomeno, e penso che si possa fare molto di più sul versante della cura pastorale. Però la benedizione di psuedo-nozze gay o il ritenerle una formula alternativa di famiglia mi pare sinceramente che significhe prendere i nostri convincimenti di fede e buttarli al macero”.

Ci sarebbe molto altro da aggiungere, ma fermiamoci qua per sentire cosa ha dire Suetta sul tema del dialogo, strettamente connesso a quella verità. “Oggi si esagera quando si tratta di dialogo. Lo considero assolutamente positivo, senza se e senza ma, lo colloco però nell’ordine dei mezzi. L’esasperazione del dialogo si registra quando colloca questa attitudine umana, attinente soprattutto all’inteligenza, nell’ordine dei fini: in quel caso si dice dialogo ma si intende compromesso o mistura”.

E ancora: “Dialogo è parola stupenda, che vuol dire “confronto sulle ragioni”; si tratta di un confronto appassionato, però, non di un “mercato delle ragioni” dove, come da uno scaffale, ognuno prende quello che gli serve. No, non è questo!…Se è vero – anzi verissimo – che la verità è sfaccettata e poliedrica…è altrattanto vero che la verità è una, e che l’intelletto e il cuore dell’uomo non si pacificano, se non anestetizzati da altri interessi, con verità surrogate o intermedie. Il cuore dell’uomo cerca fino in fondo la verità”. Alla luce di queste bellissime parole, si capisce ancor di più quanto sia aberrante e pericoloso un disegno di legge che punta a fare della percezione della realtà, più che della realtà in sè, il metro dell’agire dell’uomo.

Questa è la vera posta in gioco del Dl Zan. Per cui delle due l’una: o i cattolici pensano ancora di essere depositari della Verità (scritta ovviamente con la “v” maiuscola trattandosi innanzitutto di una Persona), e che tale Verità sia alla base di una precisa antropologia secondo la quale gli essere umani nascono maschi o femmine a prescindere da ciò uno “percepisce” di essere; oppure i cattolici non hanno più tale coscienza, e allora buonanotte suonatori e tanti saluti. Tra l’altro, è curioso notare che lo stesso concetto, pur partendo da altra angolazione e prospettiva, ma sempre con sullo sfondo il tema più generale dell’omosessualità, è stato espresso dal Grande Imam di Al Azhar, Ahmed El Tayed (sì proprio lui, quello che firmò con Papa Francesco il documento di Abu Dhabi sulla convivenza tra le fedi) in un’intervista su “La Lettura” del 1 marzo scorso stranamente passata inosservata, ma che avrebbe meritato ben altra attenzione. Al punto ci è arrivato poco a poco: prima ha fatto un’affermazione di carattere generale dicendo che “è questa infatti la libertà più importante: quella di difendere la civiltà e la cultura, e di convergere di lì verso una comune umanità”; poi ha specificato che “C’è chi cerca di imporre certi diritti umani che non sono veri diritti umani, ma deviazioni…Attraverso le convenzioni internazionali si cerca di imporci nuove forme di famiglia e certi diritti dei bambini; ma così si distruggeranno la famiglia e i bambini”.

Infine è arrivato al nocciolo della questione: “Le tensioni dovute alla mancanza di libertà religiosa sono meno importanti; è davvero importante il diritto delle comunità di mantenere la loro cultura e la loro civiltà; se ciò non avverrà, si produrrà una nuova forma di scontro di civiltà distruttivo per l’umanità”. Ecco perché è importante contrastare, opportune et inopportune, un disegno di legge che rischia di minare le fondamenta stesse della civiltà occidentale. In questa come in altre occasioni il contrasto all’omofobia e alla misoginia sono solo un pretesto, nobili concetti rivestiti con la suadente narrativa del politicamente corretto  e usati a mo’ di scudi umani per puntare al vero obiettivo, cambiare la percezione sociale dell’omosessualità. E allora, rispetto per tutti, nessuno escluso, sì. Pensarla diversamente dalla vulgata Lgbt in tema di famiglia, di genitorialità, di maschile e femminile, e rischiare per questo di finire in galera, anche no, grazie.

Luca Del Pozzo

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19 commenti

  • Iginio ha detto:

    Come, contro la misoginia?
    Ma se i gay sono un esempio lampante di misoginia!!!

    Inoltre non trovo pertinente la citazione dell’imam. Stava semplicemente dicendo: non venite a pestare i piedi a noi musulmani. Traduzione: nessuno si sogni di dire che i musulmani – neanche come singoli individui – vadano convertiti al cristianesimo. Se no, saranno guai.

  • Maria Michela Petti ha detto:

    Analisi ineccepibile la cui lettura, per quanto spiacevole, mi ha rimandato immediatamente (e non so se con qualche margine di errore) a quel consiglio ricevuto da Bergoglio, al tempo in cui era studente di filosofia, da «un vecchio gesuita, furbacchione, buono ma un po’ furbacchione…: “Se tu vuoi sopravvivere nella vita religiosa, pensa chiaro, sempre; ma parla sempre oscuro”». Suggerimento, ovviamente, deplorato a suon di richiami alla trasparenza, al “parlare chiaro che ci fa liberi” unito al ”coraggio di pazienza… per vivere la diocesanità”, nel corso dell’incontro con il clero nella cattedrale di Bologna il 1 ottobre 2017.
    Tattica classica per affermare negando. E, guardando alla realtà, mi sembra di riconoscere un “sopravvissuto” … eccellente…
    Per inciso: nella stessa occasione aveva dichiarato, fra l’altro: «E’ molto triste quando le chiese rimangono chiuse – alcune devono rimanere chiuse –, o quando si vede un cartello lì sulla porta: “dalla tal ora alla tal ora”». Non è forse quello che sta oggi sotto i nostri occhi, nell’indifferenza generale?
    Dopo aver contribuito ad “oscurare” con un linguaggio consono alle circostanze del momento, infiocchettato con un sentimentalismo coinvolgente e non privo di toni ambigui, quello che – comunque la si pensi – era stato fino all’inizio del pontificato in atto un magistero in cui e di cui si ribadivano sempre, e con parole inequivocabili principi “cardine”, irrinunciabili, siamo oggi a dover registrare il silenzio tombale di ministri del sacerdozio che addirittura (stando alla recente Lettera della presidenza CEI ai vescovi) sembrano far risalire alle misure anti covid lo svuotamento delle chiese e l’ allontanamento in particolare di bambini, giovani e anziani dalla vita ecclesiale, per la quale ora si propongono di ricercare “nuove forme di presenza”. Ma le misure – come era stato evidenziato – non erano state concordate al tavolo della “trattativa” con organi di governo? E non è stato sempre il papa, per primo, (sia pure con il suo abituale dire di tutto e subito dopo il contrario dello stesso tutto) a caldeggiare il rispetto delle norme a difesa della salute dei singoli e di tutti, arrivando a tacciare di “comportamenti adolescenziali” quei preti che – in qualche caso – hanno osato “trasgredire” qualche dettato?
    E che dire di quella che proprio ieri è stata salutata come “sentenza importante” e scivolata addosso come una doccia fresca in questi giorni di afa estiva? L’assoluzione, presso la Corte di Assise di Massa, di Marco Cappato e Mina Welby, che avevano accompagnato anni fa un malato di Sla a morire in una clinica svizzera, «perché il fatto non sussiste» per l’accusa di istigazione e assolti dall’accusa di aiuto al suicidio perché il fatto non costituisce reato. Senza entrare nel merito della sentenza, non avendo competenze specifiche in materia, ricordo che… in altri tempi… non mancava mai di farsi sentire qualche voce su tematiche del genere. Oggi: il vuoto pneumatico!

  • giulia anna anna meloni ha detto:

    quale chiesa?? Roma è occupata da apostati ed eretici e perseguita la vera Chiesa di Cristo, sofferente, martirizzata,marginalizzata. I nostri pastori-martiri covid 19,i nostri pastori che vivono nel nascondimento perchè perseguitati,i nostri pastori isolati e marginalizzati …tutti hanno i comune la stessa ,immutabile VIA,VITA,VERITA’.Il gregge,inizialmente disorientato e smarrito, sta imparando a riconoscere la voce del proprio pastore e a difendersi dai lupi . Teniamo alta la SPERANZA,il buon Dio vede tutto e pagherà tutti con la giusta moneta

    • stefano raimondo ha detto:

      Infatti esemplando il titolo di un celebre libro di Raymond Carver: “What we talk about when we talk about love”, preliminarmente bisognerebbe chiedersi: “Di che cosa parliamo quando parliamo di Chiesa?”

  • giulia anna anna meloni ha detto:

    quale chiesa?? Roma è occupata da apostati ed eretici e perseguita la vera Chiesa di Cristo, sofferente, martirizzata,marginalizzata. I nostri pastori-martiri covid 19,i nostri pastori che vivono nel nascondimento perchè perseguitati,i nostri pastori isolati e marginalizzati …tutti hnno i comune la stessa ,immutabile VIA,VITA,VERITA’.Il gregge,inizialmente disorientato e smarrito, sta imparando a riconoscere la voce del proprio pastore e a difendersi dai lupi . Teniamo alta la SPERANZA,il buon Dio vede tutto e pagherà tutti con la giusta moneta

  • Luigi Cipolla ha detto:

    Veramente non riesco a trovare nulla da aggiungere, se non ringraziare il Signore per il dono di Mons. Suetta.
    Un articolo da incorniciare.

  • EquesFidus ha detto:

    Come già detto in precedenza, il vero problema è che il cattolicesimo in ambito politico e sociale (i quali sono ambiti di sua competenza, come sottolineato dall’esistenza di una, ormai misconosciuta e soggetta a revisioni in salsa liberal-comuniste, Dottrina sociale della Chiesa) si limita a fare battaglie di retroguardia, che non hanno mordente e che sono destinate al fallimento. I nemici di Dio sono feroci ed implacabili, soprattutto pazienti e ricchi: per anni e anni fanno il lavaggio del cervello, si insinuano nei luoghi che contano, respingono i veri cattolici dagli ambienti lavorativi dove dominano incontrastati (due su tutti media ed università) e nel caso immettono e promuovono in quegli ambienti, quando non possono farne a meno, dei simulacri liberal, dei finti “cattolici moderati” che predicano le loro stesse idee ma in modo più soft, cosicché anche i veri cattolici possano essere blanditi, corrotti e portati a pensarla come loro (ma non come Cristo). Se pensiamo all’Italia ed al mondo di sette anni fa, all’epoca del DDL Scalfarotto, e a quello di oggi, del DDL Zan, ci rendiamo conto che c’è un abisso, in questo mondo vorticoso fatto di elites nazionali e sovra-nazionali che hanno il potere di imporre le loro scelte, di poter determinare le coscienze con un lavoro certosino di egemonia mediatica, culturale e (adesso purtroppo) anche religiosa. Purtroppo, il Ripristino (sociale, morale, religioso) non potrà avere luogo finché continueremo con questa fallimentare mentalità di sudditanza e di difesa ad oltranza di alcuni principi, che chi doveva difendere per primo tra l’altro ha già provveduto a svendere al mondo: come in un ring, chi passa tutto il suo tempo a difendersi e non contrattacca (o, meglio ancora, prende l’iniziativa ed attacca lui per primo) non può che perdere, non importa quanto lui sia esperto o forte o veloce e quanto inesperto o debole o lento il suo avversario. E’ così anche nell’agone politico-sociale: se pensiamo che bastino risicate maggioranze in Camera e (soprattutto) Senato per respingere certe leggi e, magari, eroderne altre parimenti oscene (aborto, divorzio e unioni civili) nell’ottica di un ritorno alla società (ed alla civiltà) cristiano-cattolica, quando decenni di propaganda e della semplicistica proposta che “sinistra=buoni, destra=cattivi) hanno imposto nella maggioranza popolare simili pensieri, quando circa il 10% degli italiani sono ancora cattolici, allora abbiamo un serio problema. Dobbiamo metterci in testa che dobbiamo contrattaccare, su tutti i fronti, e che non bastano due televisioni dei preti ed un canale di Youtube che non vede nessuno per metterci la coscienza a posto: è necessario ripartire dalle televisioni, dalle università, andare ad ingaggiare i liberali, i comunisti ed i modernisti sul loro terreno, senza mai dimenticare però Dio e la preghiera, che non sono dei meri “accessori” ma i presupposti per qualsiasi azione autenticamente cattolica. Dobbiamo iniziare ad attaccare, anche pesantemente, anche a costo di essere bollati come “reazionari”, come “fascisti”, non facendoci scrupolo di usare mezzi legali per contrastare questi soggetti (per esempio, quando alle veglie delle Sentinelle in Piedi offendono dando delle “m….” e dei “fascisti”, velatamente anche dei pedofili, non si possono denunciare certi soggetti per diffamazione?), tutti uniti e non più divisi in singole (e quindi, deboli) fazioni di “tradizionalisti” una contro l’altra armata. Possiamo pensarla diversamente ed avere scopi diversi su alcune cose, ma sul nucleo della fede cattolica no, questo non ci è concesso: ricordiamo l’apostolo Paolo, e le divisioni tra le varie comunità? Bisogna inoltre avere la forza di proporre modifiche legali e costituzionali, qualora questa legge non riuscisse a passare; dobbiamo bloccare la propaganda LGBT nelle scuole e nei media, vere fonti di potere per i nemici di Cristo di ogni ordine e grado, i Gay Pride, dobbiamo riuscire a far entrare in Costituzione che il matrimonio è solo fra un uomo ed una donna, dobbiamo (possibilmente) abrogare il reddito di cittadinanza e sostituirlo con un (vero) reddito di maternità. Possono sembrare utopie, ma se ci affidiamo a Dio, se combattiamo uniti anche un 10% può cambiare il destino malevolo del nostro Paese: pervertiti e strano-sessuali lo dimostrano, erano ben meno del 10% ed ora dominano le sorti di questo sciagurato Paese. Se ci crediamo; se poi non ci crediamo siamo complici di questo sistema e siamo solo zizzania e non grano, meritevoli di essere bruciati dal padrone della messe con chi, a parole ma non nella fede e nei fatti, vogliamo contrastare.

    • Stefano ha detto:

      Monumentale!.. Sottoscrivo dalla prima all’ultima parola… Con un aggiunta ed un auspicio: che assieme alla costituzione, si cambi anche, e finalmente, il “papa”.

    • Enrico ha detto:

      «Tutti uniti e non più divisi in singole (e quindi, deboli) fazioni di “tradizionalisti” una contro l’altra armata».

      In teoria questa esortazione non fa una piega. Ma come mutarla in pratica? Chi sarebbe il condottiero (il capo di condotta) riconosciuto come tale da tutte le fazioni e da seguire fedelmente? Perché è chiaro che senza un capo degno di tale incarico la reazione resta un sogno.

      La vedo dura. Per non dire impossibile.

      Sono troppi i galli a cantare, e così non si farà mai giorno.

      Naturalmente mi auguro di essere smentito DAI FATTI, il più presto possibile.

    • stefano raimondo ha detto:

      Commento in ordine al quale c’è poco da aggiungere. Integro umilmente con la constatazione che, anche in ambito cattolico, vieni attaccato per il solo fatto che non ti adegui, che ti distanzi dal gruppo, senza cioè arrecare nessun “danno”. Tale mentalità totalitaria è gravissima, a mio avviso è presente persino una sotterranea invidia per il coraggio di non conformarsi.

    • EquesFidus ha detto:

      Anzitutto ringrazio per gli apprezzamenti.
      @Enrico: nella pratica dobbiamo essere ciascuno di noi a metterci alla sequela di Cristo. E’ Cristo, come diceva don Lorenzo Scupoli nel monumentale “Combattimento spirituale”, il sommo Condottiero per cui dobbiamo combattere, non per altri! Magari Dio invierà una nuova Santa Giovanna d’Arco a radunare il suo gregge, magari chiede a ciascuno di noi di farlo: questo implica anche che non serve un unico capo, ma che i vari “capi” imparino ad andare d’accordo e, anche se sotto sotto non si sopportano o hanno interessi diversi, a mettere da parte le divergenze in uno spirito di carità fraterna e cristiana. Non devono più esistere i pliniani, i dematteiani, i lefebvriani e così via, non per queste battaglie comuni quantomeno: no! No, e ancora no! Ci può essere diversità di vedute, ma quando si arriva al dunque, quando ci sono leggi che bisogna riconoscere (a meno di non essere cristiani) contrarie alla religione, alla libertà (quella vera, che procede dall’essere messi nelle condizioni di poter fare il bene e non il male, non la falsa libertà che è il libertinismo, cioè poter fare quello che si vuole indifferentemente) ed alla morale, si deve combattere uniti, non ognun per sé! Non c’è bisogno, ripeto, di un unico capo, ma che le varie fazioni mettano da parte i loro dissidi ed il loro essere litigiosi e sappiano, per una volta, chinare il capo con spirito di umiltà e di preghiera e collaborare. L’orgoglio non è una virtù, l’umiltà lo è; l’odio non è una virtù, la carità lo è; le divisioni da parte di chi professa la stessa Verità non sono virtù, l’ut omnes unum sint paolino lo è. I nemici di Cristo questo lo sanno fare: comunisti, liberali e strano-sessuali hanno (almeno in parte) interessi diversi e si odiano pure tra loro e all’interno delle loro stesse fazioni (vedasi gay, lesbiche e bisessuali che si danno addosso gli uni contro gli altri), però riescono a marciare compatti e ad affrontare uniti l’odiata Chiesa, perché noi no? Perché noi non siamo in grado di riconoscere che, per quanto gli altri non ci piacciano, pur stringendo i denti dobbiamo fare fronte comune e che divisi siamo destinati a cadere, uniti nel nome di Cristo potremmo vincere? Anzitutto, dobbiamo iniziare noi, singoli fedeli, a partecipare a certe iniziative e manifestazioni meritorie, indipendentemente da chi le organizza; per il resto, sarà bene che dai vari capi “tradizionalisti” (o presunti tale) in giù, fino a capetti, capibastone ed arruffapopolo ci si dia una regolata ed impari a collaborare, anziché a tenere fermo il punto (anche su questioni encomiabili, ci mancherebbe altro!) rispetto alle altre fazioni; altrimenti, tutto il prestigio ed i riconoscimenti alla fine saranno solo polvere e sterco.
      Concludo riportando una nota storica: durante la Prima Crociata, l’unica che ebbe effettivamente successo e che riuscì veramente a prendere Gerusalemme, c’erano non meno di una dozzina di comandanti solo tra i Franchi e Normanni, tuttavia riuscirono a vincere quasi tutte le battaglie verso la Città Santa e, infine, a sconfiggere le forze musulmane durante l’assedio. Ci riuscirono perché facevano fronte comune e perché, pur avendo scopi diversi, riuscirono a marciare in Terrasanta compatti, a collaborare per un unico scopo pur mantenendo una certa diversità di leadership e di truppe. Per quanto ciascuna nobile fazione avesse degli uomini che obbediva solo ad essa, e per quanto ci potessero essere rivalità e desideri diversi tra gli uni e gli altri, il pensiero di liberare i fratelli nella fede ed i luoghi santi dal giogo mussulmano, unito alla consapevolezza di adorare lo stesso Dio, riusciva a farle rigare dritti, a farle combattere per un unico scopo. Non è impossibile, se c’è la buona volontà, la fede ed uno scopo comune; se però le divisioni (a volte giustificate, a volte no) e gli interessi (personali o di gruppo) prevalgono, si finisce per perdere tutti.

      • Enrico ha detto:

        Caro Equesfidus,

        prendo atto ancora della Sua buona esortazione. Mi corregga se sbaglio: Lei fa appello al formarsi di una coscienza solidale che, data la grave situazione, risulti da una dimenticanza di sé da parte di ogni coscienza particolare con le “sue” motivazioni. Ovvero, come Lei dice, occorre «che i vari “capi” imparino ad andare d’accordo», e cioè « a mettere da parte le divergenze in uno spirito di carità fraterna e cristiana».

        Le confesso che mi sento in forte imbarazzo, stretto fra la Sua esortazione a mettersi sotto il vessillo di Cristo e quanto vien fuori da questo blog (e non solo) che non sembra proprio, neanche minimamente, indirizzato verso un’unione operativa.

        Non vorrei sembrare pignolo ma … che concezione ha ciascuno, fra i cattolici, dello «spirito di carità fraterna»? Non oso pensare alla miriade di interpretazioni che ne sarebbero date su questo blog se si ponesse tale domanda! E saremmo di nuovo da capo a dodici!

        Lei porta l’esempio della Prima Crociata, ma io non so se la qualità (ripeto qualità!) degli uomini d’oggi, compreso il sottoscritto, possa paragonarsi anche alla lontana a quella dei Crociati.

        Concludo ribadendo l’augurio che il mio scetticismo sia smentito al più presto.

        • EquesFidus ha detto:

          Caro Enrico,
          in verità, non si tratta tanto di “una dimenticanza di una parte di sé”, quanto il riconoscimento che, dato il grave ed anticristico periodo storico che stiamo vivendo, la situazione è così grave che alcune divergenze, oggettive e che, in alcuni casi, possono essere più o meno motivate, necessariamente devono passare in secondo piano, altrimenti non ne usciamo, siamo destinati ad una miserabile sconfitta in nome del proprio orgoglio e del proprio desiderio di aver ragione (che è ben diverso dalla correzione fraterna e dalla carità nei confronti del prossimo). Convengo che abbiamo un grave problema anche per intendersi sui fondamentali, ma questo dipende dai singoli, non dall’uso di un linguaggio autenticamente cattolico: nella Chiesa e nella Dottrina cattolica la carità cristiana ha un significato ben preciso, come pure chi sono i miei fratelli (e sorelle) nella Fede.
          Io so solo una cosa: ai tempi della Prima Crociata, Franchi, Bizantini e Normanni non andavano affatto d’accordo. I primi si reputavano gli eredi dell’Impero Romano (grazie a Carlo Magno ed al Sacro Romano Impero, che persisteva formalmente per quanto disgregato nei fatti), i secondi rivendicavano lo stesso diritto ed in più predicavano uno scisma distruttivo, i terzi discendevano da un popolo di razziatori norreni, convertiti da relativamente poco tempo ed in cui persistevano usanze guerriere. Non erano uno stesso popolo (nemmeno i Franchi lo erano, per certi aspetti), si erano anche combattuti in passato (emblematiche le guerre dei Normanni contro i Bizantini in Italia meridionale, che furono proprio i richiedenti aiuto al beato papa Urbano II!) ed avevano tutti i motivi per detestarsi, però trovarono il modo di unirsi e di collaborare. Non erano meno Franchi, Normanni o Bizantini, ma tranne questi ultimi (tra l’altro ancora non corrotti da secoli di scisma) condividevano tutti la stessa fede e, comunque, tutti quanti convenivano che, se non si fosse fatto qualcosa, la Gerusalemme cristiana sarebbe stata completamente distrutta e l’Islam sarebbe dilagato in tutto l’Occidente. Ecco, io credo che dobbiamo riscoprire quello spirito: al termine della crociata, Franchi, Bizantini (che parteciparono, è vero, meno di tutti, per colpa della vigliaccheria di Alessio Comneno) e Normanni non erano meno tali, però collaborando erano riusciti a fare qualcosa di grandioso, erano riusciti a sconfiggere armate che (pur essendo sicuramente tali cifre gonfiate da parte cristiana e sminuite da parte musulmana) sicuramente li sovrastavano di numero, bene organizzate e radicate sul territorio. Mi dica dov’è la differenza con oggi: abbiamo un nemico soverchiante, bene organizzato e radicato (tramite i media ed il mondo dell’istruzione e della ricerca), tuttavia noi abbiamo Dio e la fede; dobbiamo trovare la carità e l’umiltà di ammettere che, forse, a volte certe divergenze si basano su opinioni che hanno scarso significato considerato il gravissimo momento storico in cui ci troviamo. Urbano II, pur essendo pontefice di Roma e pienamente consapevole che coloro che si dicevano (e dicono) “ortodossi” in realtà erano (e sono) degli scismatici, né più né meno, non si mise a fare tanti discorsi, a litigare con Alessio Comneno ed il Patriarca di Costantinopoli: preso atto che la situazione era così grave che degli scismatici che ce l’avevano a morte con lui erano così disperati da scrivergli, indisse la Prima Crociata in loro soccorso. E noi oggi condividiamo, almeno formalmente, la stessa fede (espressa nel Credo), la stessa Dottrina (a partire da quella espressa nei mai abrogati, Catechismi di Trento e di San Pio X), la stessa liturgia (tridentina) e ci mettiamo ad arricciarci su questioni che a volte sono motivate da interessi personali o collettivi, ma che nemmeno riguardano la fede in sé!
          VuoLe un altro esempio? Santa Giovanna d’Arco: Dio suscita una ragazza di diciassette anni per liberare la terra di Francia dagli invasori inglesi. Nessuno avrebbe scommesso un centesimo su una ragazza praticamente analfabeta, che non sapeva combattere per certo, di provincia e che non sapeva nemmeno com’era fatta una corte, figuriamoci guidare un’armata e combattere per Dio e la propria patria; eppure, eccola, dopo nemmeno un anno, alla testa del più grande esercito di Francia, a riportare vittorie così strepitose che i suoi nemici, sfruttando l’avidità di certuni, furono costretti a catturarla e, con un falso processo canonico, metterla a morte.
          Dio non agisce secondi i nostri tempi, ma è un fatto che, come diceva la Santa Pulzella, “occorre dare battaglia affinché Dio conceda vittoria”. Ora mi dica, se l’esercito francese si fosse sgangherato, se ognuno dei capi della truppa si fosse messo a litigare e non avesse combattuto compatto dietro Santa Giovanna, che fine avrebbe fatto? La grazia, in sé, non può annientare il libero arbitrio: le conoscenze divine e le grazie ricevute da Giovanna non potevano sostituire i desideri di soldati riottosi, avidi e meschini. Infatti, alla fine lei fu venduta agli inglesi, accusata ingiustamente di stregoneria ed uccisa. Dobbiamo saper abbassare la testa ed essere più umili, perché l’alternativa non è un riferimento dottrinale e liturgico più solido, ma l’annientamento, la fine del potersi professare cristiani e cattolici. Se preghiamo gli uni con gli altri, lasciamo stare le fazioni ed i gruppi e riconosciamo che l’unica fazione che dobbiamo avere è quella di far parte del Corpo Mistico di Cristo, l’unico gruppo a cui dobbiamo concorrere è a quello che vede nel Salvatore, l’unico, invincibile Comandante, allora possiamo dare battaglia e vincere, altrimenti sarà la fine. Non è utopia, ma è ragione; non è un sogno, può ancora essere la realtà. Prendiamo la Croce e veramente eleviamola a nostro vessillo; chiniamo il capo ammettendo, con umiltà, nel caso di esserci sbagliati o che certe divisioni, oggigiorno, non hanno alcun significato; preghiamo con carità gli uni per gli altri il nostro Dio, anche per chi ci sta antipatici, soprattutto per loro anzi! L’alternativa, carissimo, è la Geenna, in terra e non.

          • Enrico ha detto:

            La ringrazio.

            Continuo a pregare perché le Sue (nostre) aspettative di realizzino. Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

          • EquesFidus ha detto:

            Si figuri; così sia!

  • Sherden ha detto:

    Mi pare che ormai le uniche preoccupazioni reali della CEI, in perfetta sintonia con il capomandamento, siano ridotte a due:
    1) i migranti
    2) la tutela dell’ambiente
    Per il resto, obbedienza assoluta a Cesare, alla luce del neopensiero teologico: “non disturbare il manovratore”.
    E poi si stupiscono che sempre meno gente li segua: persino la più scalcagnata delle ONG fa meglio. E fra la fotocopia e l’originale, ovviamente, si sceglie sempre il secondo.

  • Gene ha detto:

    Del Pozzo ha detto bene, la Chiesa è irriconoscibile… Questa è la sintesi del livello raggiunto in sette anni dai seguaci del signor buonasera.
    È non si fermeranno, anzi la demolizione continuerà a progredire ed anche noi semplici fedeli ne siamo complici.

    • alessio ha detto:

      Il grande DottoreLorenzo Guadagno che dopo essere stato detto dall’ oms
      di avere debellato il vaccino del
      vaoolo in tutto il mondo ,
      si accorge cheil vaccino del
      vaiolo me lo fanno due volte ,perchè
      è positovo e il giorno del mio
      morbillo mi è venuto il
      vaiolo.
      Mio fratello ricoverato a lMeyer ,

  • Enrico ha detto:

    “Ma la Chiesa non ha più nulla da dire?”.

    A parte il fatto che occorrerebbe sapere se esista ancora una Chiesa, “questa” chiesa è un pezzo che non ha più nulla da dire. Diciamo più o meno da 60 anni. Una chiesa che parlando di qua e di là e “dialogando” con tutti ha finito per perdere (COME DA PROGRAMMA) la coscienza della sua missione. Tanto, tantissimo ha detto, e tanto, tantissimo ha finito per dire niente.