FORMICOLA, 18 LUGLIO: LIBERALISMO DALTONICO, NON VEDE IL ROSSO
18 Luglio 2020
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, l’avvocato Giovanni Formicola, che ben conoscete, ci ha inviato questa riflessione sul 18 luglio, data convenzionale in cui ebbe inizio l’insorgenza nazionale spagnola, e che acquista un significato particolare in un momento in cui i valori cristiani appaiono sotto attacco in tutto il mondo occidentale. Buona lettura.
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Anche quest’anno è venuto il 18 luglio, data cui convenzionalmente – in realtà il movimento iniziò il giorno prima, nelle Canarie e nell’Africa spagnola – si ascrive l’Alzamiento Nacional, l’insorgenza nazionale spagnola che diventa Cruzada in difesa della fede e della patria, contro l’anarco-comunismo, più cristofobico e antireligioso che “sociale”.
Questo 18 luglio viene dopo che i resti mortali di Francisco Franco Bahamonde (1892-1975), more comunista, sono stati strappati, contro la volontà dei familiari, all’avello della Basilica della Santa Croce del Valle de los caìdos in cui riposavano, e trasferiti di forza altrove. Tale sacrilega profanazione d’una tomba in terra sacra è stata voluta dal governo rosso-viola madrileno. E purtroppo pare sia stata eseguita grazie al fatto che la Santa Sede, interpellata dalle autorità spagnole, abbia ingiunto ai benedettini cui è affidata la basilica, guidati dall’eroico abate, dom Santiago Cantera Montenegro, di cessare la loro giusta resistenza (cfr. Corriere della Sera, intervista di Pedro Sánchez Pérez-Castejòn – capo del governo iberico – ad Aldo Cazzullo, 8-7-2020).
Che un potere ordini l’esumazione forzosa dei resti mortali d’un “nemico” è sempre cosa particolarmente odiosa.
Ma è proprio abominevole se, come in questo caso, avviene con il consenso dei successori ecclesiali di coloro che furono salvati dal Generalissimo. Questi, insorgendo contro la tirannica repubblica, permise la sopravvivenza della Chiesa in Spagna, che il Fronte Popolare aveva votato all’estinzione mediante sterminio. Ciò che provano l’enorme numero di martiri – tali perché uccisi in odium fidei, o Ecclesiae – già accertati, oltre duemila, in uno spazio e in un tempo (1931-1939) assai limitati, e la dichiarazione di cessazione del culto nella zona controllata dal Fronte Popolare, da parte del ministro del governo rosso Manuel Irujo Ollo (1891-1981).
È perciò oggi particolarmente sentito questo mio annuale scritto di riconoscente difesa della memoria, prima negata, poi vilipesa e calunniata, di quei martiri e di quegli eroi che difesero la fede e fermarono il comunismo, ai quali pochi ormai intendono pagare il debito di gratitudine.
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È cosa ovvia e nota che quando, in una controversia, da una parte provengono argomenti a favore dell’avversario, questi hanno particolare forza probatoria delle di lui ragioni.
Gregorio Marañón Posadillo (1887-1960) probabilmente è un nome che dice poco o niente ai nostri contemporanei, se non come denominazione d’un ospedale a Madrid. Tuttavia si tratta di uno dei protagonisti della comunità scientifica e della vicenda politico-culturale della Spagna tra le due guerre. Fu non solo clinico internista e endocrinologo di fama internazionale, docente universitario, accademico di Spagna, ma anche politico e saggista. Nella sua abitazione, il 14 aprile 1931, avvenne la riunione che decise l’esilio del re Alfonso XIII (1886-1941) e la proclamazione della seconda repubblica spagnola. Ciò che non gl’impedì di criticare gl’incendi di chiese e conventi con cui questa fu “festeggiata”.
Fu poi eletto deputato repubblicano alle Cortes Constituyentes. L’11 febbraio 1933 fu tra i co-fondatori dell’Associazione “Amici dell’Unione Sovietica”.
Quando il 18 luglio 1936 seppe dell’Alzamiento, mentr’era in Portogallo, rientrò subito a Madrid “per sostenere la repubblica”.
Ma presto dovette ricredersi, e soprattutto pentirsi, perché le sue trascorse critiche alle violenze rosse e il suo appello a che la repubblica assumesse un carattere liberale e nazionale fecero sì che subito fosse inserito negli elenchi dei “nemici del popolo”, del che non gli sfuggiva la seria minaccia. Perciò, alla fine del 1936, di fatto, non ebbe altra scelta che rifugiarsi in Francia, a Parigi, e non per sfuggire ai nacionales di Franco. Fu lì che pubblicò alla fine del 1937 un importante articolo, con il quale, non con l’autorità del politico – disse –, ma con quella del testimone dei fatti, raccontava e valutava gli accadimenti che stavano sconvolgendo la sua patria.
È in questa pubblicazione la preziosa testimonianza, che provenendo da un avversario aiuta a comprendere l’assoluta legittimità e giustizia dell’Alzamiento Nacional.
In quest’articolo, Marañón riconobbe l’esistenza di un liberalismo daltonico, che non vedeva il rosso, e se ne faceva subalterno, pur essendo il comunismo la totale negazione d’ogni principio di libertà. Dichiarava, perciò, che l’alternativa vera in Spagna era “comunismo sì, comunismo no”, e lui si schierava senza esitazione per il “no”. Però troppi liberali – noi diremmo oggi troppi “moderati” – pativano l’egemonia cultural-psicologica dei comunisti (“il nemico è solo a destra, è solo il reazionario”), e per il timore d’essere esclusi dal ceto intellettuale, d’essere giudicati “nemici del popolo” e di non essere ritenuti “uomini moderni” (oggi diremmo “politicamente corretti”), si erano spostati dal lato dei rojos. I quali, secondo Marañón, s’erano impegnati sin da subito per avere la “copertura” di tali liberali, senza la quale non avrebbero mai avuto la possibilità d’essere protagonisti della lotta politica in Spagna. Egli accusava il liberalismo, non solo spagnolo, di una cecità che l’aveva indotto a “vendere l’anima al diavolo comunista”, come nel passato aveva favorito il terrore giacobino. Concludeva il suo articolo con queste parole, “[…] in politica l’unica dinamica psicologica del cambiamento è la conversione, mai il convincimento. E si deve sempre sospettare di chi cambia perché dice d’essersi convinto”. E lui s’era “convertito” alla parte nacional, tanto che nel 1942 tornò in patria e vi rimase, libero di pubblicare i suoi scritti e rispettato, fino alla morte nel 1960.
E’ utile trascrivere anche come viene presentato Marañón dalla redazione della rivista, prima di leggerne la detta testimonianza.
“L’autore del rimarchevole studio che noi presentiamo ai nostri lettori è m. G. Marañón, dell’Accademia di Spagna. Medico, saggista, […] è stato fondatore d’una grande associazione repubblicana, la cui attività ha cominciato a diffondersi in Spagna un anno prima della caduta della monarchia. La prova del repubblicanesimo del dr. Marañón non è dunque necessaria, il che consente di ritenere particolarmente significativo quest’articolo”.
E vengo alla parte che più pesa per il mio scopo.
“[…] i partiti e la stampa di destra annunciavano una serie di catastrofi se il movimento repubblicano avesse trionfato […]. Sarebbe ora arbitrario discutere su che cosa sarebbe accaduto se non fosse stata proclamata la repubblica – fatto a mio avviso inevitabile nelle circostanze date. Nella narrazione della storia va assolutamente interdetto l’esercizio di provare a sapere che cosa sarebbe potuto accadere se non fosse accaduto quello che in realtà è accaduto. Tuttavia è fuor di dubbio che le profezie delle destre estreme e dei monarchici, che si opponevano alla repubblica, si avverarono interamente: disordini continui, scioperi immotivati, incendi di chiese e conventi, persecuzione religiosa, esclusione dal potere dei liberali che avevano sostenuto il movimento ma si opponevano alla lotta di classe, rifiuto di trattare in modo tollerante anche quella gente di destra che in buona fede accettava il regime repubblicano pur senza acclamarlo, com’è naturale, nella sua versione estremista. I liberali ascoltarono queste profezie con disprezzo suicida. […] Tuttavia, quale che sia l’avvenire politico della Spagna, non può esserci alcun dubbio che in questa fase della sua storia è il reazionario e non il liberale che ha visto giusto” (G. Marañón Posadillo, A margine della guerra civile spagnola. Liberalismo e comunismo, in Revue de Paris, anno 44, n. 24, 15 dicembre 1937, pp. 799-817).
C’è un’altra testimonianza che può ben integrare questo sforzo di restituire verità alla memoria di Franco e della sua opera, in un giorno anniversario dell’insorgenza nazionale che vede la Spagna di nuovo preda dei nemici di Dio, della Chiesa, e della stessa natura umana, a cominciare dall’identità sessuata della persona.
Essa proviene da Churchill (1874-1965), che sebbene non sia stato un avversario diretto dell’Alzamiento, certo non può essere detto “franchista”,
«[…] l’assassinio di Calvo Sotelo [1893-1936] fu la scintilla che causò l’esplosione», che Franco «e gli altri capi militari, i quali tutti avevano fedelmente servito la repubblica», avrebbero voluto evitare, e perciò avevano messo in guardia il «Governo contro i pericoli a cui esso andava incontro»(cfr. Winston Leonard Spencer Churchill, La Spagna ci offre una lezione pratica [2 ottobre 1936], in Idem, Passo a passo, trad. it. Mondadori, Milano 1947, p. 61).
Le armate di Franco «non possono venire accusate di essere scese al grado di bestialità e di atrocità […] del lavoro quotidiano effettuato dai comunisti, dagli anarchici e dalla […] nuova organizzazione trotzkista, estremista al massimo. Sarebbe un errore, dal punto di vista della verità, […] mettere sul medesimo piano entrambe le parti in lotta» (W. Churchill, ibidem, p. 63).
Giovanni Formicola
Per un primo sintetico approfondimento, mi permetto di suggerire il mio
Difesero la fede, fermarono il comunismo. La Cristiada, Messico 1926-1929. La Cruzada 1936-1939, Cantagalli, Siena 2019.
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Tag: alzamiento, cruzada, formicola, franco
Categoria: Generale
Questa fredda vendetta post mortem, 80 anni dopo la fine delle ostilità, ci dà una piccola idea di cosa sarebbe accaduto ai cattolici se gli anarchici avessero vinto.
COMPAGNI, Fratelli coltelli.
Domandatelo ad Orwell, l’indimenticabile autore di 1984, La fattoria degli animali, … Partecipò alla guerra civile spagnola dalla parte dei ROSSI.
Nel maggio 1937 in Barcellona si beccò una fucilata alla gola dai suoi fratelli-compagni rossi durante la guerra fratricida fra i comunisti del PSUC-ERC-UGT (agli ordini di Mosca) e gli anarchici del CNT-FAI e il POUM di Orwell. In quella guerra morirono piú di 500 compagni e altrettanti furono giustiziati durante la repressione del presidente Negrin.
Ma questo è nella solita prassi storica dei “benefattori dei popoli” detti anche comunisti, socialisti, marxisti o “libertadores” di vario nome. Dunque non meraviglia.
Ciò che, invece, è disgustoso – per noi “cattolici” – è l’attuale prassi “religiosa” delle gerarchie apostoliche (legittime ma ortodosse? Cristiane ?): pur salvati da Franco stravaccano sul sangue dei martiri di quella guerra civile. Zitti e mosca si fanno perfino “complici” di profanazioni di tombe (vedi intervista di Sanchez sull’“aiutino” dato da Francesco).
A proposito del “dialogo democratico”.
Risposta data (da Domenico Giuliotti, già nel 1920, a Piero Gobetti, quando il giovane intellettuale torinese lanciò un appello alla collaborazione per “Rivoluzione liberale” (e che sottoscrivo in toto).
«Nessuna osservazione da fare. Nego tutto. Sono antiliberale, antidemocratico, antisociale, anticomunista […]. In questa Italia di briganti-pazzi, vivo con la tristezza ostile d’uno straniero che non ha più patria. Sono dunque da voi dissimilissimo. Voi (professori) cercate di catalogare mentre vi travolgono le ondate della piena, io (poeta) disperatamente spero nell’autodistruzione dell’anarchia e della ricostruzione d’una piramide, con al vertice il papa e alla base il popolo. Ecco il mio programma! Confrontato col vostro, una lirica accanto a un bilancio. Su ciò l’impossibilità di intenderci».
Da http://www.iltimone.org/news-timone/domenico-giuliotti-un-grande-cattolico-e-poeta-che/
Di un’attualità stupefacente. O forse no: così si sarebbe poi sviluppato il “dialogo” per “l’unità nella diversità”. 😂