“VERRÀ UN GIORNO…NON SEGUITELI”. UNA CHIESA PAGANA?

4 Giugno 2020 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, risuona come una chiamata alle armi spirituale l’invito alla riflessione che Gian Pietro Caliari ci ha inviato, e di cui vi rendiamo con piacere partecipi. Buona lettura.

§§§

Venient dies quando desideratis videre unum diem

di Gian Pietro Caliari

Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: Eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli” (Luca 17, 22-23).

L’evangelista riporta questo monito del Salvatore, al termine di un breve colloquio fra Gesù e i farisei, sul tempo della venuta del Regno di Dio, dopo che, in realtà, il Cristo aveva già fornito una precisa indicazione: “γὰρ ἡ βασιλεία τοῦ θεοῦ ἐντὸς ὑμῶν ἐστιν”, “infatti il Regno di Dio è fra/dentro di voi” (Luca 17, 21).

Sappiamo che l’espressione Regno di Dio ricorre 122 volte nei testi del Nuovo Testamento e che i Padri della Chiesa hanno interpretato questa espressione in tre dimensioni.

La prima strettamente cristologia che indica appunto l’auto-basileia di Cristo stesso, vale a dire la piena e completa rivelazione di Dio e del suo Regno in Cristo stesso.

Una seconda più mistica che indica la presenza della Verità di Cristo nell’interiorità stessa dell’uomo credente.

La terza, infine, ecclesiologica che indica nella Chiesa “una, santa, cattolica e apostolica” l’attuarsi del Regno di Dio nella Storia.

Pur non oscurando o tralasciando affatto le prime due accezioni dell’espressione neo-testamentaria – anzi riaffermandole! – fu proprio la terza e ultima dimensione che il Concilio Vaticano II volle riaffermare in senso dogmatico, come dottrina da credersi e credere certa per chiunque sia realmente cattolico.

“Il mistero della santa Chiesa si manifesta nella sua stessa fondazione. Il Signore Gesù, infatti, diede inizio ad essa predicando la buona novella, cioè l’avvento del regno di Dio da secoli promesso nella Scrittura […] La Chiesa perciò, fornita dei doni del suo fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, umiltà e abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio” (Lumen Gentium, 5).

Questa precisa scelta fu profetica perché, a ben vedere, forse qualcuno aveva previsto che dopo la stagione del “Cristo sì, Chiesa no!” sarebbe giunta quella, ben più drammatica, dell’”anche Cristo e del suo Regno no!”.

Il tempo, vale a dire, del paganesimo di ritorno o del neo-paganesimo all’interno stesso della Chiesa Cattolica e come nucleo centrale della contemporanea predicazione!

Scriveva nell’inverno del 1958 – sic! – un allora giovane prete e teologo: “Limmagine della Chiesa moderna è caratterizzata essenzialmente dal fatto di essere diventata e di diventare sempre di più una Chiesa di pagani in modo completamente nuovo: non più, come una volta, Chiesa di pagani che sono diventati cristiani, ma piuttosto Chiesa di pagani, che chiamano ancora sé stessi cristiani ma che in realtà sono diventati da tempo dei pagani. Il paganesimo risiede oggi nella Chiesa stessa e proprio questa è la caratteristica della Chiesa dei nostri giorni come anche del nuovo paganesimo: si tratta di un paganesimo nella Chiesa e di una Chiesa nel cui cuore abita il paganesimo” (Joseph Ratzinger, Die neuen Heiden und die Kirche, in Hochland, LV, 51, 1958-1959, p. 1).

Che cosa poteva intendere già nella seconda metà del secolo scorso, quel giovane teologo? Per comprenderlo, dobbiamo intenderci sul significato di paganesimo moderno o neo-paganesimo.

Si tratta, secondo W. Doniger e M. Eliade di “diversi movimenti spirituali che, pur distinguendosi dai rituali magici propri degli antichi lottano per far rivivere autentici pantheon e rituali di antiche culture, spesso attraverso un approccio deliberatamente eclettico e ri-costruzionista, e attraverso un particolare atteggiamento contemplativo e celebrativo” (in: Merriam-Websters Encyclopedia of World Religions, Merriam-Webster, 2000, pp. 794-795 ).

Ancor più indicativa e precisa la definizione che ne da il filosofo italiano Salvatore Natoli per il quale benché si tratti di un movimento che ha distinte visioni teologiche, cosmologiche e antropologiche, ha un comune e preciso approccio naturalistico, umanistico e relativistico (cfr. La salvezza senza fede, Torino, 2007).

Molti cattolici, e giustamente, si sono scandalizzati e infuriati quando hanno dovuto assistere al disgustoso e satanico rituale di frati e suore allegramente prostrate in atto d’apostatica adorazione della Pachamama e di un idolo fallico, nei giardini vaticani e alla presenza del Successore di Pietro e del Vicario di Cristo. O alla lugubre processione di vescovi che, non curanti di essere tali solo perché successori degli apostoli, dall’altare della Confessione, portavano a spalla le stesse effigi idolatriche fino all’aula del Sinodo.

E, a ben dire, non si trattava di semplice folclore pan-amazzonico!

Troppi cattolici, invece e ingiustamente, non s’indignano per una martellante, dilagante e sempre più disonesta predicazione che ha del tutto espunto, se non addirittura escluso, l’annuncio di Cristo e del suo Regno per imporre, al contrario, un neo-dogma pagano il cui contenuto è sfacciatamente naturalistico, umanistico e relativistico.

Questo, invece, è a ben vedere il nucleo centrale della “Chiesa in uscita” libera e dell’”andare oltre la Chiesa” che deve evitare “ogni autoreferenzialità” in nome “dell’ecologismo integrale”, “del neo-umanesimo”, della “situazione concreta”  e della “fraternità universale”, sempre e doverosamente integrale.

Basta sostituire integrale con dogmatico e il gioco e fatto!

Che fare, allora, per chi non vuole da cattolico cadere nella sinuosa trappola di coloro che additano neo-paganamente “Eccolo là, o: eccolo qua”? Certo “non andateci, non seguiteli” (Luca 17,23), ma come concretamente?

Tre elementi appaiono e sembrano almeno essenziali.

Il recupero, innanzi tutto, della sacralità liturgica di fronte alla banalizzazione del Sacrum, cioè di Dio stesso Trinità Santissima! Anche perché proprio in questo si è manifestato il totale fallimento della riforma liturgica post-conciliare.

“Il fondamento – infatti . dellunione delluomo con Dio è la piena distinzione tra luomo e Dio. Per questo la pienezza dell’unione è data dalla Rivelazione cristiana, che pone lunione tra Dio e luomo a partire dalla piena distinzione tra Dio e luomo. Latto redentore è un atto unico, latto del solo Cristo: un atto inter-trinitario in cui il Figlio offre la sua umanità e lumanità del mondo in sacrificio al Padre in un atto di assoluta adorazione. Qui solamente il Mistero trinitario è manifestato nella sua verità” (G. Baget Bozzo, LAnticristo – il principe delle tenebre opera nella storia da piccole fessure, Milano, 2001 p.46).

Nella liturgia, infatti, è stata ed è ancora inferta la ferita più grave e letale alla fede e al popolo cattolico, nella sua dimensione più originaria e imprescindibile di Mysterion, cioè il Sacrum.

Il non conformismo, poi, come dimensione essenziale della fede cattolica: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Romani 12, 2).

L’ammonimento dell’Apostolo delle Genti era così commentato dall’allora cardinal Ratzinger: “Dobbiamo riscoprire il coraggio del non conformismo davanti alle tendenze del mondo opulento. Invece di seguire lo spirito dell’epoca dovremmo essere noi a marchiare di nuovo quello spirito con l’austerità evangelica. Noi abbiamo perduto il senso che i cristiani non possono vivere come vive chiunque. L’opinione stolta secondo cui non esisterebbe una specifica morale cristiana è solo una espressione particolarmente spinta della perdita di un concetto base: la differenza del cristiano rispetto ai modelli del mondo” (V. Messori, Rapporto sulla fede, Roma, 1985, p. 64).

È questa la necessaria riscoperta di un’identità cattolica, nutrita della semplice ma radicale gioia di aver incontrato Colui che solo è “Via, Verità e Vita”, (Giovanni 14, 6) ma anche di umile fierezza di essere ancora “una patria dell’anima” per coloro che sono “affaticati e oppressi” dall’oppressione sempre più pervasiva ed esiziale del neo-paganesimo dominante.

Riscoprire, infine, il carattere martiriologico-missionario della nostra fede senza infondate e sospettose remore di proselitismo, anch’esso integrale e dunque dogmatico.

Scriveva ancora Ratzinger: “La cultura atea dell’Occidente moderno vive ancora grazie alla libertà dalla paura dei demoni portata dal cristianesimo. Ma se questa luce redentrice del Cristo dovesse spegnersi, pur con tutta la sua sapienza e con tutta la sua tecnologia il mondo ricadrebbe nel terrore e nella disperazione. Ci sono già segni di questo ritorno di forze oscure, mentre crescono nel mondo secolarizzato i culti satanici” (V. Messori, cit, p. 79).

Non è sufficiente, insomma, farsi prossimo al prossimo nel nome di un neo-umanitarismo integrale e caritatevole, infarcito di Gaudium et Laetitia. “Ciò resta sempre insufficiente” – scriveva infatti Paolo VI – “perché anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata – ciò che Pietro chiamava dare le ragioni della propria speranza – esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù. […] Non c’è vera evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati” (Evangelii Nuntiandi, 22).

Si tratta, in fin dei conti, di soli tre apparentemente banali, spunti di riflessione. E a ben vedere, non siamo proprio certi che anch’essi bastino ad evitare “l’abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele” (Matteo 24, 15).

Di una cosa siamo, tuttavia, certi non sono temi per masse osannanti e festose – altri di questi tempi affannosamente le ricercano – ma per cercare la via a un parvulus grex, forte, gioioso e fiero del suo Signore che ancor oggi lo rinfranca a resistere e lo invita a non disperare: Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno” (Luca 12, 32).

«Simili ipotesi hanno ovviamente allentato in molti la tensione missionaria. Qualcuno ha cominciato a chiedersi: “Perché disturbare i non cristiani inducendoli al battesimo e alla fede in Cristo, visto che la loro religione è la loro via di salvezza nella loro cultura, nella loro parte del mondo?”. In questo modo si è dimenticato tra l’altro il legame che il Nuovo Testamento instaura tra salvezza e verità, la cui conoscenza (lo afferma Gesù in modo esplicito) libera e quindi salva. o, come dice san Paolo: “Dio nostro salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità”. La quale verità, prosegue subito l’Apostolo, consiste nel sapere che “uno solo è Dio e uno solo è il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Tim 2, 4-7). È quanto dobbiamo continuare ad annunciare – con umiltà ma con forza – al mondo d’oggi, sull’esempio impegnativo delle generazioni che ci hanno preceduti nella fede».

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7 commenti

  • Marco Matteucci ha detto:

    LE INCREDIBILI RIVELAZIONI DELLA MADONNA DEL PINO
    ‟Il prossimo papa sarà l’impostore e le forze maligne stanno dietro a questo scismaˮ

    Avola, 28 Marzo 2010 – la Santa Vergine:

    “Coloro che si sono allontanati seguiranno l’impostore. Fate attenzione! Non seguitelo! Non obbedite alle sue parole, seguite in questi tempi il Mio figlio, Papa Benedetto XVI, circondato da nemici e traditori, pregate state vicino a lui con la vostra preghiera che non sia sostituito. Lui vi guiderà alla salvezza delle vostre anime e di tutta la Chiesa.”

    Se vuoi leggere tutto:
    https://reginadelcielo.wordpress.com/2019/12/01/le-incredibili-rivelazioni-della-madonna-del-pino/

  • Gaetano2 ha detto:

    “Queste tre parole latine: UT UNUM SINT, riaffiorano periodicamente alla mia coscienza, ripresentandomi l’enigma, da me mai risolto, rappresentato dall’UNUM…”

    Penso che una delle preghiere della Chiesa (quella maiuscola e non “neo”) che mi ha sempre colpito, e che mi annotai, esprima qualcosa che possa riguardare tale commento, tenendo presente che l’Uno è allo stesso tempo Vero e Bene:
    “Deus, qui fidelium mentes unius efficis voluntatis: da populis tuis id amare quod praecipis, id desiderare quod promittis; ut inter mundanas varietates ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gaudia”

    • Enrico ha detto:

      Vero. Grazie.

      Però, meglio aggiungere il suggellante e dirimente “Per Christum Dominum nostrum”.

      Sa, specialmente di questi tempi il solo “Deus” può essere accaparrato da qualche ecumenista anarchico-politeista che dopo essere stato irrorato dallo “spirito di Assisi” se ne va a “pregare” nella camera di meditazione dell’Onu. 😉

      • Gaetano2 ha detto:

        E’ vero! Oggigiorno, spesso, non si può dare per scontato ciò che in altri tempi era ovvio.

  • stilumcuriale emerito ha detto:

    Che succede in Vaticano?
    Oggi, per la seconda volta (la prima è stata il 2/6/2020) il bollettino della Sala Stampa non è stato aggiornato (ormai sono le ore 21:11) e non c’è alcun nuovo tweet del Santo Padre. Mah?

  • Maria Michela Petti ha detto:

    Ci viene rinnovato l’appello ad annunciare «l’uomo Cristo Gesù che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1 Tim 2, 4-7) con una testimonianza di vita fedele al messaggio della Sua predicazione e all’ estrema prova di amore totale e totalizzante nel sacrificio sulla Croce, a perenne memoria dell’autentica carità, per noi richiamo al bene verso il prossimo che va oltre le parole e si eleva al di sopra delle necessità materiali, pur tuttavia non trascurabili.
    Discepoli e testimoni di quel Maestro venduto per trenta denari. Ma Giuda si aggira ancora in mezzo a noi e si è arrivati oggi a “svendere” quella Croce per un preteso fin di bene, per raccogliere fondi da destinare ad opera caritative.
    È partita sulle reti RAI una gara a conseguire tale scopo piegando alla logica dello share anche il comando “non sappia la tua destra…”.
    Non solo: per 1.000 euro è stata ceduta la Croce a soddisfacimento del programma promozionale della Porsche! E tutto va bene…così… ormai!

    https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202006/200604montanari.pdf

  • Enrico ha detto:

    Davvero UT UNUM SINT?

    Queste tre parole latine: UT UNUM SINT, riaffiorano periodicamente alla mia coscienza, ripresentandomi l’enigma, da me mai risolto, rappresentato dall’UNUM. E non è che l’intero versetto 17, 21 di Giovanni mi risulti accessibile più di tanto:

    “perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato”.

    Se poi passo al verso 17, 23 l’enigma diventa ancora più impenetrabile:

    “Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità”.

    Questo UNUM, questa COSA SOLA, questa Causa di PERFEZIONE, insomma, sfugge al mio pensiero che lo può cogliere soltanto come concetto e parola, appunto “UNUM”, non certo IN SE STESSO. Di fatto, la parola “UNUM” oggettiva ciò che non è un oggetto, bensì, stando a quanto è scritto, il Soggetto Unico, la Perfetta Sintesi nella quale “tutti siano una cosa sola”. Dice TUTTI, cioè la MOLTEPLICITÀ.

    Ora, questo UNUM si presenta (altra scudisciata per il mio intelletto) come Padre che è nel Figlio e come Figlio che è nel Padre, e, ancora, come Figlio “in loro” (i discepoli). E se aggiungo che l’amore che spira tra il Padre e il Figlio è lo Spirito Santo, ecco che questo UNUM si fa TRINO e addirittura personale:

    “Tre Persone uguali e distinte”.

    Qui ancora un shock per l’intelletto: uguaglianza e distinzione.

    E questo UNUM, in quanto Sintesi, non può intendersi come somma, come la TRINITÀ non può intendersi come somma delle Persone proprio grazie alla loro uguaglianza e distinzione che rendono l’UNITRINO inafferrabile dall’intelletto umano.

    Ed infatti, la somma riguarda la quantità e non la qualità, e, almeno a me, vien da ritenere che la Divinità sia questione di qualità, anzi della qualità più eccelsa, che si trova incommensurabilmente oltre l’intelletto ed il pensiero.

    Sorge qui, sempre per me, il tema della REDUCTIO AD UNUM, cioè dell’UNIFICAZIONE DEIFICANTE DEL MOLTEPLICE, ossia di “tutti”, ciò facendomi sospettare che questo UNUM sia qualcosa di estremamente SEMPLICE, cioè SINE PLICO: SENZA PIEGA, insomma NON COMPOSTO. Qualcosa di ASSOLUTO (ab-solutum, del tutto sciolto, libero), di superlativamente etereo e trascendente la COMPLESSITÀ DEL MOLTEPLICE. Quindi alche la COMPLESSITÀ DEL PENSIERO.

    Ora, se l’UNUM è SEMPLICE come farà il MOLTEPLICE che è COMPLESSO a RICONDURSI ad Esso?

    Mi sembra questo il quesito riguardante l’ecumene (terra abitata) ed ancora irrisolto: come far sì che la semplicità-assolutezza dell’UNUM diventi il fulcro del MOLTEPLICE che presenta una vastissima gamma di DIVERSITÀ?

    Stando al dettame del Signore, c’è un solo modo per ricondurre il molteplice, cioè le diversità, all’UNUM:

    “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

    Dice “TUTTI I POPOLI” – “OMNES GENTES” – quindi il MOLTEPLICE. Tutti i popoli hanno da diventare DISCEPOLI DI GESÙ CRISTO. Non di qualcun altro o di molti altri: di Gesù Cristo.

    Ora, non si può negare che, a partire dal Vaticano II, certamente per quanto covava già prima di esso e che attendeva l’occasione per imporsi (sì, imporsi!), il dettame del Signore abbia cominciato ad essere ignorato e sostituito con il surrogato dell’ecumenismo fondato sul “dialogo” e non più sull’insegnamento.

    L’annuncio della Buona Novella – dell’UNUM! – non è più il primario intendimento; esso è stato accantonato in favore del “dialogo ecumenico”, o “dialogo interreligioso”, in forza del quale la Verità rivelata da Gesù Cristo è messa sullo stesso piano delle altre “verità”, non solo religiose ma anche laiche, anzi laiciste, libertarie e libertine.

    Si pensi ad un Paglia che del defunto Pannella arriva a dire: “il Marco pieno di spirito continua a soffiare … Io mi auguro che lo spirito di Marco ci aiuti a vivere in quella stessa direzione … Marco ispiratore di una vita più bella non solo per l’Italia, ma per questo nostro mondo, che ha bisogno più che mai di uomini che sappiano parlare come lui … uomo di grande spiritualità, una grande perdita per questo nostro Paese”.

    E Paglia, si badi bene, non è un fuoriuscito di testa bensì un lucido propalatore dello spirito ecumenista, neo-umanista, neo-evangelizzatore, new age e lgpt, e non certamente dello spirito cattolico.

    Sta di fatto che il dialogo appiattisce le parti che dialogano in una sorta di equivalenza che rende vana la preminenza del Cristo quale Redentore-Unificatore, ciò dando giocoforza la stura al sorgere di un valori ibridi e quindi insignificanti quali la “fratellanza” e la “pace”.

    Allora non più l’UNUM qualitativo bensì una generica unione quantitativa intorno ad uno pseudo unum quasi esoterico e conciliatore degli opposti, una sorta di unità trascendente delle religioni, delle filosofie e dei “valori” laicisti e atei. Insomma, un autentico groviglio anti cattolico.

    Così i seguaci della chiesa ecumenista (non ecumenica, ecumenista) non sono più i DISCEPOLI di Cristo UNITI poiché battezzati nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (e nutriti dalla grazia dei Sette Sacramenti), bensì i “dialoganti”, il cui collante illusorio è una pace senza Cristo che finisce per somigliare molto ad un’anarchica tregua stabilita mettendo nero su bianco, di cui ultimo esempio è il documento di Abu Dhabi sulla “Fratellanza umana. Per la pace mondiale e la convivenza comune” (da notare la sentimentalistica, micidiale genericità di tale espressione atta a sedurre le menti), documento perfettamente in linea con “lo spirito di Assisi”, in merito al quale è molto istruttivo leggere quanto ne dice il card. Roger Etchegaray (scomparso nel 2019) in un capolavoro di commistione fra Verità rivelata e spirito ecumenista, e che il medesimo porporato, ormai scattolicizzato, conclude con un disinvolto: “Spirito di Assisi, scendi su noi tutti”. Non lo Spirito Santo, lo “spirito di Assisi”.

    Per non dire dell’acrobatica espressione di Woitila: “essere insieme per pregare ma non a pregare insieme”, implicitamente assertiva del politeismo. E questo, dopo aver acrobaticamente affermato:

    “Ogni preghiera autentica è ispirata dallo Spirito Santo che è misteriosamente presente nel cuore di ogni uomo”.

    Sennonché, poiché lo Spirito Santo è Dio con il Padre e con il Figlio, non si capisce bene (o forse si capisce fin troppo bene) dove vada a parare lo “spirito di Assisi”.

    E così, mentre il cardinale invoca lo “spirito di Assisi”, Woitila invoca un ambiguo Spirito Santo “presente nel cuore di ogni uomo”, estraneo tanto al Padre quanto al Figlio, se presente nel cuore di ogni uomo e non di ogni battezzato nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

    Lo “spirito di Assisi” del 1986, 1993 e 2002 è confermato (anche se a malincuore!) da Ratzinger nel 2011. In questa occasione, altra acrobazia mal riuscita di un cardinale messo subito sull’attenti dal rabbino capo e costretto a ritrattare in un modo inqualificabile e, occore dirlo, disgustoso:

    “Il 7 luglio (20119 il cardinale Kurt Koch, successore per volere del Papa all’Unità dei cristiani del cardinale Walter Kasper, introdusse la giornata di Assisi arrivando a definire la croce di Gesù “il permanente e universale Yom Kippur” e indicava in essa “il cammino decisivo che soprattutto ebrei e cristiani dovrebbero accogliere in una profonda riconciliazione interiore”.

    Furono queste parole a provocare l’aspra reazione di Di Segni il quale, il 29 luglio ancora sull’Osservatore, scrisse: “Se i termini del discorso sono quelli di indicare agli ebrei il cammino della croce, non si capisce il perché di un dialogo e il perché di Assisi.

    Una replica a Di Segni firmata da Koch apparve contestualmente sul giornale Vaticano il 29 luglio è bastò a sedare l’ira del rabbino capo di Roma:

    “Non ritengo assolutamente che gli ebrei debbano vedere la croce come noi cristiani, per poter intraprendere insieme il cammino verso Assisi”, disse. E ancora: “Non s’intende pertanto sostituire lo Yom Kippur ebraico con la croce di Cristo, anche se i cristiani vedono nella croce il permanente e universale Yom Kippur”.

    http://www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents/ju_mag_june-sept-1996_etchegaray-assisi_it.html

    https://www.ilfoglio.it/articoli/2011/10/27/news/lo-spirito-di-assisi-secondo-ratzinger-63531/