MALTA. COMINCIANO – TIMIDAMENTE – LE GRANDI MANOVRE.

13 Maggio 2020 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, mi è capitato qualche giorno fa di incontrare un vecchio amico che fa parte dell’Ordine di Malta, e gli ho chiesto – a distanza sociale di sicurezza e con mascherine – quale era la situazione in quel glorioso ordine sovrano e militare.

§§§

Gli eventi ci danno ragione.

Giusto il tempo di chiudere la lapide di marmo della cripta della chiesa della villa magistrale dell’Aventino dove ora riposta il defunto Gran Maestro, fra’ Giacomo Dalla Torre, dopo un funerale che non spiccherà certo per solennità negli annali dell’Ordine, iniziano – anche se un po’ timidamente – le grandi manovre.

Reca la data del 6 maggio (il funerale, come ricorderete, è stato il 5) una lettera inviata ad alcune cariche dell’Ordine e formalmente firmata da quello che con la morte del Gran Maestro ha assunto la funzione di “Luogotenente interinale”, il Gran Commentatore fra’ Ruy Gonçalo do Valle Peixoto de Villas Boas. Scriviamo “formalmente” perché è noto che egli sia rimasto nel nativo Portogallo a causa della pandemia, tanto da non aver nemmeno partecipato alle esequie di Dalla Torre; il che è anche comprensibile avendo ottant’anni…. Naturalmente gli diamo il beneficio della buonafede e supponiamo che abbia visionato almeno una bozza della lettera che reca la sua firma.

Perché? Beh, perché il testo contiene molti spunti di riflessione, che come potrete vedere rafforzano le nostre osservazioni (qui).

Il testo che visioniamo è la versione in inglese.

Cominciamo dai destinatari: la lettera è indirizzata ai “Membri del Sovrano Consiglio”, ai “Membri del Consiglio di Governo”, ai “Procuratori dei Gran Priorati”, ai “Reggenti dei Sotto-Priorati” e ai “Presidenti delle Associazioni Nazionali”. Mancano all’appello, però, i “balì di giustizia” (coloro i quali cioè, tra i religiosi, per via dell’alto grado sono considerati “dignitari” dell’Ordine e sono elettori di diritto del Gran Maestro) e naturalmente i cavalieri professi, cioè i religiosi dell’Ordine (di cui è responsabile ordinariamente il Gran Commendatore, cioè lo stesso fra’ Ruy Gonçalo), a cui magari per primi interesserebbe il futuro dell’istituzione nella quale hanno emesso i voti di castità, povertà e obbedienza. Ma tant’è.

Il testo inizia commemorando le avvenute esequie del Gran Maestro (che evidentemente il luogotenente avrà seguito in streaming?), e si ribadisce l’intenzione di celebrare, in data da destinarsi nell’anno, una “solenne santa Messa da requiem”, continuando dunque a non far alcun accenno alle esequie di Stato.

Ma il bello arriva adesso (i commenti alla fine): si legge infatti che in uno dei ultimi “lasciti verbali” (“verbal legacies” nel testo inglese) il defunto Gran Maestro avrebbe espresso «il suo profondo rammarico per non essere più in grado di adempiere alla sua promessa al Santo Padre di completare la riforma dell’Ordine.».

E dopo aver commemorato le virtù del compianto Gran Maestro, si dice: «Sarà difficile seguire questo esempio, ma mi sento allo stesso tempo obbligato e anche incoraggiato dal suo esempio a continuare ulteriormente il percorso che egli ha intrapreso. Molto lavoro è già stato compiuto. Dobbiamo portare avanti la riforma dell’Ordine. Spero che saremo in grado di decidere sulla riforma della nostra Carta costituzionale e del Codice in un Capitolo straordinario Generale entro quest’anno.».

Quindi aggiunge che a causa della pandemia «non sarà possibile convocare un Consiglio Compìto di Stato entro tre mesi, come previsto dal Codice, considerando anche le necessarie precedenti elezioni dei delegati.»; e dopo aver auspicato che tali elezioni possano svolgersi entro la fine dell’anno, comunica che «supportato dalla decisione unanime del Sovrano Consiglio dovrò guidare l’Ordine più a lungo di quanto previsto nel Codice come Luogotenente ad interim.».

E aggiunge ancora: «Utilizzeremo questa occasione per completare operosamente i testi per la riforma.»

La lettera si conclude con un riferimento alla pandemia e all’impegno dei membri e dei volontari dell’Ordine in supporto ai bisognosi, nonostante la perdita di un “leader eccezionale” (come se l’impegno di zelo cristiano fosse legato a una persona e non frutto di fede e di valori che prescindono da chi le rappresenta) e chiede preghiere per l’Ordine, per se stesso e per quanti ne reggono il governo.

Alcune riflessioni.

  • esplicitare che la fantomatica riforma dell’Ordine era il grande desiderio irrealizzato del defunto fra’ Giacomo riconduce il tutto all’analisi che abbiamo già fatta, e cioè considerare il processo riformativo come un “legato mortis causa” del Gran Maestro, dunque una sorta di “dovere morale”, un “ossequio” alla sua memoria e alle sue presunte volontà. Tuttavia, tale lettura è in contrasto con la virtù della prudenza che dovrebbe animare chiunque regge un ordine religioso sul quale non si può far prevalere una “volontà”, ma si hanno prima di tutto dei doveri nei confronti del bene dell’Istituzione. Ora, se la riforma fosse stata frutto di un percorso condiviso, se vi fosse stato un accordo tra i membri, prima di tutto tra i religiosi che ne compongono il nucleo centrale e vitale, avrebbe avuto un valore offrire questa chiave di lettura; tuttavia non è così, perché nessuno dei “veri interessati” ha mai visto questa famigerata “bozza di riforma” che il Gran Cancelliere, nella sua lettera di accompagno alla controversa convocazione del Capitolo generale straordinario per novembre, ha dichiarato d’aver consegnato alla Santa Sede per la “recognitio”. Dunque, ipotizzare di vincolare il futuro dell’Ordine a dei dati assolutamente incerti (se non dubbi) e a interpretazioni suggestive di presunte volontà è quantomeno azzardato.

  • Sul Capitolo generale straordinario: il testo della lettera entra in contraddizione rispetto ai dati ufficiali finora divulgati (anche nella maldestra precisazione circa i minuti della morte del Gran Maestro e sulla convocazione del capitolo che reca, come ricorderete, la data del giorno del suo ricovero anticamera della sua morte), anzitutto perché si parla solo di “desiderio”, di speranza di arrivare ad un capitolo generale straordinario entro l’anno, ma di fatto non se ne conferma la convocazione per le date di novembre né si fa riferimento alcuno alle ultime sbandierate decisioni del Sovrano Consiglio. Già questo getta ulteriori ombre sul valore dell’atto di convocazione e sulla sua reale efficacia. A ciò si aggiunga l’inciso per il quale il Luogotenente aggiunge: «We will use this time to actively finalize the texts for the reform.»: che vuol dire, se non che la riforma non è ancora definita? E allora, ci chiediamo, cosa avrebbe consegnato il Gran Cancelliere alla Santa Sede? Come si fa a indire un capitolo generale straordinario se non c’è nemmeno una bozza definitiva? Su cosa si dovrebbe discutere e, peggio, cosa si dovrebbe approvare? Avrebbe potuto Dalla Torre – prudente e attento come tutti lo dicono – farsi attore di una simile ardita imprudenza? E poi, su cosa dovrebbe pronunciarsi la Santa Sede? Non è forse una vistosa mancanza di rispetto (per non dire altro) affermare di aver consegnato qualcosa che in realtà non c’è, facendo credere di avere raggiunto chissà quali obiettivi?

  • Sul prolungamento della durata della luogotenenza interinale: crediamo sia un po’ azzardato annunciare una proroga indefinita dell’ufficio che la legge dell’Ordine fa ricoprire in automatico al Gran Commendatore “solo” con un placet del Sovrano Consiglio, poiché, trattandosi di una norma che è, insieme, interna e canonica (perché regola le modalità di elezione del superiore di un ordine religioso), si necessiterebbe comunque di una di esplicita dispensa pontificia; in altre parole non basta che sia stata una volontà unanime (in che modo, peraltro, non si capisce visto che nessuno si è riunito, e dunque non c’è alcuna delibera) del Sovrano Consiglio (che peraltro in questi frangenti e in questa materia non ha alcun ruolo decisionale ma solo consultivo) quella di prorogare la reggenza interinale, ma si dovrebbe comunque comunicare al Papa tale volontà chiedendo una dispensa dalla legge che prescrive la convocazione del Consiglio compìto di Stato da un minimo di 15 giorni a un massimo di 3 mesi dalla comunicazione della morte del Gran Maestro. D’altra parte, anche questo punto è controverso, poiché pur ammettendo che vi siano problemi connessi alla pandemia, considerata l’attuale progressiva apertura dopo il lockdown, non crediamo sia molto difficile ipotizzare una convocazione, a termine massimo, in estate…

Queste circostanze si allineano tutte alla interpretazione per quale l’attuale esecutivo non dorma sonni tranquilli, e abbia una sorta di frenesia per mantenere lo status quo. Ciò si evince chiaramente dalla volontà di prorogare il termine della luogotenenza interinale – approfittando magari della buona fede d’un ottantenne nobiluomo portoghese – e anche dallo spudorato tentativo di eternizzare presunte volontà riformatrici del Gran Maestro, magari mistificando e strumentalizzando la memoria della buonanima.

D’altra parte è chiaro che un luogotenente interinale, a differenza di un Gran Maestro, non può convocare né guidare un capitolo generale straordinario poiché deve attenersi solo alla ordinaria amministrazione, dunque se da una parte sembra conservarsi più a lungo una forma di potere, dall’altra si crea un immobilismo istituzionale stagnante dal quale bisognerà prima o poi iniziare a muoversi.

Pur non conoscendo, infatti, cosa si sia realmente elaborato nella fantomatica riforma (o quel che si presume tale) al riguardo del ruolo del Gran Maestro, ma sgranocchiando alcuni spoiler filoistituzionali sembra che ciò a cui assistiamo somigli sempre più a una prova tecnica di un nuovo stile (o forma?) di governo dell’Ordine, nel quale la figura apice ha sempre più carattere decorativo per cui “regna ma non governa” e i religiosi sono sempre più marginalizzati, così come del resto dimostra il fatto di non aver indirizzato la lettera ai “balì di giustizia” che sono elettori di diritto del capo dell’Ordine, e tra i quali, col titolo di “balì gran priore titolare”, si annovera anche l’ex Gran Maestro fra’ Matthew Festing.

Torna dunque a riproporsi la partita sulle procedure, sulle quali non può che vigilare la Santa Sede, e dunque il card. Becciu.

Aspettavamo, effettivamente, qualche imbeccata interessante nell’omelia dei funerali di Dalla Torre da parte di Becciu, ma invece le sue sono state solo prudentissime classiche parole commemorative; tuttavia siamo davanti a uno che dal 1984 è nel servizio diplomatico della Santa Sede e che per 7 anni è stato Sostituto della Segreteria di Stato.

Il silenzio, specie in questi casi, è d’oro. Ma le lame, probabilmente, si stanno già affilando.

Continuiamo a stare a guardare.

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4 commenti

  • Iginio ha detto:

    Nessuno ovviamente che spieghi perché ci sarebbe bisogno di una riforma… L’importante è farla, perché bisogna cambiare tutto per far vedere che si è al passo coi tempi. La solita mentalità “progressista” da quattro soldi. Ma questi cavalieri di Malta, questo Becciu, questi consiglieri di papa Francesco hanno mai letto, per esempio, Edmond Burke? Ne hanno mai sentito il nome? Spadaro, Antonio Spadaro, sai chi era Edmond Burke? Non era un cardinale, rassicurati.

  • Adriana ha detto:

    Oggi sovrani della finanza e della Ong-chiesa non hanno più bisogno di ricorrere al rogo -come ai tempi di Jacques de Molay e dei Templari -…gli basta fare tanto fumo….di Satana .

  • Maria Michela Petti ha detto:

    Sulla base delle premesse scrupolosamente elencate non è difficile immaginare il lascito negativo del corona-virus anche sulla “corona” intesa come simbolo di autorevolezza di un Ordine che fin dal titolo si intesta la “sovranità”, come lo si è inteso fino a qualche tempo fa e di sicuro nella stessa ragion d’essere.
    Peccato dover costatare la perdita irreversibile della religiosità di fondo in istituzioni fondate per rendere gloria a Dio nella testimonianza del Suo messaggio nella quotidianità e prossimità ai bisogni dei fratelli in Cristo.
    Machiavellicamente, come ormai è d’abitudine – dispiace sottolinearlo – in ambito ecclesiale, torna utile sfruttare l’alibi della pandemia e delle sue “complicanze” (veramente gravi sotto ogni profilo) per “manovre” di “palazzi” dislocati … un po’ di qua e un po’ di là…
    In un simile contesto l’espediente del “divide et impera”, messo in atto da un po’, è il più confacente alla formalizzazione del “regna ma non governa”, perché ogni cosa rientri nel progetto di una non meglio definita riforma, adeguata al “sistema” centrale.