SCHNEIDER, LA MESSA NEGATA: “GRAVE OMISSIONE” DEI VESCOVI.

4 Maggio 2020 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, con colpevole ritardo – ma chi segue il blog si può rendere conto di persona della mole di informazioni, e di lavoro che stiamo smaltendo in questi giorni, che diamo conto di un’intervista che il vescovo Athanasius Schneider ha rilasciato a John Henry Westen, il direttore di LifeSiteNews. Il vescovo parla del Covid 19 e dell’uso che ne viene fatto da molti governi in occidente.

***

John Henry Westen apre il suo podcast dicendo: – È sempre un onore parlare con il vescovo Athanasius Schneider. Oggi sul mio podcast abbiamo parlato dell’impatto che il coronavirus sta avendo sui cattolici di tutto il mondo -.

Oltre ad affermare che egli crede che il virus sia una punizione di Dio intesa a “risvegliare” il mondo e la Chiesa per fare penitenza per i crimini dentro e fuori la Chiesa – specialmente gli abusi liturgici e l’aborto – Sua Eccellenza mi ha detto che i governi di tutto il mondo stanno usando COVID-19 come pretesto per “perseguitare implicitamente” i cristiani, costringendo le chiese a chiudere.

“I vescovi e le conferenze episcopali – e anche la Santa Sede – dovrebbero insistere affinché i governi diano alle chiese almeno gli stessi diritti… che danno ai negozi dove la gente può comprare il cibo”, ha detto Sua Eccellenza. “Se il governo nega alla chiesa gli stessi diritti che danno a un negozio, allora questa è una discriminazione della religione”.

Ho chiesto al vescovo Schneider cosa ne pensa dei negozi di liquori ancora aperti e di come alcuni vescovi stiano indirizzando i loro sacerdoti a non offrire messe pubbliche.

I vescovi dovrebbero “essere felici” che i sacerdoti usino il loro “zelo creativo per i fedeli” per assicurarsi che ricevano i sacramenti, ha detto. I vescovi che non insistono sul fatto che le chiese debbano essere aperte commettono una “grave omissione”.

Durante la peste del suo tempo, continuava il vescovo Schneider, San Carlo Borromeo “ordinò che i sacerdoti celebrassero la Santa Messa nelle piazze, nei luoghi pubblici delle strade – all’angolo delle strade – per moltiplicare le messe in modo che la gente potesse assistere dalle loro finestre”.

La corrispondente di LifeSite, Dorothy Cummings McLean, ha recentemente riferito che il Regno Unito potrebbe rimanere chiuso fino a dopo Natale. Il vescovo Schneider ha detto che le restrizioni dell’Inghilterra sono “completamente contro ogni ragionevolezza di proporzionalità”. Gli ordini emessi in Gran Bretagna dal governo, ha detto, sono “una sorta di discriminazione e di persecuzione della Chiesa”.

Sua Eccellenza ha continuato le sue osservazioni teorizzando che “potrebbe essere che stiamo attraversando un periodo delle catacombe – una specie di chiesa sotterranea”. Ma non dobbiamo avere paura. Dobbiamo essere coraggiosi, perché la chiesa ha molta… esperienza di essere una chiesa catacombale, una chiesa sotterranea. E in quei tempi di catacombe, Dio ha dato molti frutti spirituali per il rinnovamento della Chiesa”.

§§§

E dal momento che mons. Schneider ha fatto riferimento a San Carlo Borromeo, ci sembra opportuno pubblicare una lettera che l’avvocato Giovanni Formicola ha spedito qualche giorno fa un gruppo di amici, una sorta di cenacolo online, in cui si discute di temi di Chiesa.

Carissimi,

forse si poteva fare qualcosa del genere. Certo sarebbe stata necessaria la volontà di cercare un modo per non privare i fedeli della Messa, dei sacramenti, dei funerali cristiani. E questa volontà – lo dicono i fatti – almeno ai vertici ecclesiali e civili non c’è, non c’era, non c’è mai stata. Traggo, anzi più precisamente copio, da un dotto articolo di Marco Rapetti Arrigoni pubblicato circa un mese fa su Breviarium.eu.

Era il tempo della peste del 1576-77, che sta (ovviamente allora) al coronavirus come un cancro ai polmoni con metastasi sta all’asma.

Le chiese non furono chiuse, l’assistenza sacramentale fu implementata, le processioni penitenziali si svolsero, e se il popolo non poteva andare alla Messa (fu chiuso in casa su richiesta dello stesso presule – ma era la peste, ripeto, d’allora, cioè senza rimedio alcuno se non la robustezza degli anticorpi naturali), fu la Messa ad andare al popolo.

Protagonista, san Carlo Borromeo.

“Per assistere spiritualmente gli infetti il Borromeo convocò sacerdoti e religiosi da tutta la diocesi, rivolgendosi in particolare ai chierici svizzeri, che avevano fama di non temere la peste, ed ottenne dall’Ayamonte che la direzione del lazzaretto fosse affidata a padre Paolo Bellintani ed ai cappuccini”.

Andava in tutti i conventi, cercando padri et sacerdoti per questo servitio, et Iddio Benedetto gli dava gratia di trovare quasi quanti gliene bisognavano, et gli faceva venir in casa sua et quivi li tenea a sue spese (Marcora, Il processo diocesano informativo sulla vita di San Carlo per la sua canonizzazione, in Memorie storiche della diocesi di Milano, vol. IX, Milano, 1962, p. 699).

“Per impetrare da Dio la grazia della fine dell’epidemia San Carlo dispose lo svolgimento di quattro processioni alle quali avrebbero potuto prendere parte solo gli uomini adulti, divisi in due file di una sola persona e distanti l’una dall’altra circa tre metri, vietando la partecipazione degli infetti e dei sospetti di contagio. Il Borromeo guidò, a piedi scalzi e con una corda al collo, la prima processione dal Duomo fino alla Basilica di Sant’Ambrogio. Il 5 ottobre si svolse la seconda ed il giorno successivo San Carlo decise di portare in processione il Sacro Chiodo della croce di Cristo, conservato in un reliquiario posto nel semicatino absidale del Duomo a quaranta metri d’altezza sopra l’altare maggiore; in tale occasione l’Arcivescovo stabilì che” ogn’anno si portasse solennemente in processione et che stasse esposto sopra l’altare maggiore del domo per lo spacio di quarant’hore  (Marcora, cit., p. 229),

“Poiché tali rinchiusi in quarantena «non potevano andare alle Chiese e ricevere il frutto delle cose sacre», San Carlo dispose che ad ogni incrocio, in luoghi visibili dalla maggioranza delle case, fosse eretto un altare, che avrebbe costituito il basamento di una colonna sormontata da una croce (le cosiddette ‘crocette’), presso il quale celebrare le messe festive e feriali, cosicché i fedeli segregati potessero partecipare ai sacri riti dalle finestre delle loro abitazioni”.

Per gli essercitii spirituali di questo tempo ordinò prima che ognuno sentisse Messa divotamente ogni dì; per il cui fece ergere molti Altari per le vie croci, e luoghi cospicui della Città, per dar comodità a tutti di sentir la Messa stando in casa propria (Giussano, Vita di San Carlo Borromeo, Libro IV, Cap. VII, Brescia, 1613, p. 234).

“Ogni giorno i sacerdoti incaricati di recarsi presso le case dei reclusi in quarantena per confessare e comunicare i loro abitanti attraversavano le contrade portando un sedile di cuoio”

et quelli che volevano confessarsi dimmandavano il sacerdote che passava dalle finestre, et esso si metteva con il suo scagno [sedile] alle porte, et venivano a basso a confessarsi, avendo per tramezzo l’anta della porta (Marcora, Il processo diocesano…, vol. IX, Milano, 1962, p. 700).

“I fedeli che dopo avere celebrato il sacramento della Riconciliazione intendevano comunicarsi dovevano avere cura di collocare un piccolo tavolo fuori dalle porte delle loro case, in modo che i sacerdoti potessero sapere dove fermarsi. Per comunicare i reclusi ed evitare al contempo che il ministro stesso potesse divenire veicolo del contagio, secondo le norme emanate dall’Arcivescovo la particola doveva essere posta”

in una lunetta de argento et senza tocare la bocha di quello che lo riceveva li comunicava etiam che fuseno in suspeto dil ditto malle (Diario di Giambattista Casale [1534-1598], in Memorie storiche della diocesi di Milano, vol. XII, Milano, 1965, p. 302).

“San Carlo ordinò inoltre che i sacerdoti, una volta amministrata l’Eucaristia, dovessero passare il pollice e l’indice sopra la fiamma di una candela allo scopo di disinfettarle. Da parte sua il Borromeo, durante la quarantena, continuò a visitare i milanesi reclusi, sani ed ammalati, per portare loro i Sacramenti ed il conforto derivante dalla sua paterna presenza.

“Il Cardinale deputò alcuni religiosi affinché visitassero quotidianamente i malati, per prestare loro assistenza spirituale ed impartire i conforti religiosi. Per incoraggiare il suo clero innanzitutto con l’esempio, l’Arcivescovo stesso provvide personalmente ad amministrare i Sacramenti dell’Eucaristia e della Confermazione recandosi quotidianamente dagli appestati rinchiusi nelle loro case o ricoverati nel lazzaretto ed alle capanne. Non meno premuroso si mostrò nel farsi prossimo ai numerosi sacerdoti ammalatisi nell’adempimento del proprio ministero”.

Lui communicava frequentemente ancora le persone appestate, et le cresimava lui stesso etiam quelli che erano moribondi (Marcora, Il processo diocesano…, vol. IX, Milano, 1962, p. 506).

“Per tutta la durata della pestilenza San Carlo si dedicò con instancabile ed incessante zelo ed amorevole sollecitudine a soccorrere e confortare i bisognosi, i malati ed i moribondi, provvedendo ad ogni loro bisogno spirituale e materiale, percorrendo a piedi l’intera città anche dopo il tramonto”.

Il cardinale scorreva ogni giorno, hora a San Gregorio [al lazzaretto], et hora a una Porta, et hor a un’altra, in tal modo che ogni settimana visitava tutti li appestati della città (Marcora, Il processo diocesano…,  vol. IX, Milano, 1962, p. 674).

“Visitando le capanne distribuiva generi alimentari ed elemosine e si intratteneva a consolare e conversare con ciascun ricoverato; domandava da quanto tempo”

che vi erano, di che parochia fossero, se erano confessati […], di poi gli dimandava di bisogni temporali: se gli mancava cosa alcuna del vivere e de medicamenti, se gli mancava altra cosa come paglia, coperte et simile altre cose (Marcora, Il processo diocesano…, vol. IX, Milano, 1962, p. 700).

“Il Cardinale non smise mai di agire con grande prudenza e senso di responsabilità, non volendo che a causa sua o del clero diocesano i fedeli fossero esposti ad eventuale contagio o messi in pericolo in qualsivoglia modo”.

Non ometteva però in nessuna occasione le necessarie cautele né mettevasi a rischio senza necessità. Quando poi avea fatto qualche azione pericolosa di contagio, per sette giorni almeno astenevasi dal comunicare con altri, ed in tutto da se stesso servivasi, e ciò volea che si facesse ancora dagli altri sacerdoti e curati (Sala, Biografia di San Carlo Borromeo, Milano, 1858, p. 71).

“Per assistere i suoi concittadini e figli, per nutrirli e finanche per vestirli utilizzò gran parte del suo patrimonio, come testimoniò il cappuccino Giacomo da Milano, in una lettera del 4 ottobre 1576:”

va spessissime volte al lazareto et consola li ammorbati, inanima li officiali, vede il cimitero dove si sepelliscono i morti contagiosi, […] va alle capanne, alle case sarate, con tutti parla, tutti consola. A tutti provvede quanto può, anco temporalmente del suo, de ogni cosa che si truova in casa. Hormai non ha da vivere et è fatto poverissimo (Lettera di un padre cappuccino scritta da Milano nell’infierire della peste, in San Carlo Borromeo nel III centenario della canonizzazione, Milano, 1910, p. 328).

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14 commenti

  • CLAUDIO GAZZOLI ha detto:

    uno dei pochi uomini di Gesù Cristo nella Chiesa, tutto il resto sono miasmi da solfatara

  • anna maria ha detto:

    Certe “perle” di virtu’, come il card. Borromeo, sono rarissime!!!
    Ma qui non si tratta di “eroicità” delle virtu’ !!! Il Signore chiede solo la fede!!! La vera fede in Dio, Padre Provvidente, al Quale implorare la SALVEZZA DALLA PESTILENZA!!! CREDIAMO ANCORA NELL’INTERVENTO provvidente DI DIO? iIVESCOVI ED I SACERDOTI CI CREDONO ANCORA ?

  • Teodoro studita ha detto:

    Riprendo da Formicola su San Carlo: “vietando la partecipazione degli infetti e dei sospetti di contagio”.

    Attualizzo: messa sì, ma previo tampone.

  • Maria Michela Petti ha detto:

    Una puntualizzazione sulla mancanza di volontà (senza aggettivo) nel cercare una doverosa soluzione al problema, quella di mons. Schneider. Non è la prima volta che si pronuncia, con qualche altro confratello, in tal senso. Al solito senza che si verifichi un cambio di rotta nell’andamento ormai abituale; e nemmeno il richiamo alla “grave omissione” riesce a sortire l’effetto sperato.

  • Donna ha detto:

    Sì, è vero che nei tempi difficili della Chiesa,come dice Schneider ” il Signore da molti frutti spirituali per il rinnovamento della Sua Chiesa”, e che suscita anime sante e ferventi, ma allo stato attuale , guardando la “materia prima” e i “lupi” che sono fuori, ma sopratutto dentro la stessa, ho come l’impressione che Dio dovrà compiere un enorme sforzo di ricerca.
    Meno male che “nulla è impossibile a Dio”.

  • Adriana ha detto:

    S.Carlo Borromeo e gli infettati poveri…uguale uguale
    a Pope Francis ,che va e torna in un lampo di supervelocità e di superpoteri…tanto che nessuno riesce a vederlo ( -come Superman-) .
    Nel frattempo anche SuperPope dichiara di aspettare ansiosamente il vaccino …
    Il vaccino del
    filantropo Bill Gates , che sulla “casetta ” della sua Fondazione ,
    ha scritto in chiare lettere :
    ” Center for global population reduction ” .
    Tra benefattori ci si intende…E Giuseppi telefona a Bill .

    • Milli ha detto:

      Mi scusi Adriana, so da tempo che uno degli scopi del filantropo Gates (e di altri come Rockefeller) è la riduzione della popolazione mondiale, però non ho un documento valido o un’immagine incontestabile che vorrei mostrare ad alcuni miei conoscenti che pensano ancora che Bill salverà il mondo.
      Se lei ha un link le sarei molto grata.

    • Milli ha detto:

      Ho fatto qualche ricerca e quella frase, ” Center for global population reduction ” non esiste, non è vera, è un fotomontaggio.

  • Pier Luigi Tossani ha detto:

    Grande Mons. Schneider.

    Circa il Breviarium segnalato dall’ottimo Avv. Formicola, segnalo amichevolmente che però. nell’articolo da lui indicato, come in altri, l’intento del “dotto” Marco Rapetti Arrigoni era quello di citare San Carlo, ma anche altri, per giustificare ideologicamente la decisione della CEI di chiudere le Messe col popolo. Ne ragionavo, personalmente, qui

    https://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2020/03/30/covid-19-approccio-diverso-tra-i-tempi-di-san-carlo-borromeo-e-quelli-di-oggi/

    • Pier Luigi Tossani ha detto:

      mi ero dimenticato di dire che, nel mio articolo, ho avuto il piacere di citare largamente proprio l’Avv. Formicola…

      • Giovanni Formicola ha detto:

        Grazie di cuore per l’attenzione. Da Breviarum ho copiato quello che smentiva l’assunto giustificativo – come ho detto al signor Marcotullio – della storia narrata in favore dell’oggi della Chiesa: nulla di quanto dispose e fece san Carlo è stato nemmeno pensato dalle Loro Eccellenze. Per non dir di più in alto.
        Salute a lei
        in J. et M.
        Giovanni Formicola

        • Pier Luigi Tossani ha detto:

          grazie a lei, Avvocato. Anche senza scomodare la Verità, giusto per non farci raccontare novelle.

  • Paola ha detto:

    Stiamo sopportando di tutto e di più da parte non di un Governo incapace, pasticcione ma addirittura fuori legge, da parte di un papa che è chiaramente il falso profeta di cui parlano le Scritture, non potendo fare altro non ci rimane che aspettare l’evento della comparsa dell’Anticristo e il martirio. E speriamo che arrivi presto per poter morire cristiani, perché se va avanti così non ne rimarrà nemmeno uno. Come diceva il Cardinale (Ottaviani?) uscendo dal CVIi spero di morire presto per poter morire cristiano. O no?

    • Pier Luigi Tossani ha detto:

      anche no… magari pensiamo a un’alternativa…. se moriamo pure noi, di cattolici ne resta ancor meno