CREMONA. UN PARROCO PARLA DELLE FAMIGLIE E DEL COVID 19.
1 Maggio 2020
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali il M° Aurelio Porfiri ci ha inviato quest’intervista apparsa sul sito Altare Dei in inglese a uN sacerdote della diocesi di Cremona, uno dei luoghi più colpiti dalla pandemia di Covid 19. Buona lettura.
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“LA FAMIGLIA DEVE ESSERE AIUTATA AD ESPRIMERE IL SUO PROTAGONISMO”: UN’INTERVISTA CON DON GIUSEPPE NEVI
Don Giuseppe Nevi è un sacerdote e parroco della diocesi di Cremona che si è occupato molto di pastorale familiare.
Come le restrizioni derivanti dal coronavirus possono avere un impatto sulla vita di tante famiglie?
“Indubbiamente un impatto pesante e significativo. Da una parte la convivenza più stretta tra sposi e figli è una occasione imperdibile. C’è molto tempo da condividere e molte cose da scoprire insieme. Anche l’intimità coniugale può beneficiarne moltissimo. Poter avere il tempo per andare al cuore di una relazione è sempre una cosa desiderabile e spesso desiderata quando tempo non ce n’è. E chissà che ne abbia beneficio anche la fecondità e la fertilità matrimoniale. Per le famiglie cristiane, in particolare, anche la possibilità di condividere la preghiera e le celebrazioni attraverso i mezzi di comunicazione è occasione di vicinanza spirituale da valorizzare. Occorre anche sottolineare limiti assai significativi che possono emergere. Le situazioni critiche possono esplodere. Lo stare con i figli molto tempo può rendere consapevoli i genitori dei loro errori educativi maturando in essi una rinnovata responsabilità o una fuga a gambe levate. Cosicché non possano più accusare solo gli altri delle fragilità presenti nell’educazione dei loro figli. Sappiamo anche di disagi psicologici che emergono proprio in questi momenti: i pronto soccorso degli ospedali denunciano una crescita esponenziale di persone in difficoltà e di suicidi. Indubbiamente la famiglia soffre di quella dimensione relazionale che le è propria. Soffre di quella mancanza di socialità e di incontro che la rigenera e la qualifica. E poi sono ormai evidenti le difficoltà economiche e che attendono una provvidenza. Se poi guardiamo con sguardo critico i decreti ministeriali che si sono succeduti nel tempo indubbiamente hanno perso la famiglia nel loro orizzonte”.
Molti mettono in luce proprio l’aspetto da Lei messo in rilievo, cioè l’esplosione di situazioni già difficili, specie in contesti sociali degradati.
“In questo momento stiamo facendo emergere il fatto che della famiglia non ci si interessi a sufficienza sia da parte del potere pubblico che della Chiesa. Si è dimenticato il valore fondativo, nel vero senso del termine, della famiglia. Nel tempo si sono valorizzate altre forme di convivenza che hanno inevitabilmente reso fragile la struttura sociale che ha nella famiglia la prima cellula. Uomini e donne hanno rivisitato i loro ruoli e non sempre sono stati aiutati a valorizzare le specifiche differenze. L’indebolimento della famiglia è passato anche dalla scarsità numerica di figli che ha generato una chiusura della famiglia stessa e non ha alimentato le reti relazionali che da sempre la sostenevano. Vivere in famiglia non è mai stato facile. Solo Dio può aver avuto la fantasia di mettere insieme due esseri così diversi come un uomo e una donna. Tuttavia non ha fatto solo questo ma ha creato la famiglia a modello dell’unità trinitaria. Per noi cristiani la famiglia è il sacramento di questa unità. Perciò ogni famiglia è frutto di una grazia. Vediamo inoltre che di fronte alle difficoltà familiari e coniugali siamo ormai abituati a gettare la spugna. Si ritengono difficoltà insuperabili e quindi non si vede altra uscita che la separazione o il divorzio. In questo senso la psicologia che potrebbe aiutare, di fatto rema contro la famiglia nella maggioranza dei casi. A mia conoscenza c’è un solo un servizio che lavora per recuperare le relazioni in difficoltà o fallite: Retrouvaille. Si tratta di un programma che dopo un weekend intensivo di lavoro di coppia propone un accompagnamento che nella stragrande maggioranza dei casi si risolve con un recupero della relazione”.
Ma ora c’è un problema ulteriore, dopo questa pandemia: milioni di persone perderanno il lavoro, che significa mancanza di sostentamento per milioni di famiglie. Come la Chiesa può rispondere a questo?
“Penso che non sia un compito specifico della Chiesa quello di risolvere un simile problema. Indubbiamente la Chiesa italiana avendo parecchie, e forse troppe, introduzioni presso l’attuale governo potrebbe sostenere e chiedere politiche attente al lavoro e alle famiglie. In particolare penso all’aiuto che molte famiglie attendono riguardo alla scuola ed in particolare alla scuola dell’infanzia. Fin da ora essa non è considerata nei decreti governativi. Ai vescovi il compito di far presente questa, come molte altre, urgenze. La Chiesa è indubbiamente presente e diffusa su tutto il territorio nazionale ed è la prima ad essere interpellata spesso dalle persone nei loro bisogni anche primari. Nello stile della carità cristiana, però, non si tratta di fare assistenzialismo a chi ha bisogno. Ma mettere insieme chi ha bisogno e chi non ne ha per poter condividere risorse, energie e inventiva. Detto in altre parole, la famiglia deve essere aiutata ad esprimere il suo protagonismo. Non assistita ma resa responsabile. E per questo credo che la carità con la C maiuscola possa venire incontro a tutti i bisogni dell’uomo. Il primo è quello di un cuore nuovo e di un cambiamento interiore che permetta di rivisitare gli stili di vita, le esigenze primarie e secondarie e quelle dimensioni superflue. Ricercare cioè una adeguata essenzialità che si trasforma anche in una adeguata giustizia sociale. Solo un cuore nuovo può avere la fantasia del bene. E in questo campo la Chiesa è di casa”.
E cosa pensa delle Messe pubbliche? Lei è parroco e ha i suoi fedeli che sono sotto la sua cura pastorale. Come garantire la loro sicurezza e i loro bisogni spirituali? Come vi regolate nella vostra diocesi?
“La nostra diocesi ha il triste primato di essere stata la prima a sospendere le Messe con i fedeli. Credo sia stata una scelta poco lungimirante. Ci si è fatti prendere subito dalla paura senza valutare soluzioni alternative”.
Quali soluzioni alternative…
“Ad esempio nella mia parrocchia ho la bellezza di sei chiese. Siamo in tre preti. Avremmo potuto tranquillamente, in spazi tra l’altro enormi come sono gli edifici di cui sto parlando, celebrare più Messe per piccoli gruppi. La scelta operata ha generato la convinzione che la Messa non è poi così importante. Qualora ci fosse stato bisogno, proprio del nostro tempo, di specificarlo. Dopo l’iniziale smarrimento abbiamo messo in atto alcune strategie: anzitutto utilizzare in modo diffuso il canale YouTube della parrocchia. Moltiplicare le occasioni di preghiera inviando alle persone interessate i testi che si sarebbero utilizzati. Abbiamo rinnovato la consacrazione della parrocchia al cuore immacolato di Maria e ho percorso le strade della parrocchia con un crocifisso che per noi ha una provenienza particolare: la beata Andreasi, co-patrona della diocesi di Mantova, lo regalò alla beata Stefana Quinzani di cui abbiamo reliquie in parrocchia. Valorizzare il più possibile gli appuntamenti quaresimali e intensificare la preghiera nella settimana Santa e nell’ottava di Pasqua. E per quanto riguarda le esequie, si è proceduto come è stato ordinato dal ministero degli interni. Qui credo che la Chiesa abbia perso punti. Abbiamo portato all’ultima dimora parecchie persone per le quali non si è potuto celebrare l’eucarestia che è il suffragio per eccellenza. I familiari smarriti non hanno potuto pregare con la comunità e ricevere consolazione nel lutto dalle visite di amici e parenti. Personalmente ho sempre celebrato messa per i defunti da solo in chiesa comunicando però alle famiglie che avrei celebrato per i loro defunti. E inoltre credo sia stata ulteriormente improvvida la decisione del ministero condiviso dei vescovi dal momento che la Messa si poteva celebrare tranquillamente all’aperto al cimitero dove le distanze possono essere anche di svariati metri da una persona all’altra. Adesso attendiamo quali disposizioni verranno rese obbligatorie e cercheremo di attenerci con sapienza a quanto ci verrà chiesto se non contrario alla nostra fede. Oggi 25 aprile a Bologna, Milano, Piacenza, e in tante altre città, numerose persone si sono trovate per il ricordo della liberazione dal nazifascismo. Non rispettando le distanze. Le immagini sono diffuse in tutta Italia. Questo qualche problema dovrebbe porcelo”.
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Tag: ALTARE DEI, covid 19, cremona, NEVI
Categoria: Generale
Questo parroco è pure coraggioso … Coraggioso nei confronti del suo Vescovo …
La diocesi di Cremona, infatti, è diretta dal quel vescovo che PER ISCRITTO (e dunque pure dopo meditazione) ha parlato non più di 10 giorni fa dello “sforzo della CEI per comprendere, D’INTESA CON L’AUTORITA’ PUBBLICA, quali saranno i prossimi passi che la Provvidenza ci chiamerà a fare” …!
Purtroppo ha in parrocchia quel tale Roberto Grazioli che pontifica sul rispetto della legge. E fa l’esempio del furto al supermercato, come se celebrare Messa equivalesse ad un reato. Questo signore è anche un emerito ignorante, perché il dcpm è solo un atto amministrativo, la sanzione è amministrativa, mentre il carabiniere che non ha atteso la conclusione della Messa ha commesso un reato, punito dall’articolo 405 del codice penale, come più volte ricordato. Il Grazioli ha pensato bene di disattivare i commenti sul suo video YouTube, perché probabilmente sapeva che sarebbe stato subissato di valutazioni negative…
Dio la benedica don Giuseppe. Si riconosce il vero pastore dalle sue parole e dalla luce che traspare dal suo volto. Non dobbiamo dare spazio alla politica di contrattare tempi e modalità per accedere ai Sacramenti che sono materia esclusiva della Chiesa. Stabilite le regole di sicurezza per la prevenzione è di competenza del vescovo decidere come operare in sicurezza nelle chiese. Non consentiamo a politici e mestieranti di intromettersi nelle cose che non competono a loro, come ben dice mons. Viganò la loro autorità cessa sul sagrato delle chiese. Il buon senso fa capire che il modo migliore per ricevere l’Eucarestia è in ginocchio e non sulla mano ma in bocca. Non c’è fretta, si possono rispettare le distanze e quando ci si è comunicati c’è tutto il tempo per tornare al proprio posto, lasciando spazio al prossimo senza allentare la distanza. Una bella differenza poi tra il veloce:
“Signore non son degno di partecipare alla Tua mensa, ma di’ soltanto una parola e l’anima mia sarà salvata”
e la bellissima:
“Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum, sed tantum dic verbo et sanabitur anima mea”
ripetuta tre volte…
Ovviamente a distribuire l’Eucarestia deve essere il celebrante, che ha le mani benedette, non un laico… Ma che roba è? Può essere la persona più degna del mondo ma non basta. Siccome io non mi ritengo degno di toccare il Corpo di Gesù con le mie mani lo posso ricevere SOLO da un consacrato, tutto il resto non vale.
Bravo don Giuseppe, un vero sacerdote della Chiesa di Cristo. Si è accorto che la soppressione della Messa con il popolo significa e produce nella coscenza comune che Essa è superflua e se ne può fare a meno. Andrebbe poi detto anche che i provvedimenti del governo, accettati supinamente dalla CEI e convalidati dal papa, hanno provocato anche lo strangolamento economico delle scuole paritarie cattoliche e di conventi, monasteri e santuari che vivono solo delle offerte quotidiane dei fedeli. Si può dire che è (neanche tanto raffinata) persecuzione?
C’è anche però chi vive solo e non necessariamente per sua scelta.
Suggerisco alle comunità cristiane serie la lettura di questo:
https://www.edizionicantagalli.com/shop/la-pastorale-della-solitudine/
Uno con le idee chiare e i principi giusti.
Non farà carriera, anzi finirà silurato.
La seguo da Bologna..don Giuseppe.
Lei è un Dono per Soncino, dove sono nata e vissuta fino all’adolescenza.
Dio la benedica e le dia sempre il coraggio di proseguire in questa sua missione.
“Detto in altre parole, la famiglia deve essere aiutata ad esprimere il suo protagonismo. Non assistita ma resa responsabile”.
Assolutamente d’accordo, caro don Giuseppe!…
Purtroppo, il popolo non è stato educato a questo, anzi, certamente non da questo Stato liberal-socialista, che ha interesse a tenere persona e la famiglia a lui subordinate, ma nemmeno lo è stato dalla nostra Chiesa, che non è stata capace – per vari motivi storici – di educare il popolo alla Dottrina sociale.
Ora però è del tutto inutile piangere sul latte versato, specie perché abbiamo la soluzione, che consiste appunto nella “Società partecipativa” secondo Dottrina sociale!…
Un’idea innovativa, ma del tutto cattolicamente ortodossa, di quel grande del ‘900 che fu Pier Luigi Zampetti:
https://lafilosofiadellatav.wordpress.com/i-maestri-2/pier-luigi-zampetti/
Ma ora
Non sono pochi i santi sacerdoti, sta a noi non lasciarli soli (con preghiere e opere).
Grazie x il suo coraggio e la sua testimonianza!!!
Grazie per la bellissima testimonianza ed il giudizio di questo parroco. Ce ne vorrebbero tanti come lui.
Sono una assidua lettrice.
Preghiamo per avere molti preti come questo.