ADERNÒ: IL VIMINALE LEDE LA LIBERTÀ DELLA CHIESA E DEI FEDELI.

1 Aprile 2020 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae l’avvocato Fabio Adernò ci ha inviato una sua analisi del documento che il Ministero degli Interni ha inviato alla Segreteria della Conferenza Episcopale Italiana, probabilmente in risposta a una richiesta di chiarimenti. Come vedrete, la risposta del Viminale può dare adito a una serie di violazioni nel rapporto fra Chiesa e Stato, e della libertà fondamentale di religione di culto dei cittadini; oltre a offrire lo spunto a critiche e osservazioni anche dal punto di vista del puro buon senso. Fino a questo momento non abbiamo notizia di reazioni o prese di posizione da parte della CEI, o della Santa Sede, che pure dovrebbe essere interessata per le ricadute da un punto di vista di Concordato. Buona lettura. 

§§§

Note brevi sul documento diffuso dal Ministero dell’Interno

di Fabio Adernò

 È stato diffuso un documento (con data del protocollo in quella visionata), proveniente dalla Direzione Centrale degli Affari dei Culti del Ministero degli Interni avente ad oggetto: Quesiti in ordine alle misure di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Esigenze determinate dall’esercizio del diritto alla libertà di culto.

Il documento si compone di quasi due cartelle, è firmato dal Prefetto Michele di Bari, Capo Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione (nel quale quadro organico è inserita la soprarichiamata Direzione Centrale), esteso formalmente (si legge) dal Direttore Centrale, il Prefetto Giovanna Maria Rita Iurato, all’indirizzo di «Mons. Ivan Maffeis, Sottosegretario della Conferenza Episcopale Italiana».

Tanto il destinatario quanto l’oggetto del documento fanno ragionevolmente presumere che si tratti di una risposta a dei quesiti verbali proposti dalla Conferenza Episcopale Italiana mediante il Sottosegretariato; tra l’altro si noti che a principio si dice «Si forniscono i chiarimenti richiesti».

Venendo al contenuto, se ne denuncia sin d’ora l’intrinseca gravità lesiva dei diritti soggettivi dei cittadini di religione cattolica e del loro libero esercizio della libertà di culto.

Nel documento, pur confermando che salva «eventuale autonoma diversa disposizione» dell’autorità ecclesiastica «non è prevista la chiusura delle chiese» (3° par.) si sottolinea che in esse «l’accesso deve essere consentito solo a un numero limitato di fedeli… evitando qualsiasi forma di assembramento o raggruppamento di persone» (4° par.).

Tuttavia è giuridicamente aberrante (oltre che moralmente scandaloso) che si affermi poi «sulla base del parere appositamente richiesto al Dipartimento della Pubblica Sicurezza… è necessario che l’accesso alla chiesa avvenga solo in occasione di spostamenti determinati “da comprovate esigenze lavorative”, ovvero per “situazioni di necessità” e che la chiesa sia situata lungo il percorso, di modo che, in caso di controllo da parte della Forze di Polizia, possa esibirsi la prescritta autocertificazione o rendere dichiarazione in ordine alla sussistenza di tali specifici motivi» (5° par., marcatura ns.).

Tale assunto è gravemente lesivo della libertà religiosa del singolo costituzionalmente garantita all’art. 19 della Cost., che non viene ritenuta più, di fatto, un diritto autonomo bensì accessorio (e subordinato!) della libertà di movimento (per andare a lavorare o, peggio, fare la spesa).

Ciò è inaccettabile anche solo giuridicamente parlando, poiché l’esercizio del culto – che la Repubblica si è impegnata a garantire anche in contingenze di ridotta libertà personale come la detenzione ex art. 11, 1 dell’Accordo vigente tra lo Stato e la Chiesa del 1984 – appare ridotto ad una mera possibilità che viene concessa dall’autorità di Polizia (perché su tale criterio si basa palesemente l’illustrazione della norma) solo e se unito all’esercizio della libertà di circolazione, peraltro a sua volta strettamente collegata allo svolgimento della sola attività lavorativa o d’una eventuale e altrettanto rara “grave necessità”. Il che – logicamente – comporterebbe, tra l’altro, che la domenica non vi sia possibilità alcuna di recarsi in chiesa, poiché di domenica, salvo rarissime eccezioni (come i medici o farmacisti o le forze dell’ordine, ad esempio), non sono previste attività lavorative… né certamente sarebbe supponibile che in caso di “grave necessità” un cittadino abbia tempo e modo per passare dalla chiesa.

Tutto ciò in aperto contrasto col la lettera degli Accordi vigenti tra Stato e Chiesa e vieppiù dei principi che la Costituzione e l’Ordinamento italiani garantiscono e tutelano, o come almeno è stato finora.

Quindi il Viminale (par. 6) affronta l’argomento delle «celebrazioni liturgiche»: sulla scorta dell’abuso d’autorità già perpetrato ultra vires in ordine all’interpretazione rigorosamente fornita di includere all’interno della categoria “cerimonie” (di cui al primo DPCM 8 marzo 2020, e del vigente d.l. 19/2020) anche le celebrazioni liturgiche (che però, è bene ricordare, non sono “cerimonie” bensì “riti”), la Direzione Centrale degli Affari dei Culti dichiara che «le norme – alla luce della ratio esclusiva di tutale della salute pubblica per cui sono emanate – sono da intendersi nel senso che le celebrazioni medesime non sono in sé vietate, ma possono continuare a svolgersi senza la partecipazione del popolo, proprio per evitare raggruppamenti che potrebbero diventare potenziali occasioni di contagio».

Così disponendo il Dipartimento, forse (?), non si rende conto di andare ben oltre le sue competenze, poiché non è pertinenza dello Stato normare la partecipazione e la regolazione dei riti all’interno dei luoghi di culto, né tantomeno disporre in via autonoma se il Rito debba o no svolgersi “con il popolo” o “senza il popolo”; tale diritto spetta solo all’Autorità Ecclesiastica, che esercita in via autonoma e libera la regolazione del culto (cfr. Accordo di Villa Madama, art. 2, 1), senza alcuna ingerenza del potere statale.

Oltretutto il Dipartimento si arroga il diritto di trattare le “celebrazioni liturgiche” senza avere lo Stato alcuna competenza sulla materia, poiché, come in altri casi, le norme dettate in materia religiosa trovano poi solo successiva “comprensione” alla luce del sistema interno ordinamentale della singola confessione, e non è lo Stato a poter stabilire “cosa” e “chi”, poiché semplicemente lo ignora.

Su questa linea, il contenuto della disposizione è da ritenersi illegittimo da parte dell’Autorità Ecclesiastica, che non può subire da parte del potere statale alcuna coazione né alcuna contrazione dei propri diritti nativi.

Allo stesso modo, quanto si dispone al paragrafo successivo (7°) circa le «celebrazioni liturgiche senza il concorso di fedeli e limitate ai soli celebranti e agli accoliti necessari per l’officiatura del rito»: si dice che esse «non rientrano nel divieto normativo» (ibid.), ma affermando ciò si lede il diritto della Chiesa a regolare in via autonoma la Liturgia (cfr. can. 838, §1 CIC), poiché implicitamente si ammette che sia stato il potere secolare a “vietare” le altre celebrazioni col popolo, e non che tale azione sia frutto di autonoma e libera decisione dell’Autorità Ecclesiastica che, ricordiamo, nel nostro sistema giuridico di coordinamento, dovrebbe necessariamente essere consultata previamente al fine di poter disporre da sé le misure ritenute opportune e proporzionate.

Vien da chiedersi con quale perizia (oltre a quale facoltà) il Viminale ritenga che i ministri all’altare (in spazi peraltro più compressi rispetto alla totalità della chiesa) «non rappresentino assembramenti» diversamente da un ipotetico e ridotto numero di fedeli contingentati, magari disposti a banchi alterni e distanziati secondo le norme preventive indicate.

All’8° par., nella seconda pagina, si legge che alla luce delle precedenti «considerazioni» (che a dire il vero tutto sembrano, fuorché tali) si ritiene che «il numero dei partecipanti ai riti della Settimana Santa ed alle celebrazioni similari» (viene da chiedersi quali siano tali “celebrazioni similari”) «non potrà che essere limitato ai celebranti, al diacono, al lettore, all’organista, al cantore ed agli operatori per la trasmissione».

Ancora una volta il documento della Direzione Centrale esorbita i margini di competenza statali e si attribuisce il diritto di disporre financo il numero quantitativo di persone che per ciascuna chiesa possa intervenire ai Riti della Settimana Santa.

Non è nella disponibilità dello Stato (non lo è già del Legislatore, figurarsi dell’Esecutivo) decidere “chi” debba essere presente al Rito, né “cosa occorra” per il Rito stesso; tale competenza è solo dell’autorità ecclesiastica (o religiosa in senso ampio), per cui tale disposizione è ancora una volta irricevibile e inapplicabile, perché priva di ogni fondamento giuridico e perché regola materia indisponibile, quale è – oggettivamente – quella liturgica, pretendendo di indicare financo il numero di persone ipoteticamente presenti.

Ma riteniamo ancor più grave il successivo paragrafo nel quale il documento cerca di sanare l’intrinseco palese conflitto insorgente tra il primo assunto (cioè l’impossibilità di giustificare di per sé la propria circolazione in ragione del diritto di libertà di culto) con quest’ultima disposizione che comunque importa un movimento di persone diverse dai ministri di culto.

E qui ci sarebbe da sottolineare come i ministri, in linea di principio, non siano esplicitamente esonerati da tale limitazione: per cui, ad esempio, un sacerdote che abita in un comune ed è parroco in un altro, sarebbe costretto a dichiarare cosa, atteso che il suo non è uno spostamento per cause di lavoro, come confermato dal nostro sistema ordinamentale e dalla interpretazione della Giurisprudenza e della dottrina?

Il Viminale ardisce a specificare che le sopracitate categorie dovrebbero indicare, nella autocertificazione prevista, di muoversi per «comprovate esigenze lavorative».

A parte la questione in sé che se devono essere “comprovate” ci chiediamo “come” potranno esserlo, visto che non è un impiego andare a suonare o a cantare in chiesa, ma più ancora riteniamo fortemente lesivo della libertà soggettiva di religione e di culto che lo Stato inviti a “mascherare” (e quindi a occultare) quello che è un diritto nativo della persona (cioè credere in Dio e dimostrarlo) con l’esercizio di un impiego.

Ciò è moralmente inaccettabile, e non ha alcun fondamento giuridico nel nostro sistema ordinamentale, che riconosce al sacerdote lo svolgimento di una missione e non l’esercizio di una attività professionale, a cui in nulla è assimilabile il ministero sacerdotale (vedasi, al riguardo, la disciplina in materia di contenziosi nell’ambito del Sostentamento del Clero).

Gravissimo, poi, il controllo che opererebbe la Forza pubblica in ordine all’esercizio della libertà religiosa e di culto, raccogliendo informazioni personali circa l’esplicazione dello stesso mediante formula dettagliata di autocertificazione; stando alle norme, infatti, l’agente accertatore potrebbe sindacare se il fedele cantore o accolito si rechi in una chiesa più lontana rispetto al suo domicilio piuttosto che in una più prossima o in una parrocchia diversa (atteso, tra l’altro, che la Forza pubblica non è tenuta a conoscere la ripartizione territoriale interna alle singole Diocesi).

Dunque lo Stato, mediante un regime poliziesco, regolerebbe pure la sensibilità religiosa del singolo che aderisce in modo stabile ad una comunità piuttosto che ad un’altra, e ciò è intollerabile.

In ultimo il documento si occupa di trattare la questione dei matrimoni che, premette, «non sono vietati in sé, in quanto la norma inibisce le cerimonie pubbliche, civili e religiose» ma sono contingentati: «ove il rito si svolga alla sola presenza del celebrante, dei nubendi e dei testimoni – e siano rispettate le prescrizioni sulle distante tra i partecipanti – esso non è da ritenersi tra le fattispecie inibite dall’emanazione dalle norme in materia di contenimento» (10° par.).

Da notare, per inciso, che così scrivendo il Ministero – ancorché involontariamente, è evidente – sottolinei ciò che è stato già sostenuto altrove (cfr.: https://www.dirittiregionali.it/2020/03/28/il-nuovo-decreto-legge-n-19-2020-un-suggerimento-ermeneutico-ecclesiasticistico/), e cioè che la locuzione “cerimonie civili e religiose” sia da intendersi come solo le cerimonie che importano la concorrenza di Stato e Chiesa.

In sintesi, dunque, tale documento è da ritenersi giuridicamente irricevibile da parte dell’Autorità Ecclesiastica competente per territorio perché confligge col sistema di coordinamento presente in Italia tra i due ordinamenti primari coinvolti ex art. 7 Cost., confligge con le norme concordatarie perché è unilaterale, e tracima i margini della competenza propria dello Stato in materia di esercizio della libertà di culto, che ha solo un limite: il buon costume (art. 19 Cost.).

Effettivamente qui di scostumato (come si direbbe a Napoli) c’è solo l’arroganza da parte dell’autorità civile di pretendere di normare tempi e modi di materie sulle quali non ha alcuna disponibilità, peraltro andando oltre lo stesso contenuto del nuovo d.l. 19/2020.

Una disposizione simile, difatti, è ultronea al dettato formale che costituisce la base legale dei futuri provvedimenti che prevede sì l’ipotetica assunzione di misure contenitive quali «le limitazioni di accesso ai luoghi di culto» (d.l. 19/2020, art. 1, co. 2, lett. h)), ma ne fissa anche il limite in un contesto ben specifico e discrezionale (in capo agli ordinari responsabili dei luoghi di culto) e in subordine a criteri di «adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente» (ibid.).

Il documento della Direzione Centrale degli Affari dei Culti è pertanto da ritenersi irricevibile da parte delle legittime Autorità preposte perché il suo contenuto confligge tanto con le norme sistemiche che regolano i rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia, quanto coi principi stessi dell’Ordinamento costituzionale, oltre che esorbitante e ultroneo allo stesso margine disposto dalla base legale di riferimento.

Spetta solo all’Autorità Ecclesiastica, nel pieno dell’esercizio del suo dovere primario di rendere culto a Dio, poter regolare la Liturgia all’interno dei luoghi sacri e ad essa sola spetta considerare l’opportunità, in base a criteri oggettivi, di attuare misure e cautele proporzionate, inquadrando la sua azione, notoriamente sollecita nella tutela di ogni forma di vita, in un sano dualismo alla luce del quale l’anima non è meno importante del corpo.

Leggendo tale disposizione sembra – a memoria storica – riecheggiare la legislazione liberale della seconda metà del XIX secolo con la quale in modo unilaterale e illegittimo lo Stato pretendeva di regolare la vita e l’attività della Chiesa Cattolica in Italia, ma anche la riviviscenza di un allarmante clima di neo-giurisdizionalismo col quale, nell’ambito già caotico d’uno stato d’eccezione emergenziale, si tenta di introdurre subdolamente pericolosi precedenti che domani potrebbero – quod Deus avertat – reiterarsi per le più svariate motivazioni, non escluse quelle esclusivamente politiche, soffocando la Chiesa in un sistema statalista.

Si reclama pertanto alle Autorità preposte di agire con fermezza nelle sedi opportune: si chiede con urgenza alla Nunziatura Apostolica in Italia e alla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana di rappresentare la propria contrarietà a questa ennesima intromissione esorbitante i margini di competenza statale concordati denunciando questa ulteriore lesione tanto dei diritti nativi della Chiesa Cattolica quanto dei diritti soggettivi dei cittadini italiani di religione cattolica, la cui identità risulta così essere assai gravemente compromessa, offesa e mutilata.

Avv. Fabio Adernò

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17 commenti

  • Susanna Santimone ha detto:

    Buonasera…lavoro purtroppo con il prefetto DI Bari…e dire che lui stesso scrive sull’Osservatore Romano, laureato con lode in Giursprudenza e si professa cattolico…non ho parole…solo parolacce

  • Francesca ha detto:

    Una coppia di amici catechisti ha creato questa petizione
    https://www.change.org/p/papa-e-conferenza-episcopale-italiana-consentiteci-il-conforto-dei-sacramenti/share_for_starters?just_created=true

    Non servirà a cambiare le cose quaggiù … ma alla nostra anima di fronte a Dio sì

  • Paola ha detto:

    la storia ci racconta come era Nerone, cioè un “pazzo” che per colpevolizzare i cristiani incendiò Roma.
    Come definire questa chiesa di oggi?
    Solo una grande prostituta?
    dialogante con tante bugie?
    forse, ma io non ci sto nel loro pensiero,

  • Nicola Buono ha detto:

    Una considerazione. Queste porcate sono state fatte contro la Chiesa ed i cattolici sotto un governo guidato dalle due massime forze politiche di sinistra. Tutti zitti manco un fiato. Sotto il precedente governo, se il capo della forza di destra al governo, Matteo Salvini , osava solo mostrare il Santo Rosario in un comizio oppure dire che affidava l’italia a Maria, allora moltissimi ( nella Chiesa, capoccioni e non) leoni ed ” eroi” a mostrargli le zanne ed inveire eroicamente contro il ” rassista e fassista ” che non ha preso provvedimenti né contro la Chiesa ne’ contro i cattolici. Chiesa debole con i forti e forte con i deboli. Ma soprattutto Chiesa( non tutta ma una parte importante) che ha ormai assorbito la mentalità del mondo , mentalità atea ed agnostica e mondana, per cui non si ribella, non annuncia il Vangelo ma parole buoniste universali, e non si scaglia contro i ” compagni di fede agnostica ed atea ” che la perseguitano. Si scagliano solo contro coloro che mostrano la Fede ( Salvini ) anche se poi spesso e volentieri non la mettono in pratica. Nessuna meraviglia quindi se la Chiesa tace se le autorità proibiscono la Messa ed impediscono la nostra Fede.

  • giulia anna anna meloni ha detto:

    per Roma, il coronavirus ,si è dimostrato un ottimo cavallo di Troia per assestare un colpo quasi mortale alla Fede cattolica,confidando nell’obbedienza cieca dei cattolici.Per Grazia Divina non è stato così .Noi laici ,abbiamo la capacità di giudizio ,non per gentile concessione di vescovi e presbiteri ma come Grazia Di DIO che ci permette di capire cosa è giusto e sbagliato,di riflettere e agire alla Luce della Legge di Dio. Se qualche presbitero,ammantato di superbia e vanagloria ,cura blog inveendo, in modo anche volgare ,verso fedeli che esprimono giudizi sulla situazione attuale della chiesa di Roma ,se ne facciano una ragione.Noi ,fedeli laici ,senza superbia , ringraziamo il Padre Celeste di tanto aiuto che ci arriva attraverso con contributo di tanti laici e presbiteri ,che si spendono con carità e umiltà, per informare le persone e tenere alto Il Vangelo per la Gloria di Dio e la salvezza delle anime.

  • Minimus ha detto:

    Ma se ci sono gli estremi, come autorevolmente sembra, perché gli avvocati non si muovono legalmente, sempre che non sia già stato fatto? Diversamente mi sembra un po’ sterile continuare a raccontarcela tra noi.

  • EquesFidus ha detto:

    Tanto, ormai è chiaro a tutti: il governo liberal-comunista al potere ha annusato il potere, e la possibilità di imporre, una volta per tutte, la loro volontà all’Italia con la scusa del coronavirus. Prima, facevano a gara a mostrarsi “più buoni” della Lega e di FdI, denigrando chiunque chiedesse la chiusura delle frontiere e la quarantena per i rientri dall’estero con il mantra di “razzista” e “fascista”, esibendosi in pagliacciate come le visite alle classi cinesi o i raduni “contro la paura” (ottimi, per la diffusione di un virus!), adesso fanno a gara ad imporre restrizioni ed a taglieggiare la popolazione locale, imponendo una burocrazia assurda, impedendo di andare in chiesa ed impedendoci di celebrare il Triduo. Domani, chissà… Controllo dei cellulari? Divieto di celebrazione, anche sine populo? Droni a controllare la popolazione? Intercettazioni telefoniche e delle mail? Magari anche obbligo di denuncia di chi “viola” (secondo loro, perché andare in chiesa non potrà MAI essere un crimine, anche se a loro piacerebbe) la quarantena? Per quanto mi riguarda, continuerò a fare come ho fatto sinora; mi dispiace, ma i diritti di Dio vengono prima di quelli del governo italiano, che non ha fatto niente in vista dell’epidemia (ricordo che lo stato di emergenza è stato dichiarato il 31 gennaio, senza avvisare la popolazione, mentre i primi italiani casi sul suolo italiano, tralasciando turisti immigrati, sono del 21 febbraio), non ha preso precauzioni ed ora si arroga il diritto di poter chiudere le chiese in una riedizione della Rivoluzione francese in salsa ciociara. Ebbene, vorrei dire a questi atei, o agnostici (di certo miscredenti, dato che a nessuno dotato di una sia pur flebile fede verrebbero in mente certi provvedimenti) che se ci fossimo preoccupati anzitempo, che se non vi foste preoccupati di mostrarvi i più “buoni dei buoni” in vista delle prossime elezioni contro quei “brutti e cattivi” “fascioleghisti”, ora non saremmo in questa situazione. E non osate pensare di vendere l’Italia a Bruxelles o al IV Reich di Merkel e Macron: posto il fatto che la sovranità appartiene a Dio, in Italia è stato (purtroppo) dichiarato che appartiene al popolo, di cui voi fate solo le veci. Non avete il diritto di fare quello che state facendo, non avete il diritto di scavalcare il Parlamento, non avete diritto di chiederci di rendere a Cesare ciò che è di Dio!

  • creazionista ha detto:

    Ma se uno dichiara di essere islamico e di recarsi in Chiesa per una preghiera interreligiosa ai sensi della dichiarazione di Abu Dhabi il documento in oggetto è ancora applicabile?

  • Pier Luigi Tossani ha detto:

    Governo-spazzatura.
    Comunque, il vaticano ha fatto l’accordo con la Cina totalitaria, si adatterà anche a quanto disposto dallo Stato oligarchico italiota.
    Tanto, non gliene importa una ceppa a nessuno. C’è il Giorno del Giudizi, però.

    • Dubbioso ha detto:

      E se l’accordo con lo stato cinese fosse stato tenuto segreto proprio per la contropartita richiesta dalle autorità cinesi al Vaticano ?
      Se avessero richiesto una maggiore sudditanza dello stato italiano al disegno espansionista cinese ?
      Come potrebbero reagire i sindacati italiani di fronte ad una svendita delle nostre industrie pregiate alla Cina ?

      • Pier Luigi Tossani ha detto:

        Il fatto che l’accordo sia segreto, comunque la si veda, è un dei tanti abomini vaticani, dei quali (quasi) nessuno chiede conto. I sindacati confederali italiani sono tutti servi dei padroni. Se non fossero, promuoverebbero la “Società partecipativa” https://lafilosofiadellatav.wordpress.com/i-maestri-2/pier-luigi-zampetti/
        Abbaiano e basta, è un gioco delle parti. Sono disposti a tutto.

        • Dubbioso ha detto:

          Anche a lavorare il 25 dicembre ? Si può pensare che avere un padrone cinese invece che uno italiano non sia grave, proprio come dice Lei, in un semplice gioco delle parti. Ma quando le richieste del nuovo padrone invadono la sfera della tua famiglia, e la prospettiva è quella di restare senza lavoro perché trasferito altrove, allora forse reagiranno.

  • Sconsolata ha detto:

    Non entro nel merito di questioni giuridiche e concordatarie, di cui non ho perfetta conoscenza.
    Dopo aver letto svariate pagine sul tema in oggetto, ormai da circa un mese, con molta approssimazione mi limito ad esporre i miei dubbi.
    Mi sembra che siano stati richiesti “chiarimenti”, non mosse contestazioni o presentate istanze per rivendicare il rispetto di diritti o norme che – anche ad un ignorante come me – paiono essere state violati. La cosa, a mio modesto avviso, non depone a favore di “richiedenti” in grado di farsi rispettare e far rispettare il popolo di Dio loro affidato. Per dirla con parole semplici: non all’altezza dei loro compiti, dei “dirigenti” (chiamiamoli così) che si muovono senza avere obiettivi chiari, che si barcamenano con molta approssimazione e alla ricerca di alibi per nascondere e/o motivare quella che è soltanto la loro incapacità ad affrontare anche questo “problema”. E che problema!!! Uno di quelli che ne richiama e ingloba altri.
    Per cui: a rigor di logica, se chiedo a qualcuno lumi su come comportarmi, non posso poi accusare questo qualcuno (in questo caso il “potere statale”) di “ingerenza”.
    Ripeto: la mia è la riflessione di una perfetta ignorante in una materia su cui sono state scritte pagine e pagine controverse nel corso delle ultime settimane; una riflessione come un compito scolastico di analisi del testo. Con ampi margini di errori di interpretazione.

  • Guglielmo da Baskerville ha detto:

    Uno dei paradossi e’ che un disoccupato sano non puo’
    accedere alla chiesa, per farlo puo’ abbinarlo al solo
    acquisto di alimenti. Se, incidentalmente, e’ pure nullatenente,
    non ha in motivo lecito per uscire e quindi non puo’ andare in chiesa.

    • Vexata Quaestio ha detto:

      Un altro paradosso e’ che ora la domenica e’ il giorno
      della settimana con le minori possibilita’ di andare in chiesa.

      Di domenica gli alimentari, ambulatori e la maggior parte
      delle farmacie sono chiuse. Solo lo sparuto numero
      di persone che lavorano di domenica hanno un motivo
      lecito per andare in chiesa.

  • Giuseppe De Vargas ha detto:

    Naturalmente non ci sarà nessuna protesta, nessuna presa di posizione della gerarchia ecclesiastica ma solo felicissima, prona acquiescenza. Tanto non vedevano l’ora di chiudere le Chiese!
    Però le ceromonie civili – vedi matrimoni – quelli si, si possono fare come testimoniano entusiasticamente i vari servizi televisivi. Che bravi ! Sposatevi in comune così andate in televisione! Che vergogna!!!