LAPORTA: PERCHÉ ALDO MORO NON FU UCCISO SUBITO?

24 Marzo 2020 Pubblicato da

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il generale Piero Laporta risponde in questo articolo alla domanda posta da una delle amiche di Stilum Curiae, e nata dalla discussione che si è originata nei due articoli precedenti: Aldo Moro non era in via Fani, e Caso Moro: Laporta risponde a domande e commenti, pubblicati nei giorni scorsi. Come sempre, si tratta di una lettura avvincente su quegli anni e fatti drammatici, che hanno pesato – e pesano ancora – sulla nostra esistenza. Buona lettura. 

§§§

Caro Marco, il quesito, postomi dalla lettrice Milli, è terribile e, allo stesso tempo, sembra risolvibile con una risposta apparentemente semplice.

Ringrazio davvero Milli perché mi chiede: «Perché non hanno ucciso subito Aldo Moro?».

Questo argomento, come si vedrà, richiede un articolo dedicato. L’avevo quindi omesso per brevità.

Ora però vorrei fornire a Milli e ai lettori di Stilum Curiae elementi essenziali per orientarsi.

Se Milli può e vuole consultare le lettere di Aldo Moro, si avvalga solo del libro “Aldo Moro, Ultimi Scritti, 16 marzo -9 maggio 1978”, a cura di Eugenio Tassini, ed. Piemme, 1998. Altre pubblicazioni non sono a mio avviso altrettanto affidabili.

Se lo desidera posso farle pervenire una copia, tramite Marco Tosatti. Ad ogni buon conto ho provveduto a diffonderne in giro una certa quantità, per evitare che facciano sparire il libro.

Veniamo al punto. La risposta che offro contiene molti “se” e altrettanti “ma”, tuttavia cuciti con le evidenze scaturenti dalle lettere di Aldo Moro e da altri documenti che citerò.

Per rispondere occorre partire da un dato di fatto tanto banale quanto vero: non lo hanno ucciso subito. Era quindi interesse strategico dei mandanti che Aldo Moro fosse rapito vivo.

Può apparire banale? Non lo è affatto. Aldo Moro è, come scrive nella lettera a Cossiga: «Sotto un dominio pieno e incontrollato». Potevano quindi ucciderlo subito, semmai fosse rimasto vivo per errore (ma non è così, come abbiamo già scritto nei precedenti articoli), potevano sparargli un colpo in testa in via Fani, oppure ucciderlo immediatamente dopo essersi allontanati, se si fossero sentiti incalzati dallo stranissimo accorrere del capo della Digos, giunto in via Fani mentre i rapitori si allontanavano. Un tempismo tanto singolare quanto sospetto, anche per quanto accade immediatamente dopo l’arrivo del capo della Digos, come certifica la relazione del magistrato Gianfranco Donadio, il 4 marzo 2017, alla Commissione parlamentare d’inchiesta.

Possiamo scervellarci sulle ragioni di questa apparente incongruenza – perché non lo hanno ucciso subito? – ma fin quando non agguanteremo uno di coloro che erano alla testa dell’organizzazione – evento oramai alquanto improbabile – non lo sapremo mai con certezza. Aggrappiamoci dunque ai documenti e alle logiche deduzioni da essi scaturenti.

È lo stesso Aldo Moro, ancora una volta, a guidarci.

La prima lettera a Benigno Zaccagnini (pag. 15 op. cit.) è introdotta dal curatore del libro, E. Tassini, con queste importanti osservazioni:

«Scritta il 31 marzo. Recapitata il 4 aprile a Nicola Rana e, in fotocopia, alle redazioni di La Repubblica, L’Avvenire e Il Settimanale. Pubblicata dai giornali il 5 aprile. In via Monte Nevoso è stata trovata la minuta (con frasi più forti e definitive. In particolare Moro scrive di essere “già condannato”) una prima stesura.»

Non è dato sapere se questo testo sia stato rinvenuto in via Monte Nevoso 8, a Milano, il 1°ottobre 1978, per mano del Reparto speciale antiterrorismo dei Carabinieri, diretto dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Poco dopo il generale Dalla Chiesa fu trasferito al comando della Divisione Pastrengo e il suo reparto antiterrorismo fu disperso. Oppure il testo, chiosato da Tassini, fu rinvenuto nel 1990, durante una ristrutturazione. Neppure posso escludere che il testo fosse rinvenuto in entrambe le occasioni.

Sarebbe oltremodo grave se il testo, rinvenuto nel 1978, non fosse stato valorizzato a dovere. È altrettanto grave che non sia stato valorizzato dopo il 1990. D’altronde non possiamo sapere se tale testo originario qualcuno lo abbia reimmesso in copia in via Monte Nevoso proprio affinché non scomparisse dagli atti.

Non di meno, com’è evidente, esso è stato insabbiato sinora. Perché?

Aldo Moro, persona di intelligenza superlativa, dimostra con pochissime parole d’avere ben compreso che la sua sorte è segnata.

Egli afferma di essere «già condannato». I suoi carcerieri lo censurano, ovvio, altrimenti la commedia della trattativa si sbriciola.

Riflettiamo. Uno degli obiettivi della “trattativa” è certamente quello di individuare gli amici fidati di Aldo Moro e metterli sulla lista nera, dalla quale espungerli a tempo e modo opportuni, per smontare un sistema di potere e sostituirlo con un altro.

Aldo Moro è ben consapevole che è in atto la manovra per la sua successione politica.

La lettera di Aldo Moro è scritta il 31 marzo, è pubblicata il 5 aprile.

Occhio alle date. Il giorno successivo Giorgio Napolitano parte per gli Usa, ottenendo un visto negato da Henry Kissinger e dal Dipartimento di Stato tre anni prima. Il mediatore con gli Usa per questo visto è Giulio Andreotti.

Non era un viaggio improvvisato. Leggete con attenzione.

«Il “primo viaggio” di un dirigente del Pci negli Stati Uniti era stato predisposto già da alcuni mesi – in risposta all’invito dell’Università di Princeton e di altre prestigiose Università e centri di ricerca – sulla base di un programma di conferenze e seminari, e quindi di una precisa caratterizzazione politico-culturale.» Scrive Giorgio Napolitano, su 30Giorni, diretto da Giulio Andreotti. Era maggio del 2006, mentre la commissione Mitrokhin indagava sul terrorismo, nonostante lo scarso entusiasmo di Silvio Berlusconi.

La figura di Napolitano e i suoi rapporti “trilaterali” con Mosca, Washington e di “fratellanza” con Silvio Berlusconi sono ampiamente noti, grazie a Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara “I Segreti di Napolitano”, Micromega online, 4 dic. 2013

Aldo Moro non sa del viaggio di Napolitano negli Usa. Ha tuttavia perfettamente chiare le conseguenze che si delineano con la sua prossima morte. Scrive nella stessa lettera (pag.16, op.cit.):

«Tener duro può apparire più appropriato, ma una qualche concessione è non solo equa, ma anche politicamente utile. Come ho ricordato in questo modo civile si comportano moltissimi Stati. Se altri non ha il coraggio di farlo, lo faccia la D.C. che, nella sua sensibilità ha il pregio di indovinare come muoversi nelle situazioni più difficili. Se così non sarà, l’avrete voluto e, lo dico senza animosità, le inevitabili conseguenze ricadranno sul partito e sulle persone. Poi comincerà un altro ciclo più terribile e parimenti senza sbocco.»

La caccia agli amici di Aldo Moro è intanto già cominciata. Il libro calunnioso di Camilla Cederna, “Giovanni Leone La Carriera di un Presidente”, è finito di stampare dalla editrice Feltrinelli il 16 marzo 1978, giorno della strage. Trent’anni dopo Giorgio Napolitano chiederà scusa per quelle calunnie. Dimenticherà di ricordare che quelle calunnie consentirono di espugnare e controllare il Quirinale sino ai giorni correnti. Dimenticherà di ricordare che il Partito Comunista Italiano fu il più accanito calunniatore di Giovanni Leone, insieme al Partito Radicale.

Difficile negare, guardandoci intorno, quanto Aldo Moro abbia visto giusto sulla sua sorte e sulle conseguenze: egli doveva morire, i suoi amici dovevano essere uccisi o dispersi, la Democrazia Cristiana doveva sparire, l’Italia doveva sottomettersi.

Gli ex comunisti e gli accattocomunisti sono tutti accattoglobalisti. Il resto è noto. www.pierolaporta.it

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20 commenti

  • Oscar ha detto:

    Gentile Generale, ho ascoltato le dichiarazioni dell’On. Gero Grassi, con delega al “Caso Moro”. Anche lui è molto critico con le dichiarazioni delle BR e sulle dinamiche acquisite circa l’attentato di via Fani. Non dice che Aldo MOro non era in via Fani ma sostiene che quello stava leggendo le tesi di Laurea, e che il sangue che fuoriusciva dalle ferite alla testa del capo-scorta, formò un triangolo sul tappetino dietro, senza sporcare i fogli delle tesi. Lei cosa ne pensa di queste dichiarazioni? Le trovai su Youtube.
    Trovo anche interessante questa ricostruzione di come sia stato colpito il M.llo Leonardi nella Fiat 130: http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/stenografici/html/68/audiz2/audizione/2015/06/10/38aud051.jpg
    e dalla quale si potrebbe ritenere che se qualcuno fosse stato seduto dietro, molto probabilmente sarebbe stato ferito.
    Questa invece la ricostruzione di come sia stato colpito l’autista Domenico Ricci.
    http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/stenografici/html/68/audiz2/audizione/2015/06/10/38aud052.jpg.

    Grazie per stimolare in noi la voglia di andare a fondo di certe questioni che i media ufficiali con troppa “leggerezza” chiudono nel modo cd. ufficiale, non per niente siamo al 77° posto nel mondo tra Moldova e Benin.
    https://www.lastampa.it/esteri/2016/04/20/news/liberta-di-stampa-l-italia-crolla-ora-e-al-77-posto-1.35015159

    • PIERO LAPORTA ha detto:

      Grazie. Prima di risponderle devo studiare. Lo farò fra qualche tempo perché ora vorrei scrivere di altro.
      Grazie davvero, per il suo cortese suggerimento che non mancherò di valorizzare.
      Anzi approfitto per chiederle se è a conoscenza d’una ricostruzione dell’agguato con auto, manichini, colpi veri e armi del medesimo tipo. A me constano solo discutibili ricostruzioni cibernetiche e addomesticabili. Mi sbaglio?

  • Marchetti ha detto:

    Gentile dr. Tosatti,
    nel dare merito al dr. Pierluigi Magnaschi di aver pubblicato il pezzo relativo alle tesi del dr. Piero La Porta sul sequestro Moro e quindi di avermi fatto conoscere il suo Blog, vengo ad esprimere alcuni dubbi su tesi estremamente raffinate, documentate e ben espresse che sembrano le caratteristiche del vero piuttosto che quelle del verosimile.
    Le domande si concentrano attorno alla tesi esposta dal dr. La Porta in ordine al prelevamento dell’on. Moro in considerazione del fatto che, come asserisce lo stesso autore, il capo scorta Oreste Leonardi, esperto ed estremamente affezionato all’On. Moro, non avrebbe mai lasciato il suo protetto in mani non note né sicure.
    L’ipotesi esposta dal dr. La Porta circa il drappello di carabinieri capeggiato dall’ufficiale conosciuto dal capo scorta Leonardi sembra evidenziare forse alcuni punti deboli.
    Il Primo: proprio perché il capo scorta Lunardi aveva creduto all’annuncio del rapimento (o si era dovuto attenere alle disposizioni dell’Ufficiale), dopo aver lasciato l’On. Moro “al sicuro”, perché mai avrebbe dovuto procede con il tradizionale percorso per raggiungere il Parlamento? Perchè mai la scorta avrebbe dovuto andare incontro ad un attentato seppure ipotetico? Perché usare questa imprudenza quando all’epoca la prima norma delle scorte (secondo quanto era possibile leggere visto che io non sono un espero e mi baso solamente sulla logica) era quella di cambiare spesso il tragitto proprio per non divenire facili bersagli di eventuali male intenzionati? Solo per un ordine?
    Seconda questione fortemente connessa alla prima. Perché mai dopo l’avviso di un possibile attentato e proprio in considerazione che si era scelta la strada di procede con il previsto percorso, le armi degli agenti (fortemente utili in caso di assalto) erano riposte nel bagagliaio? Possibile che Leonardi, scrupoloso ed esperto, responsabile della vita dell’On. Aldo Moro ma anche dei suoi commilitoni, potesse permettersi leggerezze tanto gravi?
    Terzo. Possibile che lo stesso Leonardi nel tragitto tra la Chiesa e l’incrocio della strage non avesse comunicato con qualcuno via radio? O meglio, possibile che Leonardi potesse prendere da solo la decisione di mollare, seppure ad un ufficiale dei Carabinieri, il suo protetto senza comunicarlo a nessuno?
    Nel ringraziare per l’attenzione si porgono cordiali saluti
    D. Marchetti

    • PIERO LAPORTA ha detto:

      Come Aldo Moro sia stato separato dalla scorta può essere spiegato con mille congetture, che tali rimangono tali sino a prova contraria. Di questo va chiesto conto agli investigatori e al servizio scorta del tempo.
      Non è invece una congettura quanto scrive Aldo Moro alla moglie e poi a Zaccagnini (ma censurato ovviamente dalle Br o chi per loro), portando a concludere che Aldo Moro non fosse in via Fani e sapesse di essere già condannato. Chi ha evidenze contrarie si faccia avanti.
      Le chiedo inoltre cortesemente di inviarmi la copia del pezzo pubblicato da Magnaschi a questo indirizzo prlprt@gmail.com. Grazie.

  • Antonio ha detto:

    Non credo che per stabilire chi fossero gli amici fidati di Moro ci fosse bisogno di inscenare una trattativa per la sua liberazione. Non lo hanno ucciso subito semplicemente perché il rapimento, la prigionia, la trattativa, il processo, l’esecuzione erano una rappresentazione molto più efficace di un colpo in testa e via.

    • PIERO LAPORTA ha detto:

      Grazie.
      Sì, è plausibile la sua tesi tuttavia compatibile con la mia.

  • anonimo verace ha detto:

    Sulla spinta dei suoi articoli, ho ripreso in mano i libri sul sequestro Moro. O meglio su tutto il periodo di torbidi avvenuti a Roma sia col sequestro Moro, sia nelle epoche successive.
    A pag. 38 del libro VATICANO Un affare di stato, di Ferdinando Imposimato, pubblicato dalla KOINE’ nuove edizioni nel dicembre 2003 si trovano delle considerazioni interessanti. Afferma Imposimato che , nel 1975, mentre Berlinguer divenne il portavoce dell’eurocomunismo , Mosca stabilì rapporti preferenziali con l’ala stalinista del PCI e con le Brigate Rosse e i NAP, ritenuti i veri interpreti del leninismo – marxismo.
    Ma per capire appunto quali fossero i legami tra Mosca e le organizzazioni presenti in Italia ci vollero anni. Nel 1999, però si trovarono due nomi, nel dossier Mitrokin : si trattava di Vladimir Kuzichkin e Feodor Sergey Sokolov. Il primo nome portava all’attentato papa, il secondo al sequestro Moro. …
    Sokolov, come Stalin era originario della Georgia e, secondo il rapporto Mitrokin era venuto in Italia nel 1981. Ma il prof. Franco Tritto, allievo di Moro , leggendo nel 1999 il nome di Sokolov , ricordò che un giovane con quel nome aveva frequentato Moro tra gennaio e marzo 1978.

    • continuazione ha detto:

      Fu così che Tritto scrisse al giudice Rosario Priore di aver denunciato Sokolov fin dal 16 marzo 1978 al Ministero dell’ Interno per i suoi comportamenti sospetti durante gli incontri con Moro. E a questo punto Imposimato riporta il testo scritto da Tritto a Priore nel 1999.
      Vediamo di riassumere. Sokolov aveva contattato Moro all’Università, dove Tritto, suo assistente, presenziava sia alle lezioni sia ai colloqui con gli alunni nell’ora successiva. Durante questi momenti di conversazione si presentò un giovane chiedendo con accento straniero al professor Moro se lui fosse l’onorevole Moro. Alla risposta affermativa affermò di venire da Mosca e di essere in Italia per aver vinto una borsa di studio sulla storia del Risorgimento . Moro rivolse allora alcune domande al giovane . Tra l’altro gli chiese se avesse fatto il servizio militare. La cosa stupì Tritto. La risposta fu affermativa e Moro si informò anche sull’età in cui Sokolov avesse fatto il servizio militare. Il colloquio proseguì e Moro disse a Sokolov che lo avrebbe invitato alle conferenze che erano soliti organizzare al di fuori dell’ Università , cicli di conferenze sui temi più attuali dell’epoca. Fu così che il giovane lasciò un recapito per gli eventuali inviti . Poi si allontanò, ma Tritto, stupito, rimase a colloquio con Moro, dato che incontrare uno studente dell’Unione Sovietica nelle nostre università non era una cosa tanto frequente.
      Tritto suggerì a Moro di chiedere notizie tramite l’ambasciata, ma Moro , (con una chiarezza che il sottoscritto non gli avrebbe mai attribuito) fece presente a Tritto che all’Ambasciata sovietica sono tutti spie e gli consigliò di rispondere in modo vago e generico a eventuali domande di Sokolov- .
      Tritto esternò a Moro il suo stupore per l’ottima conoscenza del giovane della nostra lingua e Moro gli rispose che in Russia di solito usano le cuffie , li tegono lì per molte ore e, alla fine, o impazziscono o imparano bene la lingua. Nei giorni successivi ci furono altri incontri e ci furono anche un paio di domande Strane. Una prima volta Sokolov chiese a Tritto se viaggiasse di solito in auto con l’onorevole Moro, ed una seconda volta, ad una conferenza chiese a qualcuno dei presenti chi fossero quei signori. Si trattava degli uomini della scorta ( di cui evidentemente il nostro fino al quel momento non aveva messo a fuoco l’esistenza – osservazione del sottoscritto )

    • PIERO LAPORTA ha detto:

      Feodor Sergey Sokolov dimorava a Roma, in via degli Orti d’Alibert, 8, in un appartamento del Vaticano.

  • Donna ha detto:

    All’epoca dell’omicidio di Aldo Moro ero una ragazzina, ora leggendo gli antefatti e tutte le “congiure di palazzo “almeno quelle note e che si sono meglio comprese col passare del tempo, grazie a uomini integri e coraggiosi che non temono la testimonianza, vengono i brividi e sale il disgusto.
    In epoche remote, la storia insegna che per regni e troni si toglieva di mezzo il nemico/ostacolo senza tanti problemi , ora tale arte che definirei, una “spidertrap”, si è affinata, è cambiato il modus operandi ma non lo scopo, potere e denaro.
    Grazie per aver spiegato questi avvenimenti con tanta chiarezza.

  • Giuseppe Riva ha detto:

    Grazie di cuore per l’articolo. Una domanda: anche la Chiesa di Paolo VI ha partecipato al “gioco delle parti”?

    • PIERO LAPORTA ha detto:

      Mio nonno amava ripetermi un proverbio, del quale non afferravo tutta la portata: “Il diavolo s’accuccia sotto l’acquasantiera”, cioè dove trova obiettivi remunerativi.
      Nei tempi correnti si comprende che il proverbio di mio nonno era molto vero, ai suoi tempi come ai nostri.

  • Iginio ha detto:

    Ma ha seguito la presentazione dell’edizione critica del Memoriale di Moro fatta di recente all’Archivio di Stato di Roma?

  • PIERO LAPORTA ha detto:

    Non ho elementi su Gelli per poter confermare o smentire quanto lei mi dice.
    Per il libro le farò sapere.

  • FRANJO ha detto:

    Solo una piccola osservazione. Visto che ha citato il Gen. Dalla Chiesa, ricordo che , nel profluvio di pentiti successivi alle stragi del 1992-93, qualcuno collegò l’assassinio del Generale non già alla sua carica di Prefetto di Palermo (aveva poteri molto limitati nella lotta alla mafia) ma proprio alle conoscenze che custodiva sull’affaire Moro (tra l’altro, la sua cassaforte in prefettura fu provvidenzialmente – e immediatamente – “pulita”).
    Nel corso del processo Andreotti, inoltre, uno dei collaboratori di Dalla Chiesa sul “fronte delle carceri”, il maresciallo della Penitenziaria Incandela, testimoniò di una sorta di attività investigativa parallela – e informale – del Generale, in ciò coadiuvato da Pecorelli, per collegare Andreotti al delitto Moro.
    Citando Besozzi sul bandito Giuliano: di sicuro c’è solo che sono morti.
    Grazie comunque al Gen. Laporta per l’avvincente argomentazione.

  • Milli ha detto:

    Grazie molte per la risposta, ancora più inquietante.
    Riguardo al presidente Leone, lessi da qualche parte che Licio Gelli avesse in qualche modo promesso di farlo cadere. C’entrava qualcosa la P2 o si tratta dell’ennesimo depistaggio?
    Per il libro come posso fare?

    • PIERO LAPORTA ha detto:

      Gentile Milli, non ho elementi su Gelli per poter confermare o smentire quanto lei mi dice.
      Per il libro le farò sapere.