CORONAVIRUS. CREPALDI: LA MORALE COMUNE DOVRÀ CAMBIARE.
19 Marzo 2020
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, riceviamo e rilanciamo questa riflessione dell’arcivescovo Giampaolo Crepaldi sulla crisi del coronavirus e le sue implicazioni a largo raggio. Buona lettura.
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Arcivescovo Giampaolo Crepaldi
Coronavirus, l’oggi e il domani.
Riflessioni su un’emergenza non solo sanitaria
Questa riflessione dell’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi è fatta propria dall’Osservatorio Cardinale Van Thuân e dal Coordinamento Nazionale Justitia et Pax per la Dottrina sociale della Chiesa e costituisce la base di un impegno di riflessione sull’emergenza in atto e soprattutto sul dopo-coronavirus alla luce della Dottrina sociale della Chiesa
Niente sarà più come prima
L’epidemia connessa con la diffusione del “COVID-19” ha un forte impatto su molti aspetti della convivenza tra gli uomini e per questo richiede anche un’analisi dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa. Il contagio è prima di tutto un evento di tipo sanitario e già questo lo collega direttamente con il fine del bene comune. La salute ne fa certamente parte. Nel contempo pone il problema del rapporto tra l’uomo e la natura e ci invita a superare il naturalismo oggi molto diffuso e dimentico che, senza il governo dell’uomo, la natura produce anche disastri e che una natura solo buona e originariamente incontaminata non esiste. Poi pone il problema della partecipazione al bene comune e della solidarietà, invitando ad affrontare in base al principio di sussidiarietà i diversi apporti che i soggetti politici e sociali possono dare alla soluzione di questo grave problema e alla ricostruzione della normalità quando fosse passato. È emerso con evidenza che tali apporti devono essere articolati, convergenti e coordinati. Il finanziamento della sanità, problema che il coronavirus fa emergere con grande evidenza, è un problema morale centrale nel perseguimento del bene comune. Urgono riflessioni sia sulle finalità del sistema sanitario, sia sulla sua gestione e sull’utilizzo delle risorse, dato che un confronto con il recente passato fa registrare una notevole riduzione del finanziamento per le strutture sanitarie. Connessi con il problema sanitario ci sono poi le questioni dell’economia e della pace sociale, dato che l’epidemia mette in pericolo la funzionalità delle filiere produttive ed economiche e il loro blocco, se continuato nel tempo, produrrà fallimenti, disoccupazione, povertà, disagio e conflitto sociale. Il mondo del lavoro sarà soggetto a forti rivolgimenti, saranno necessarie nuove forme di sostegno e solidarietà e occorrerà fare delle scelte drastiche. La questione economica rimanda a quella del credito e a quella monetaria e, quindi, ai rapporti dell’Italia con l’Unione Europea da cui dipendono nel nostro Paese le decisioni ultime in questi due settori. Ciò, a sua volta, ripropone la questione della sovranità nazionale e della globalizzazione, facendo emergere la necessità di rivedere la globalizzazione intesa come una macchina sistemica globalista, la quale può anche essere molto vulnerabile proprio a motivo della sua rigida e artificiale interrelazione interna per cui, colpito un punto nevralgico, si producono danni sistemici complessivi e difficilmente recuperabili. Destituiti di sovranità i livelli sociali inferiori, tutti ne saranno travolti. D’altro canto, il coronavirus ha anche messo in evidenza le “chiusure” degli Stati, incapaci di collaborare veramente anche se membri di istituzioni sovranazionali di appartenenza. Infine, l’epidemia ha posto il problema del rapporto del bene comune con la religione cattolica e quello del rapporto tra Stato e Chiesa. La sospensione delle messe e la chiusura delle chiese sono solo alcuni aspetti di questo problema.
Così si sembra essere il quadro complesso dei problemi investiti dall’epidemia da coronavirus. Si tratta di argomenti che interpellano la Dottrina sociale della Chiesa per cui il nostro Osservatorio si sente chiamato ad offrire qualche riflessione, sollecitando altri contributi in questa direzione. L’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, scritta nel 2009 al tempo di un’altra crisi, affermava che “La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità” (n. 21).
La fine del naturalismo ideologico
Le società erano e sono attraversate da varie forme ideologiche di naturalismo che l’esperienza di questa epidemia potrebbe correggere. L’esaltazione di una natura pura e originariamente incontaminata di cui l’uomo sarebbe l’inquinatore non teneva e, a maggior ragione, non tiene ora. L’idea di una Madre Terra dotata originariamente di un suo equilibrio armonico con il cui spirito l’uomo dovrebbe connettersi per ritrovare il giusto rapporto con le cose e con se stesso è una sciocchezza che questa esperienza potrebbe dissolvere. La natura deve essere governata dall’uomo e le nuove ideologie panteiste (e non solo) postmoderne sono ideologie disumane. La natura, nel senso naturalistico del termine, produce anche disequilibri e malattie e per questo deve essere umanizzata. Non è l’uomo a doversi naturalizzare, ma la natura a dover essere umanizzata.
La rivelazione ci insegna che il creato è affidato alla cura e al governo dell’uomo in vista del fine ultimo che è Dio. L’uomo ha il diritto, perché ha il dovere, di gestire la creazione materiale, governandola e traendo da essa quanto necessario e utile per il bene comune. Il creato è affidato da Dio all’uomo, al suo intervento secondo ragione e alla sua capacità di dominio sapiente. È l’uomo il regolatore del creato, non viceversa.
I due significati del termine “Salus”
Il termine “Salus” significa salute, nel senso sanitario del termine, e significa anche salvezza, nel senso etico-spirituale e soprattutto religioso. L’attuale esperienza del coronavirus testimonia ancora una volta che i due significati sono interconnessi. Le minacce alla salute del corpo inducono cambiamenti negli atteggiamenti, nel modo di pensare, nei valori da perseguire. Essi mettono alla prova il sistema morale di riferimento dell’intera società. Esigono comportamenti eticamente validi, denunciano atteggiamenti egoistici, disinteressati, indifferenti, di sfruttamento. Evidenziano forme di eroismo nella comune lotta al contagio e, nello stesso tempo, forme di sciacallaggio di chi approfitta della situazione. La lotta al contagio richiede un ricompattamento morale della società in ordine a comportamenti sani, solidali, rispettosi, forse più importante del ricompattamento delle risorse. La sfida alla salute fisica si pone quindi in rapporto con la sfida alla salute morale. Serve un profondo ripensamento delle derive immorali della nostra società, a tutti i livelli. Spesso le disgrazie naturali non sono del tutto naturali, ma hanno alle spalle atteggiamenti moralmente disordinati dell’uomo. Non è ancora definitivamente chiarita l’origine del “COVID-19” e anche esso potrebbe dimostrarsi non di origine naturale. Ma anche ammessa la sua origine puramente naturale, il suo impatto sociale chiama in causa l’etica comunitaria. La risposta non è e non sarà solo scientifico-tecnica, ma dovrà essere anche morale. Dopo la tecnica, la grave contingenza del coronavirus dovrebbe far rivivere su nuove solide basi la morale pubblica.
La partecipazione al bene comune
Si richiede una partecipazione etica perché in causa c’è il bene comune. L’epidemia da coronavirus contraddice tutti coloro che hanno sostenuto che il bene comune come fine morale non esiste. Se così fosse, per cosa si impegnerebbero tutte le persone che, dentro e fuori le istituzioni, si danno da fare e lottano? A quale impegno sarebbero chiamati i cittadini con le ordinanze restrittive se non ad un impegno morale per il bene comune? Su quale base si dice che alcuni comportamenti in questo momento sono “doverosi”? Chi negava l’esistenza del bene comune o chi affidava il suo conseguimento solo a delle tecniche, ma non all’impegno morale per il bene, oggi è contraddetto dai fatti. È il bene comune a dirci che quello della salute è un bene che tutti dobbiamo promuovere. È il bene comune a dirci che la parola Salus ha due significati.
Questa esperienza del coronavirus sarà fatta lievitare al punto da approfondire e allargare questo concetto del bene comune? Mentre si lotta per salvare la vita di tante persone, gli interventi di aborto procurato non cessano, né cessano le vendite delle pillole abortive, né cessano le pratiche eutanasiche, né cessano i sacrifici di embrioni umani e tante altre pratiche contro la vita e la famiglia. Se si riscopre il bene comune e la necessità di una corale partecipazione in suo favore nel campo della lotta all’epidemia, si dovrebbe avere il coraggio intellettivo e della volontà di estendere il concetto fino a là dove naturalmente deve essere esteso.
La sussidiarietà nella lotta per la salute
La mobilitazione in atto contro la diffusione del coronavirus ha visto la partecipazione di molti livelli talvolta coordinati talvolta meno. Ci sono dei compiti diversi che ognuno ha svolto secondo la sua responsabilità. Una volta superata la tempesta questo permetterà di rivedere qualcosa che nella filiera sussidiaria non abbia funzionato a dovere e di riscoprire il principio importante della sussidiarietà per applicarlo meglio e applicarlo in ogni campo esso possa essere applicato. Una esperienza in modo particolare deve essere valorizzata: la sussidiarietà deve essere “per” e non come difesa “da”: deve essere per il bene comune e, quindi, deve avere un fondamento etico e non solo politico o funzionalistico. Un fondamento etico fondato sull’ordine naturale e finalistico della vita sociale. L’occasione è propizia per abbandonare le visioni convenzionali dei valori e dei fini sociali.
Un punto importante messo ora in evidenza dall’emergenza coronavirus è il ruolo sussidiario del credito. Il blocco di ampi settori dell’economia per garantire maggiore sicurezza sanitaria e diminuire la diffusione del virus mettono in crisi economica, soprattutto di liquidità, le imprese e le famiglie. Se la crisi dovesse durare a lungo si prospetta una crisi della circolarità di produzione e consumo, con lo spettro della disoccupazione. Davanti a questi bisogni il ruolo del credito può essere fondamentale e il sistema finanziario potrebbe riscattarsi da tante e riprovevoli dilapidazioni interessate del recente passato.
Sovranità e globalizzazione
L’esperienza in atto del coronavirus impone di riconsiderare anche i due concetti di globalizzazione e di sovranità nazionale. C’è una globalizzazione che intende l’intero pianeta come un “sistema” di rigide connessioni e incastri, una costruzione artificiale governata da addetti ai lavori, una serie di vasi comunicanti apparentemente incrollabili. Una simile concezione si è però rivelata anche debole perché basta colpire il sistema in un punto e si crea un effetto domino a valanga. L’epidemia può mettere in crisi il sistema sanitario, le quarantene mettono in crisi il sistema produttivo, questo fa crollare il sistema economico, povertà e disoccupazione non alimentano più il sistema del credito, l’indebolimento della popolazione la espone a nuove epidemie e così via in una serie di circoli viziosi ad estensione planetaria. La globalizzazione presentava fino a ieri i suoi fasti e le sue glorie di perfetto funzionamento tecnico-funzionale, di indiscutibile sicumera circa l’obsolescenza di Stati e nazioni, di assoluto valore della “società aperta”: un unico mondo, un’unica religione, un’unica morale universale, un unico popolo mondialista, un’unica autorità mondiale. Però poi può bastare un virus per far crollare il sistema, dato che i livelli non globali delle risposte sono stati disabilitati. L’esperienza che stiamo vivendo ci mette in guardia da una “società aperta” intesa in questo modo, sia perché essa si pone nelle mani del potere di pochi, sia perché altre poche mani potrebbero farla cadere in fretta come un castello di carte. Ciò non significa negare l’importanza della collaborazione internazionale che proprio le pandemie richiedono, ma una simile collaborazione non ha nulla a che fare con strutture collettive, meccaniche, automatiche e globalmente sistemiche
La morte per coronavirus dell’Unione Europea
L’esperienza di questi giorni ha mostrato un’Unione Europea ancora una volta divisa e fantomatica. Tra gli Stati membri sono emerse dispute egoistiche più che collaborazione. L’Italia è rimasta isolata e lasciata sola. La Commissione europea è intervenuta tardi e la Banca Centrale Europea è intervenuta male. Di fronte all’epidemia ogni Stato ha provveduto a chiudersi in se stesso. Le risorse necessarie all’Italia per fronteggiare la situazione emergenziale, che in altri tempi si sarebbero trovate in proprio per esempio con la svalutazione della moneta, ora dipendono dalle decisioni dell’Unione a cui ci si deve prostrare.
Il coronavirus ha definitivamente mostrato l’artificiosità dell’Unione Europea che non riesce a far collaborare tra loro gli Stati ai quali si è sovrapposta per acquisizione di sovranità. La mancanza del collante morale non è stata compensata dal collante istituzionale e politico. Bisogna prendere atto di questa ingloriosa fine per coronavirus dell’Unione Europea e pensare che una collaborazione tra gli Stati europei nella lotta per la salute è possibile anche fuori di istituzioni politiche sovranazionali.
Lo Stato e la Chiesa
La parola Salus significa, come abbiamo visto, anche salvezza e non solo salute. La salute non è la salvezza, come ci hanno insegnato i martiri, ma in un certo senso la salvezza dà anche la salute. Il buon funzionamento della vita sociale, con i suoi benefici effetti anche sulla salute, ha anche bisogno della salvezza promessa dalla religione: “l’uomo non si sviluppa con le sole sue forze” (Caritas in veritate, 11).
Il bene comune è di natura morale e, come abbiamo detto sopra, questa crisi dovrebbe indurre alla riscoperta di questa dimensione, ma la morale non vive di vita propria, dato che è incapace di fondarsi ultimamente. Qui si pone il problema della relazione essenziale che la vita politica ha con la religione, quella che meglio garantisce anche la verità della vita politica. L’autorità politica indebolisce la lotta contro il male, come accade anche con l’epidemia in corso, quando equipara le Sante Messe alle iniziative ludiche, pensando che debbano essere sospese, magari anche prima di sospendere altre forme aggregative senz’altro meno importanti. Anche la Chiesa può sbagliare quando non fa valere, per lo stesso autentico e completo bene comune, l’esigenza pubblica delle Sante Messe e dell’apertura delle chiese. La Chiesa dà il suo contributo alla lotta contro l’epidemia nelle varie forme di assistenza, aiuto e solidarietà che essa sa realizzare, come ha sempre fatto in casi simili in passato. È il caso, però, di mantenere alta l’attenzione alla dimensione religiosa del suo apporto, affinché non sia considerata una semplice espressione della società civile. Per questo assume un valore particolare quanto affermato da Papa Francesco che ha pregato lo Spirito Santo di dare “ai pastori la capacità e il discernimento pastorale affinché provvedano misure che non lascino da solo il santo popolo fedele di Dio. Che il popolo di Dio si senta accompagnato dai pastori e dal conforto della Parola di Dio, dei sacramenti e della preghiera”, naturalmente con il buon senso e la prudenza che la situazione richiede.
Questa emergenza del coronavirus può essere vissuta da tutti “come se Dio non fosse” e in questo caso anche la fase successiva, quando l’emergenza terminerà, applicherà per continuità una simile visione delle cose. In questo modo però si sarà dimenticato il nesso tra salute fisica e salute morale e religiosa che questa dolorosa emergenza ha fatto emergere. Se, al contrario, si sentirà l’esigenza di tornare a riconoscere il posto di Dio nel mondo, allora anche i rapporti tra la politica e la religione cattolica e tra Stato e Chiesa potranno prendere una strada corretta.
L’emergenza dell’epidemia in atto interpella in profondità la Dottrina sociale della Chiesa. Questa è un patrimonio di fede e di ragione che in questo momento può dare un grande aiuto nella lotta contro l’infezione, lotta che deve riguardare tutti i gradi ambiti della vita sociale e politica. Soprattutto può dare un aiuto in vista del dopo-coronavirus. Serve uno sguardo di insieme, che non lasci fuori nessuna prospettiva veramente importante. La vita sociale richiede coerenza e sintesi, soprattutto nelle difficoltà, ed è per questo che nelle difficoltà gli uomini che sanno guardare in profondità e in alto possono trovare le soluzioni e, addirittura, le occasioni per migliorare le cose rispetto al passato.
+ Giampaolo Crepaldi
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Tag: coronavirus, crepaldi
Categoria: Generale
Ottimo commento sociologico, ma Dio, Gesù e la Madonna dove sono? Dove sono le parole di vita eterna?
Dov’è la relazione col Dio vivente, che agisce nelle nostre vite con la Grazia?
Un’altra occasione mancata.
Spero che ogni tanto qualche bella parola si traduca in qualche piccolo effetto. Basta con le sterili erudite omelie. Servono testimonianze concrete di fede più che mai oggi.
La vera pestilenza è internet. La vera pestilenza è la paura della morte. La vera pestilenza è la perdita della dignità di fronte alla morte. Come si può morire dignitosamente trafitti da aghi, tubi, canne, cateteri, coperti da maschere che nascondono la nostra identità e inavvicinabili nemmeno dal prete considerato ormai alla stregua di uno iettatore? Perché non si vuole lasciare in pace chi è arrivato alla fine della sua giornata terrena? La paura dei nostri governatori è la mancanza di respiratori non per la gravità della situazione. Dove poi la pericolosità di questo virus se ad oggi a fatto solo 9000 morti nel mondo? Cosa vogliono questi cinesi che dopo averci infettato vengono a dirci quello che dobbiamo fare? Ci vengono perfino a dire che il contagio da loro si è fermato. Cosa da matti!
Sig.Amos forse non ha le idee tanto chiare, inoltre internet lo sta usando pure lei.
Cosa significa per lei che bisogna lasciare in pace chi è alla fine della vita? Non bisogna curarli, lasciarli soffocare nel proprio letto?
“Dove poi la pericolosità di questo virus se ad oggi a fatto solo 9000 morti nel mondo? ”
Mi pare di capire che lei viva lontano dai focolai del virus e non capisce la tragedia di chi sta vedendo parenti e amici scomparire a fianco a sé. Ma il suo cinismo è di una stupidità senza fine.
La morale dovrà cambiare? Non cambierà. L’importante è divertirsi, lo dicono anche i preti da decenni. Se uno è serio, è un rigido che deve andare dallo specialista e imparare a stare con gli altri. Il tempo libero serve a bere (alcolici, ovviamente), fumare (canapa, ovviamente), andare a concerti (pop e rock, ovviamente) di stampo paraliturgico (una liturgia satanica, ovviamente). Si potrà morire imprecando “vaffa virus!”. E poi, quando l’attuale rottura di scatole sarà finita, ci si getterà tutto alle spalle e si ricomincerà a divertirsi. Ecco tutto.
Mi è piaciuto molto tutto
Mi è piaciuto molto tutto tranne al riferimento del vescovo bergoglio
se uno deve scrivere solo quello che vi piace è del tutto inutile chiedere di fare commenti
Finalmente un Vescovo che annuncia la scoperta dell’acqua calda (tra le righe): ovvero che la c.d. Comunità europea é una vera e propria organizzazione criminale.
Se il coronavirus servirá a farla deflagrare vorrá dire che non Sará stato del tutto inutile e dannoso.
Nessun mea-culpa sulla neo-chiesa che non ha insegnato NULLA della SALUS (= salvezza) negli ultimi 60 anni e che ha stracciato l’ultimo libro della Rivelazione.
Chiacchiera sociologica e economica. Udibile pari-pari da TESTE LAICHE. Politichese con spunti di “religiosità”. Ne sentiremo e leggeremo ancora a uffa perchè la Chiesa odierna stravacca nel mondo e non sà e non sà dire nulla dell’ALTRO-MONDO.
Ripropongo il commento lasciato in un altro articolo di oggi.
Filastrocca di noi bambini di tanti tanti anni fa:
“Giro girotondo,
casca il mondo,
casca la terra,
tutti giù per terra!”
“In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. … “(Matteo 11, 25)
Soddisfatto solo a metà da Mons Crepaldi. Il rinnovamento da attuare, come ci ammonisce la Quaresima, non è tanto quello della società e dei suoi costumi, ma innanzitutto quello della Chiesa stessa. I Pastori (anche ai piani più alti…) i non sanno ancora vedere i “coronavirus” altrettanto mortali che si sono diffusi nella Chiesa e nella sue Membra: nella dottrina sulla fede cristiana affiancata a quella (ammesso che lo sia) di altre religioni pagane, negli abusi sacramentali e liturgici (fino al sacrilegio!) praticati dai Sacerdoti, nei “nuovi parametri interpretativi” che hanno distorto la morale prematrimoniale e famigliare, nelle alterazioni (benedette!) sulla natura e fine della sessualità, nelle condizioni necessarie per ricevere degnamente l’eucaristia, nella formazione al celibato nei Seminari e Facoltà di Teologiche, ecc… Ricordino i Pastori che, con la loro mancata vigilanza, i loro silenzi, i loro documenti “innovatori” rispetto alle immutabili verità della Tradizione Apostolica, o le loro preoccupazioni e iniziative pastorali più “umanistiche” che “evangelizzatrici”, si trasformano inevitabilmente (senza manco sospettarlo!…) in “portatori e diffusori di contagio” verso i Fedeli… Ricordino che il rinnovamento della Chiesa lo hanno sempre fatto, lo fanno e lo faranno ancora solo i Santi e i Dottori della Chiesa, non i programmi pastorali per le cosiddette “periferie”, cittadine o esistenziali che siano! Riportino piuttosto i Fedeli (ma innanzitutto se stessi) ai “valori non negoziabili” (ne è scomparsa perfino la dizione) e al Catechismo della Chiesa Cattolica!
STUPENDA lettura e analisi degli eventi con ottima previsione delle conseguenze che DEVE avere.
C’è solo da augurarsi che tale manifesto, lucido e dettagliato nell’analisi, non resti una riflessione ad uso e consumo interno della rete di aderenti al Coordinamento Nazionale Justitia et Pax per la Dottrina sociale della Chiesa, ma che si traduca in una fattiva collaborazione fra e in tutti gli ambiti della realtà ecclesiale, a partire dalla stesura di un preciso e inequivocabile tracciato di intenti e di un piano operativo, ispirati dai principi del Magistero sociale e finalizzati alla rinascita morale della società, fondamento per una integrale promozione del bene comune e globale.
Intervento completo e magistrale, sia dal punto di vista religioso, che da quello civile. L’intervento che avremmo voluto sentire dalla CEI, e invece no. Pazienza. Aspettiamo fiduciosi, pregando.
Crepaldi ha detto, fra le tante, una cosa assolutamente logica: non si può fare aborti come se niente fosse, e pretendere pure che la sanità, l’economia, la convivenza sociale e tutto il resto vadano bene. Sarebbe illogico, insensato.
Completamente in antitesi rispetto all’agenda Bergoglio:
LA FINE DEL NATURALISMO IDEOLOGICO… L’idea di una Madre Terra dotata originariamente di un suo equilibrio armonicoin contrapposizione… vedi adorazioni e prostrazioni verso la madre terra e pachamama….
I DUE SIGNIFICATI DEL TERMINE “SALUS”… Serve un profondo ripensamento delle derive immorali della nostra società, a tutti i livelli…. vedi le abiette aperture, accoglimenti, propensioni, intese, benedizioni verso le varie sodomie, lgbt, gender e quant’altro..
SOVRANITÀ E GLOBALIZZAZIONE… indiscutibile sicumera circa l’obsolescenza di Stati e nazioni, di assoluto valore della “società aperta”: un unico mondo, un’unica religione, un’unica morale universale, un unico popolo mondialista, un’unica autorità mondiale… vedi il programma bergogliano, massonico, mondialista per la fratellanza universale e l’accoglienza indiscriminata, la fine della nostra civiltà…
Ma poi, dulcis in fundo, la citazione del papa, divenuta ormai una costante tra i religiosi non completamente allineati, quasi a patrocinio fasullo ma strumentale della propria salvaguardia.
Completamente in antitesi rispetto all’agenda Bergoglio…
ma siccome bergoglio è il Vicario di Cristo infallibile significa che la strsda da seguire è la sua, Crepaldi vi sta portando nella strada sbagliata.
Mi permetto solo di aggiungere a tante parole di buon senso nell’articolo che è stata la Chiesa a cedere supinamente alle direttive del Governo che non prevedevano, visto che non era in loro potere, la sospensione delle S. Messe. Quindi anche le Diocesi dovrebbero interrogarsi sul loro organismo “sovranazionale” (la CEI) che ha invaso la loro autorità territoriale cosa non accaduta ad esempio in Spagna dove ogni Vescovo ha deciso autonomamente come organizzarsi.
Davvero qualcuno si illude che senza un atto di contrizione e di ritorno alla vera Fede da parte delle gerarchie cattoliche in primis questo castigo cesserà?
Grazie al Vescovo per l?importante contributo, anche se poco originale, sono discorsi che si fanno da almeno 10 anni, in ambito lega, con Bagnai, Borghi in ambito culturale, con Prof. Lamendola, Pecchioli, in ambito religioso, Mons: Lefevre, Nitoglia. Ricossa Minutella Socci ecc. Ci vorrebbe un Vescovo, che dicesse che Bergoglio non è il papa, e il vaticano va azzerato.
@RAFFAELLA – Cara Raffaella, nel tuo grido di aiuto, c’è quello della maggior parte dei Cattolici italiani. Chi attualmente regge la Diocesi di Milano è evidentemente di scandalo per i fedeli, ma anche se i Cardinali di altre Diocesi si espongono meno di Delpini, ti garantisco che hanno abbandonato il gregge già da parecchio tempo.
Mons. Crepaldi ci aiuti , si faccia trasferire a Milano; qui c’è il nulla strutturato.
Eh, no! Noi triestini mons. Crepaldi ce lo teniamo stretto. Abbiamo avuto 32 anni di cattocomunismo imperante, dal 1977 al 2009, e da undici anni finalmente respiriamo aria buona, cui non intendiamo affatto rinunciare!
Spiegatelo anche a quelli del “Piccolo”, che in ossequio alle direttive della casa madre (“La Repubblica”) criticano e disprezzano Crepaldi in continuazione. O spiegatelo ai nostalgici di Ravignani, per esempio.