PORFIRI: LA MUSICA SACRA ALLA LUCE DELLA SACROSANCTUM CONCILIUM

7 Novembre 2019 Pubblicato da

 

Marco Tosatti

Il Maestro Aurelio Porfiri ci ha inviato un suo saggio sulla musica liturgica in relazione alla Costituzione Conciliare Sacrosanctum Concilium. Lo ringraziamo per quest’opera che certamente interesserà non solo i cultori della musica sacra, ma anche i lettori di Stilum Curiae sensibili alla bellezza della liturgia nella messa. Buona lettura.

§§§

La musica sacra sullo sfondo della Sacrosanctum Concilium

 

“Richiama alla memoria queste cose,

scongiurandoli davanti a Dio

di evitare le vane discussioni,

che non giovano a nulla,

se non alla perdizione di chi le ascolta.”

(2 Timoteo 2, 13-15)

Periodicamente si fanno commemorazioni su commemorazioni di discorsi, documenti, eventi. La Chiesa, naturalmente, non sfugge a tutto questo. Uno dei documenti più commemorati è la Costituzione Conciliare sulla liturgia Sacrosanctum Concilium. Ma di cosa facciamo memoria? Cosa abbiamo ritenuto, per usare il linguaggio paolino nella prima lettera ai Corinzi, quando sono state richiamate alla nostra memoria le vie che la Chiesa (attraverso i padri conciliari) ci ha indicato in Cristo? Cosa abbiamo perduto?

Naturalmente, terrò in primo piano la mia personale prospettiva, che è quella del musicista di chiesa, ma anche mi sfuggiranno alcune considerazioni sul panorama liturgico generale; considerazioni modeste e fatte con spirito di modestia, senza pretendere di dire cose fondamentali, ma esposte solo con il desiderio di “solleticare” lo spirito critico dei molti amanti della liturgia che con attenzione seguono quello che scrivo. Infatti qui vorrei focalizzarmi proprio sul capitolo VI della SC, commentando i passaggi che si riferiscono alla musica sacra. Ma questi passaggi non possono comprendersi senza avere sullo sfondo l’intero documento conciliare.

Al paragrafo 10 della SC viene detto: “Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apostolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore“. Culmine e fonte e quindi indispensabile fare senso suo modo in cui il documento ci parla.

Documento spesso usato per portare avanti visioni unilaterali e personali. Mi è sembrato, per esempio, molto singolare che da parte di alcuni ci sia una difesa strenua di alcuni paragrafi della SC ma non delle istanze e dello spirito traboccanti dall’intera costituzione conciliare. L’ermeneutica portata avanti da Benedetto XVI e dagli studi di Mons. Agostino Marchetto è quella della continuità. I documenti del Vaticano II vanno letti in continuità con il magistero precedente e non come rottura con la storia e con la Tradizione della Chiesa, “Tradere” non tradire.

Alcune contrapposizioni forti, specialmente nel mondo della musica per la liturgia, si sono dimostrano ancora ben vive e tenaci. Gli schieramenti in vario modo contrapposti rivendicano con molta decisione le loro posizioni in contrasto con altri schieramenti; questo non sarebbe naturalmente un male se fatto con spirito di collaborazione e confronto; del resto il grande filosofo Schopenauer diceva che chi è amico di tutti non è amico di nessuno. Ma, spesso, l’aria sembra quella dell’aut aut, o questo o niente, o noi o nulla, la difesa a spada tratta di questo o quel repertorio o strumento musicale. Allora echeggia in me questa sentenza attribuita a Talleyrand: “Soprattutto niente zelo”. Certo, nella sacra Scrittura, nel salmo 119, leggiamo: “Mi divora lo zelo per la tua casa”; ma quanto di questo zelo che si vede in alcuni operatori musicali per la liturgia è veramente per la casa di Dio e non per le proprie passioni e inclinazioni (pur legittime se si capisce che non devono essere per forza assolute e imposte a tutti)? Non dimentichiamo che sempre nella Bibbia, nel libro dei proverbi, troviamo scritto: “Lo zelo senza riflessione non è cosa buona, e chi va a passi frettolosi inciampa”. Ora, deve essere ben chiaro che non si intende asserire che tutto è possibile nella liturgia, anzi, bisogna essere vigili che non si violi la dignità del culto divino. Quello che dico è che bisogna guardare ai problemi come opportunità di approfondimento di alcune difficoltà oggettive derivanti anche dall’incontro con la cultura che cambia.

I veri problemi della musica liturgica, almeno per quello che io ho sentito e per quello che anche io vivo nelle parrocchie, si sono affrontati molto di sfuggita. Quando ci si continua ancora a scontrare per il canto gregoriano o per le chitarre e non si capisce che i veri problemi vanno affrontati altrove (e quell’”altrove” per me è anche un luogo fisico in Roma…) ci si lascia soltanto accecare da una vana passione, senza che questo possa portare a nulla di concretamente utile. Non che il gregoriano o la chitarra (per esemplificare) non siano questioni serissime, ma sono conseguenze di ben altri problemi, non problemi in se stessi. Ecco a cosa mi riferivo quando ho parlato del pericolo di ideologizzare le questioni. Pericolo che esiste dalla parte conservatrice dei liturgisti ma non di meno da quella progressista. Anzi, ho trovato più intransigenza da quest’ultima che fra i cosiddetti “tradizionalisti”.

Varie domande vengono alla mente: si fa quanto necessario per la formazione liturgico musicale dei sacerdoti? Come si può pretendere che la musica in chiesa sia di qualità quando non si è disposti ad investire risorse economiche ed umane in questo? La dottrina sociale della chiesa vale anche per i musicisti di chiesa? E queste non sono che alcune delle domande che vorrei fare. E ancora: è ancora un mondo dominato da una mentalità clericale? I laici non si sentono stimolati o tutelati? La chiesa Italiana deve rivedere qualcosa in questo campo? Forse qualcosa di tutto questo. Laddove si investe, come per esempio nei paesi anglosassoni (guardando, oltre che al mondo cattolico, anche ad altre denominazioni come anglicani, battisti, luterani, metodisti e via dicendo) i risultati si vedono chiaramente. Io stesso ho constatato il livello delle celebrazioni in chiese in cui il musicista viene considerato un professionista, con tutti gli onori e gli oneri. Ricordo celebrazioni a cui ho partecipato a New York, a Norwich, a Hong Kong…non è che si cantassero musiche a doppio coro, ma la celebrazione era sempre curata da capo a fine con l’occhio sempre fisso sui soggetti concreti che avrebbero partecipato. L’assemblea era accolta e guidata da capo a fine, non lasciata a se stessa. Un mio amico americano, liturgista di una certa importanza nel suo paese, mi riferiva durante una sua visita recente in Italia di una celebrazione a cui aveva partecipato in una nostra città del sud. Mi raccontava scandalizzato della sciatteria con cui veniva portato avanti il rito mentre io mi sentivo imbarazzato nel pensare che, quello che a lui sorprendeva, da noi è quasi la norma. Certo non è tutto così, non voglio fare di tutta l’erba un fascio; ma la situazione generale è sotto gli occhi di tutti.

Insomma, un vero progresso dalla sciatteria musicale nelle nostre chiese non può prescindere da un “rinascimento” liturgico che sappia andare alle fonti dell’autentico spirito della riforma promossa dal Concilio senza farsi traviare da istanze personali o di parte che non tengono conto dei dati reali. Molti si chiedevano: chi salverà il canto gregoriano? Chi salverà quel compositore? Chi salverà le chitarre? Io a mia volta vorrei chiedere a tutti questi: se andiamo avanti così, chi salverà la piena, attiva e consapevole partecipazione alla vita liturgica di tutti noi?

Ecco perché mi sembra utile rileggere il sesto capitolo della SC e cercare di valutare quello che il Concilio ha veramente detto sulla musica sacra. Per molti sarà una sorpresa.

Aurelio Porfiri

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6 commenti

  • GMZ ha detto:

    Caro Porfiri,
    la ringrazio per questi spunti di discussione (purtroppo asfissiati da notizie più incalzanti).
    Lei scrive “cercare di valutare quello che il Concilio ha veramente detto”, il che mi pate un po’ naïve: sappiamo bene che laddove i concilî cosiddetti “dogmatici” cercavano di ridurre al minimo le possibilità interpretative, in ispecie con le formule degli anatemi, il Vaticano II ha manifestato la sua bonomia pastorale rifuggendo da simili schematismi e preferendo affermazioni tanto ampie quanto vaghe, o addirittura preordinate a permettere l’esatto contrario! Vedasi per esempio l’uso della lingua latina, il cui impiego dovrebbe essere conservato; peccato che questa petizione di principio possa essere ribaltata giusta il disposto del numero 40 e la connivenza di un querulo Papa qualsiasi (come puntualmente avvenuto).
    Per quanto attiene la musica sacra, prima si definisce il gregoriano come “canto proprio del rito romano”, senza però escludere altri generi musicali e addirittura promuovendo i canti religiosi popolari: in base all’ermeneutica della continuità cosa dovremmo avere, quindi? Una messa quattro stagioni farcita con gregoriano, chitarre&tamburelli e stornelli?
    E ancora il grimaldello dell’actuosa participatio, e via discorrendo…
    L’ermeneutica della continuità, mi pare, non è che un’opzione, così come lo sono tutte le altre possibili ermeneutiche: il problema che vedo, nella SC, è che in essa sono state inserite ampie praterie dove qualsiasi ermeneutica (financo quella della “rottura” di Papa Francesco) può scorazzare in lungo e in largo.
    Non è detto che in futuro non possa prevalere la continuità, ma si tratterà sempre di una opzione contingente, passibile di rovesciamento a seconda dei casi.
    La verità di un testo, di qualsiasi testo, è difficile da ricostruire, vero; ma con i testi del Vaticano II è superfluo giacché sono pacchi, doppi pacchi e contropaccotti.
    Ossequi.

  • Pier Luigi Tossani ha detto:

    Grazie caro Maestro.

    I canti in italiano del repertorio della nuova Messa mi fanno orrore. Ma chi ha avallato questo, e i suoi successori, non possono ammettere di aver fallito. Anzi, non vogliono.

    • GMZ ha detto:

      Credo che chi ha avallato tutto questo ora se ne compiaccia: missione compiuta da compiuti massoni.
      V’è da dire che alcuni canti “moderni”, intonati da cori presieduti da un maestro, non mi dispiacevano. Detto questo, credo che in una S. Messa V.O. mi cauterizzerebbero i timpani – quand’anche fossero perfettamente intonati.

  • Fabio ha detto:

    Ci hanno imposto una liturgia farlocca per cambiarci la fede. Ormai dovrebbe essere evidente anche ai più distratti

  • I love anguera ha detto:

    Per MARIO e CARLONE, ZANCHETTA e CARBALLO, accecati e accecatori.
    «Un tempio sarà eretto, ma nella Casa di Dio non c’è spazio per il nemico» (Messaggio 5 novembre 2019).
    https://www.apelosurgentes.com.br/it-it/mensagens/
    https://gloria.tv/video/s6UVTaQQhfGY3Du7ixyPKvpPc
    Dobbiamo attenderci a breve un tempio “al dio ignoto”? Oppure in onore della Pachamama, o di Lutero, o di Maometto? Oppure – più direttamente – in onore di Lucifero? Staremo a vedere…

    • I love anguera ha detto:

      CARLONE, ti è piaciuta “la glossa”? Ma forse la domanda è inutile, perché non mi sembri molto in grado di intendere e di volere…