GENOCIDIO ARMENO. RICORDARE SEMPRE – ORA – AL TEMPO DEL GENOCIDIO DEI CRISTIANI. E NEL SILENZIO DI OGGI, COME ALLORA.
24 Aprile 2019
Marco Tosatti
Centoquattro anni fa a Costantinopoli cominciava il genocidio degli Armeni. Oggi nelle chiese armene di tutto il mondo, sia della Chiesa apostolica che della chiesa Armeno-cattolica si celebrano liturgie in memoria delle vittime del genocidio armeno compiuto dal governo turco dell’epoca e la cui realtà è ancora oggi recisamente negata dal governo di Ankara.
Proprio in questi giorni, in questi mesi, si attua, in molti Paesi del mondo, il genocidio dei cristiani. In Sri Lanka, in Nigeria, in Pakistan e in molti altri luoghi ancora, anche di quella che una volta era l’Europa cristiana, e oramai è sempre più terra di conquista dell’islam, nelle sue molte facce, da quelle più suadenti a quelle violente, il cristianesimo, i suoi seguaci, i suoi luoghi sacri le sue feste sono sotto attacco.
Un genocidio si può compiere solo con la silente complicità di chi avrebbe il potere di fermarlo. Vediamo che il nome di “cristiani” si è trasformato (Hillary Clinton, Obama) in “Easter worshippers” “Veneratori della Pasqua”! Vediamo che chi dovrebbe indignarsi per lo sterminio del gregge a lui affidato riesce a esprimere generiche condanne, senza osar chiamare con il suo nome la radice funesta di queste tragedie, come ebbe il coraggio e la lucidità di fare Benedetto XVI. Assistiamo a ogni sorta di vergognoso funambolismo da parte di certa gente di chiesa per evitare di chiamare le cose con il loro nome, tante volte che dire la verità portasse più voti a Salvini e Meloni e mettesse ancora più in crisi il (una volta) florido business dell’accoglienza.
In quella che è l’attuale Turchia all’inizio del secolo scorso viveva quella che era la più ricca, numerosa e fiorente comunità cristiana. Chiedete quanti sono ora i cristiani in quelle terre, e come vivono, e per quanto ancora ne troveremo.
Voglio proporvi, questo 24 aprile, un breve saggio che avevo presentato anni fa alla Casa della Memoria di Roma, in un convegno-dibattito intitolato: Storie senza Storia: gli Armeni. Il mio contributo era una relazione fra Shoah e Genocidio Armeno. Ci sono tante forme di Shoah, e ci sono forme di nazismo non facilmente riconoscibili, e apparentemente opposte, come la cappa opprimente di una religione totalizzante e totalitaria, e il controllo del pensiero e delle espressioni esercitato dal Politically Correct del cosiddetto “progressismo”. I cristiani, e il loro attuale genocidio, si collocano in questa morsa.
Θ Θ Θ
Hitler, genocidio armeno e Shoah
“Chi parla ancora oggi dell’annientamento degli armeni?” (Wer redet noch heute von der Vernichtung der Armenier?). Non è possibile parlare di genocidio armeno e di Shoah senza citare questa famosa frase, attribuita ad Adolf Hitler, trasmessa nel 1939 da Louis Lochner, capo dell’ufficio berlinese dell’Associated Press ad alcuni diplomatici britannici in servizio a Berlino, e contenuta in un rapporto trasmesso a Londra, il 25 agosto del 1939 dall’ambasciatore britannico sir Nevil Henderson. Il documento riassumeva uno o due discorsi pronunciati da Hitler davanti ai comandanti in capo dell’esercito a Obersalzberg, il 22 agosto del 1939, in vista dell’imminente invasione della Polonia. “Siate duri, siate spietati, agite più in fretta e più brutalmente degli altri”, raccomandò Hitler.
Hitler citò Gengis Khan “che ha mandato a morte milioni di donne e bambini, pienamente consapevole e a cuor leggero”, per ridisegnare il mondo secondo la sua volontà. Hitler concludeva con un riferimento esplicito allo sterminio degli Armeni, affermando che era servito a un fine analogo, e il mondo non solo l’ha dimenticato, ma l’ha accettato “perché il mondo crede soltanto al successo”. Di questa frase esistono cinque versioni; naturalmente i negazionisti turchi cercano di scalfirne la credibilità.
Ma purtroppo per loro un articolo dello storico Winfried Baumgart rivela che otto anni prima, nel giugno del 1931, Hitler in un’intervista al Leipziger Neueste aveva detto, parlando di deportazioni di massa e della rovina delle popolazioni coinvolte: “Ovunque i popoli attendono un nuovo ordine mondiale. Noi abbiamo intenzione d’introdurre una grande politica di ripopolamento…Pensi alle deportazioni bibliche e ai massacri del Medioevo…e si ricordi dello sterminio degli Armeni (erinnern Sie sich an de Ausrottung Armeniens). All’altro capo dell’intervista c’era Richard Breiting, un redattore molto potente, a cui Hitler aveva concesso di prendere appunti scritti (un caso raro, per il dittatore tedesco), La Gestapo di Lipsia fu mobilitata per anni per recuperare quegli appunti; Breiting morì in circostanze misteriose dopo aver incontrato due agenti della Gestapo, che aveva cercato di convincere di aver distrutto gli appunti, che furono invece resi pubblici da sua sorella dopo la fine della guerra.(Ohne Maske, E.Calic, 1968)
Hitler in questo documento sosteneva che sebbene i suoi motivi per distruggere gli ebrei fossero diversi da quelli dei gerarchi turchi per compiere la stessa operazione sugli armeni, le nazioni vittime rispondevano entrambe a un presupposto centrale: quello di essere estremamente indesiderate. Tanto che mise l’accento sulla necessità di “proteggere il sangue tedesco dalla contaminazione, non soltanto del sangue ebreo ma anche di quello armeno”. (Henry Picker, Hitlers Tigespraeche in Fuehrerhauptquartier, Stoccarda 1977). Per Alfred Rosenberg, l’ideologo della razza , Armeni ed Ebrei erano simili, in quanto “popoli di bricconi” (Rosenberg, Der Mythus des zwanzigsten Jahrhuderts).
Opinione peraltro condivisa anche dal Comando Supremo tedesco, che in una sua dichiarazione affermò che “gli armeni sono anche peggiori degli ebrei” (Robert Cecil The Myth of the Master Race, Londra 1972). Secondo molti storici la relativa facilità con cui il genocidio armeno fu compiuto, e l’impunità sostanziale concessa ai suoi autori convinse Hitler e i suoi complici della possibilità di ripetere l’operazione verso la “razza inferiore” che avevano in casa, e nei territori di conquista. Sachar nel suo The emergence of the Middle East scrive: “Il Fuehrer citò il genocidio approvandolo, vent’anni dopo che era stato perpetrato; egli considerava la soluzione armena come un precedente istruttivo”.
Come aveva saputo
Daremo per scontate molte cose, in questo nostro intervento. E’ da ricordare comunque che la Turchia entrò nella Prima Guerra Mondiale al fianco della Germania del Kaiser, e che all’interno dei confini di quello che allora era l’Impero Ottomano agivano centinaia di ufficiali tedeschi, a tutti i livelli, compreso un numero rilevante inserito nei gangli più segreti e sensibili della macchina militare e politica turca, governata dal “triumvirato” dell’Ittihad, il partito dell’unità, responsabile del progetto di una Turchia per i soli turchi, e dell’eliminazione delle razze “altre” armeni, siriaci, greci. I tedeschi furono testimoni – e non solo testimoni– delle deportazioni e dei massacri; alcuni di loro – come Armin Wegner , e altri – li denunciarono, o tentarono di farlo, a dispetto della censura esercitata dal governo sull’opinione pubblica del loro paese.
Ufficiali e soldati, tornando, certamente raccontarono. Hitler e i suoi sodali certamente sentirono questi racconti. Ma una persona in particolare può aver fornito al futuro dittatore tedesco qualche cosa di più. Vogliamo parlare di Erwin von Schneuber-Richter. Questo ufficiale fu viceconsole a Erzurum – uno dei luoghi in cui si consumò il genocidio – e poi vicecomandante di un corpo di spedizione turco-tedesco. Fu personalmente testimone di massacri di armeni compiuti nella provincia di Bitlis, e li descrisse, in un rapporto inviato al cancelliere Hottwleg (Botschaft Kostantinopel K174.) Schneuber-Richter inviò ai suoi superiori, fra il 30 aprile 1915 e il 5 novembre dello stesso anno, quindici rapporti ai suoi superiori sui dettagli delle deportazioni e dei massacri compiuti. Al cancelliere scriveva: “a eccezione di alcune centinaia di migliaia di sopravvissuti a Costantinopoli e nelle grandi città, gli Armeni di Turchia sono stati, per così dire, completamente sterminati”.
Possiamo aggiungere qui che la pubblicazione recente delle memorie di Talaat Pascià, l’ingegnere del genocidio, contenenti le cifre scritte di suo pugno di cui disponeva sull’andamento del genocidio, confermano pienamente quanto scriveva Richter. Talaat calcolava che il numero degli armeni sterminati, nella prima fase dell’operazione, era di poco inferiore al milione. (Su un totale di circa un milione e trecentomila). Ma Schneuber non si limitò ai dettagli: informò il cancelliere sul progetto dell’Ittihad di rendere omogenea razzialmente la Turchia, e sui metodi per realizzare il progetto: pretesti, scuse e menzogne relative a mettere in atto le deportazioni, tecniche per rassicurare gli armeni e di conseguenza renderli inoffensivi; sull’uso di bande di criminali comuni – liberati dalle prigioni – per massacri e saccheggi, e infine sul coinvolgimento della struttura del partito dell’Ittihad. Insomma, vediamo negli scritti di Schneuber l’intero paesaggio genocidale: motivi, organizzazione, logistica e infine il compimento del genocidio, con l’ultimo fondamentale capitolo, quello della negazione. Che purtroppo vediamo ancora svolgersi sotto i nostri occhi, adesso.
“Die Zeit” (Amburgo, Dossier, 1984) sostiene che Hitler era “senza ombra di dubbio perfettamente al corrente” di tutto ciò; e questo perché “uno dei suoi più stretti collaboratori all’inizio del movimento nazionalsocialista era il dott. Max Erwin von Schneuber-Richter, l’ex console di Germania a Erzurum, di cui sono stati conservati i terribili rapporti sul massacro degli Armeni”. Fu Alfred Rosemberg a presentare Schneuber a Hitler, a Monaco nel 1920. Sappiamo bene chi era Rosemberg, l’ideologo del nazismo. Schneuber e sua moglie aderirono al partito nazista il 22 novembre del 1920. E l’ufficiale scriveva, contro “il complotto giudaico internazionale di dominio mondiale”, invitando a mettere in atto una campagna “spietata e implacabile”contro gli elementi non ariani, per compiere “l’inesorabile purificazione della Germania”.
Schneuber in uno dei suoi rapporti di guerra, aveva definito gli Armeni: “questi Ebrei dell’Oriente, questi scaltri commercianti”. (Turkei 183/39, A 28584). Un’osservazione soppressa nella versione a stampa del Ministero degli esteri tedesco, pubblicata da Lepsius. Schneuber-Richter salì nella gerarchia del partito, e l’amicizia con Hitler (a cui fra l’altro garantì grandi somme di denaro, grazie ai suoi rapporti con gli industriali tedeschi) si intensificò. Nel 1923, durante il fallito putsch di Monaco, Schneuber-Richter marciava fisicamente, non metaforicamente, a braccetto con Hitler nel tentativo di rovesciare il governo bavarese, quando un proiettile della polizia locale pose fine a una promettente carriera di gerarca. Non senza però che nel frattempo egli avesse dato un contributo impressionante alle basi ideologiche, politiche e pratiche del futuro genocidio hitleriano. Norimberga, e la “Norimberga” mancata dopo la Prima Guerra Mondiale
Se, come è stato detto anche di recente da un parlamentare israeliano, che sente molto profondamente il problema del riconoscimento internazionale del genocidio armeno, al di là della violenta opera di negazionismo messa in atto dal governo di Ankara, con la complicità e l’acquiescenza di alcuni governi suoi alleati, un genocidio non punito genera altri genocidi, è interessante chiedersi se un atteggiamento più deciso da parte dei vincitori del primo conflitto mondiale avrebbe potuto evitare, o almeno ridurre l’entità della tragedia avvenuta decenni più tardi. Vahakn Dadrian, grande specialista della materia, pone la questione in due domande distinte: 1) l’impunità concessa agli esecutori del genocidio armeno era di natura tale da influenza le tendenze e la mentalità dei nazisti, soprattutto di Adolf Hitler, e di facilitare quindi l’adozione di un piano genocidario simile a quello che era stato adottato contro gli Armeni? 2) In quale misura l’istituzione del tribunale di Norimberga da parte degli Alleati subito dopo la seconda guerra mondiale fu il risultato anche della netta percezione che forse esisteva un legame fra il genocidio armeno e l’olocausto ebraico e che, di conseguenza bisogna punire assolutamente i responsabili di un genocidio per impedire che questo crimine sia commesso nuovamente?
Io credo che gli indizi che abbiamo presentato, e che certamente non esauriscono la materia tendono a fare rispondere di sì, sia in un caso che nell’altro. E lo studio che non si più arrestato sui meccanismi genocidali, questo frutto avvelenato e tremendo della modernità (e dell’uso distorto in campo sociologico di teorie scientifiche, quali il concetto di evoluzione) contribuisce, a mio modesto parere, a confermare l’assunto secondo cui è la speranza dell’impunità uno degli elementi fondamentali dell’orrore. Un mese dopo l’inizio del genocidio, il 24 maggio del 1915 gli Alleati in una dichiarazione congiunta mettevano al corrente la Sublime Porta “che essi riterranno personalmente responsabili tutti i membri del governo turco e i funzionari che avranno partecipato a questi massacri”, e parlavano di “crimine contro l’umanità e la civiltà”.
Penso che si possa leggere in queste righe, oltre all’introduzione del concetto di crimine contro l’umanità, anche la base giuridica fondamentale di Norimberga. Purtroppo alla fine della Prima Guerra Mondiale i vincitori non ebbero la forza di essere nei fatti all’altezza delle loro dichiarazioni. Come si diventa possibili vittime Le cronache dell’orrore sono sempre diverse, e sempre eguali. Volutamente in questa esposizione ho voluto toccare il meno possibile le corde dell’emotività, anche se dalle testimonianze stesse degli ufficiali e dei soldati tedeschi (ottocento ufficiali, e dodicimila soldati) durante la prima guerra mondiale si ha un campionario di crudeltà difficile da eguagliare, dalla perversione di un ufficiale turco il “maniscalco” che faceva applicare ferri da cavallo ai piedi degli armeni, all’uccisione di bambini, a centinaia, schiacciati fra due tavole di legno e poi bruciati vivi.
Ci interessa più di questo esaminare, sia pure brevemente, le vie che conducono al genocidio. Esistono similarità impressionanti fra genocidio armeno e Shoah anche nella fase che precedette l’attuazione pratica. Uno degli elementi comuni era lo status di inferiorità a cui erano assoggettati per lungo tempo sia l’uno che l’altro popolo; che ha conseguenze pratiche – per esempio la proibizione all’accesso a certi uffici di potere, o la possibilità di armarsi – ma causa anche una forma di indebolimento della psiche collettiva della popolazione oggetto della discriminazione. Essere trattati come un diverso, e inferiore, fa sì che uno si senta diverso e inferiore. La proibizione a compiere certe carriere ha indirizzato Armeni ed Ebrei di successo verso commercio e industria; il che li rendeva ancora una volta”diversi” , invidiati e vulnerabili. Poi c’è la componente delle circostanze.
Non è un caso che sia l’uno che l’altro genocidio sia avvenuto nel corso di un conflitto di proporzioni gigantesche. E’ quella che si chiama la “struttura circostanziale” ideale per un gruppo dirigente spietato per portare a termine un’operazione criminale. L’esecutivo può disporre di poteri straordinari, e sotto l’ombrello dell’emergenza compiere atti impossibili in tempi normali. Veramente non voglio abusare della vostra pazienza, ma le coincidenze nei vari passaggi sono troppo stringenti per non colpire l’attenzione di chi osserva da vicino il modo in cui milioni di persone innocenti furono mandate a morti atroci. Il primo passo, sia in un caso che nell’altro, avviene con la sospensione o l’esautorazione del Parlamento, in modo che sia possibile promulgare leggi “ad hoc” per colpire una categoria di persone. Si apre la strada alla seconda fase (e anche questo si è verificato sia in Turchia che in Germania) e cioè alla promulgazione di leggi temporanee, che danno una parvenza di legittimità all’operazione. La terza fase consiste nell’indebolimento della possibile resistenza delle vittime. Si comincia con una serie di arresti tesi a decapitare le comunità dei loro leader, e che spesso finiscono con l’uccisione delle persone interessate. Infine, previa la separazione degli uomini dalle donne e dai bambini, per rendere più fragile la capacità di resistenza, si mette in opera il progetto finale, mascherandolo in genere con termini rassicuranti: spostamento in altre zone per ragioni di sicurezza, e deportazione verso un luogo che in realtà non esiste, o esiste solo come buco nero finale.
Una misura collaterale è l’esproprio, in qualche forma dei beni delle popolazioni colpite. Veramente un esame, anche nei dettagli, come i campi di concentramento, nel Calvario dei due popoli porterebbe via molto tempo. Esiste ormai anche nel nostro paese, per fortuna, una letteratura che si va facendo sempre più ampia, e più documentata, e che rende di giorno in giorno più debole la posizione dei negazionisti.
Non si può, non si deve tacere
E a questo punto, al termine di questo piccolo lavoro, mi sento di dover fare un modesto, sommesso appello. Credo che sia necessario davvero che da questa casa della Memoria, che è memoria soprattutto delle sofferenze di un popolo, si levi una parola ferma e chiara contro ogni negazionismo. E’ una testimonianza che dobbiamo alle vittime innocenti, di ogni genocidio. Chi tace, per qualsiasi ragione lo faccia – e si trovano sempre ottime ragioni per tacere – è complice degli assassini, di ieri e di oggi.
Oggi è il 238° giorno in cui il pontefice regnante non ha, ancora, risposto.
Quando ha saputo che McCarrick era un un uomo perverso, un predatore omosessuale seriale?
È vero o non è vero che mons. Viganò l’ha avvertita il 23 giugno 2013?
Joseph Fessio, sj: “Sia un uomo. Si alzi in piedi, e risponda”.
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Tag: 24 aprile, cristiani, genocidio armeno, hitler, shoah
Categoria: Generale
Dott. Tosatti, complimenti. È un testo bellissimo, che dovrebbe essere adottato nelle scuole perché privo di partigianeria e di sentimentalismi, ma chiaro e lucido, che colpisce come un pugno nello stomaco, ma ci mette tutti in guardia per evitare il ripetersi degli stessi fatti. Se non lo capiscono chi di dovere, almeno siamo avvisati noi sui segnali propedeutici e non è poco. Grazie.
Oggi è Santa Marco Evangelista: Buon Onomastico!
Sembrerebbe superfluo interrogarsi e stigmatizzare – perché non cambierebbe alcunché – il silenzio abituale intorno a certi temi, che stride con l’irritante logorrea intorno ad altri che costituiscono l’agenda del corrente pontificato. E quei tardivi balbettii, più per costrizione per l’incalzare degli eventi e delle reazioni incontenibili che per influenzare in misura determinante il corso della storia.
Non possiamo, non dobbiamo tacere. Grazie per l’occasione offerta dai due articoli di oggi per “commemorare”, fare memoria insieme. La nostra indignazione non smuoverà chi non si indigna – non ha mai pronunciato una netta condanna – per le stragi di cristiani, di cattolici, in vari Paesi del mondo. Eppure: ha varie volte evocato una “terza guerra mondiale che si sta combattendo a pezzi”. E come potrebbe farlo oggi, dopo aver cofirmato il Documento sulla fratellanza universale di Abu Dhabi?
«Auspico che tutti condannino questi atti terroristici, disumani, mai giustificabili». Questo il laconico riferimento alla strage del giorno di Pasqua nello Sri Lanka, durante il Regina Coeli del Lunedì dell’Angelo. Il minimo! Parole che l’uomo “qualunque” – con tutto il rispetto per i “semplici”, i non “dottori”, il “popolo” nel senso proprio del termine – avrebbe/avrà pronunciato.
Durissima, invece, e umanamente comprensibile e condivisibile la reazione del card. Malcon Ranjith, arcivescovo di Colombo, dinanzi allo scempio di vite umane. Invocando giustizia e pene esemplari per gli attentatori, ha affermato: «Vanno puniti senza pietà, perché solo degli animali possono comportarsi in quel modo».
Conosco anch’io il comandamento del perdono, riproposto durante l’udienza generale di questa mattina. Sulla giustizia che non basta, non risolve tutto… si deve andare oltre… al perdono… mi sembra pura, retorica, scontata lezioncina se svolta da chi non concede diritto di difesa a chi incappa nel suo… “discernimento”.
È già caduto nell’ oblio l’incendio della cattedrale di Notre Dame che ha segnato drammaticamente l’inizio della Settimana Santa, chiusa altrettanto drammaticamente con la strage di Pasqua, rivendicata dall’ Isis. Pur avendo dedicato minor tempo negli ultimi giorni, rispetto al solito, all’approfondimento delle notizie, non mi è parso sia stato posto l’accento dovuto sulla sacralità del luogo di culto distrutto, sulla sua titolarità di Nostra Signora, sul valore e patrimonio religioso in tutti i suoi aspetti; come anche alcuni attenti commentatori di questo blog hanno evidenziato nell’immediatezza dell’evento.
OT . Gentile Tosatti , domani è S. Marco Evangelista . Auguri .
Grazie!
“…Ci interessa più di questo esaminare, sia pure brevemente, le vie che conducono al genocidio … “Da quanto da Lei descritto di seguito soprapponendo, la EU ai nazisti ed ai turchi, sembra di vedere che la medesima strategia è in atto per ottenere silenziosamente il genocidio italiano.
E le persecuzioni di oggi ? A questo proposito c’è un interessante articolo di Bernard Henry Levy sulla Stampa di oggi, in merito alla persecuzione dei cristiani dal 2010 ad oggi.
Potete leggerlo anche su informazionecorretta.com.
Il silenzio è anche un ordine ricevuto.
Comunque chi non risponde a chi pone delle domande specifiche,
da un punto di vista spirituale E’ mancanza di CARITA’ (quindi peccato),
dal punto di vista sociale, E’ maleducazione,
dal punto di vista di governo E’ dittatura-prepotente.
Dimenticare un passato, è possibile, ma abbellire l’islam come religione di pace, è troppo!!!!!
E il presente???? – cristianofobia
Gli zittoni e i criticoni che si presentano ogni tanto in questo blog, chissà come giustificano questa Pasqua di sangue !?
La Chiesa Cattolica ha sempre insegnato che quando la verità viene messa in discussione, BISOGNA parlare.
Gesù risponde ai dottori del tempio “… se tacciono loro (testimoni) grideranno le pietre..)
Papa Francesco e C9, Bassetti e CEI dove vi siete nascosti???
Giuda, Anna, Caifa, Erode, Pilato, il ladrone non pentito siamo sicuri che siano stati perdonati? Ci sono evidenze in questo senso? Forse Francesco, Bassetti, Galantino, Enzo Bianchi, Padre Sosa le hanno ma le custodiscono ben chiuse nel cassetto.
Ma se il silenzio, a volte, è un marchio indelebile corrispondente a vigliaccheria altresì le parole, a volte, sono capaci di illuminare ! GRAZIE
–Chi tace, per qualsiasi ragione lo faccia – e si trovano sempre ottime ragioni per tacere – è complice degli assassini, di ieri e di oggi.–
E che dire di colui che oltre a tacere, condanna chi non dimentica e non perdona ?