CONTINUA IL DIALOGO DI PADRE GIOVANNI CAVALCOLI CON I LETTORI DI STILUM CURIAE.
13 Novembre 2018
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, padre Giovanni Cavalcoli ha letto i vostri commenti, in quella che è ormai diventata una conversazione a più voci, e ha mandato una serie di risposte che troverete qui sotto. Buona lettura, e buona discussione!
Interventi per Padre Cavalcoli
Caro Sherlock,
rispondo al suo intervento dividendolo in parti. Lei dice:
1.Se ho ben capito dal suo commento, per lei il problema di AL è che propone “al condizionale” la Comunione per chi vive fuori dai dettami di FC 84,
e non che il dare la Comunione a chi contraddice il Comandamento Divino e le disposizioni di FC è impossibile.
Rispondo. Nella nota 351 il Papa dice che in certi casi i divorziati risposati potrebbero fare la Comunione. FC 84 dice che non possono farla. Ho già detto nel mio precedete intervento che in fatto di stabilire chi può fare o non fare la Comunione un Papa può cambiare quello che aveva stabilito il precedente. Ora in quella nota Papa Francesco non dice: «si cambia», ma: «si potrebbe cambiare». Quindi vale ancora FC 84. Se Papa Francesco vuole effettivamente cambiare, ce lo farà capire.
Certo che è impossibile dare la Comunione a chi contraddice al Comandamento divino, cioè a chi è in stato di peccato mortale, privo della grazia. Ma il Papa dice che può capitare che i due siano in grazia per i motivi che ho detto nel mio precedente intervento.
- Francesco disse “Chi sono io per giudicare”? Quindi “il soggetto” neppure un Pontefice lo può giudicare, ma solo l’oggetto.
Come fa allora lo stesso Francesco, o chi per lui, ad affermare di sapere se una persona che vive in adulterio è in grazia di Dio? Chi è lui per giudicare? - – Quando il Papa disse quella frase si riferiva al fatto che è difficile sapere se questo o quel tale è in grazia o no. Ma un Papa ha tutta l’autorità di ricordarci che, in linea di principio, anche chi si trovi in uno stato giuridicamente irregolare può, almeno ad intervalli,essere in grazia.
- Se il prossimo Papa, per il potere delle chiavi, disciplinasse la Comunione alle coppie gay, o addirittura disponesse per loro un vero e proprio matrimonio sacramentale, potrebbe farlo? È un potere assoluto il suo o subordinato?
- – Il caso delle coppie gay rappresenta un’unìone irregolare ancor più lontana dall’unione tra uomo e donna voluta da Dio e dalla legge naturale. Se già la Comunione ai DR è per adesso una semplice ipotesi, ancor meno probabile è in futuro il permesso della Comunione ad una coppia gay, benchè saltuariamente possano essere in grazia. E se non è possibile un matrimonio sacramento fra due DR, ancor meno lo sarà per una coppia gay.
- La legge di non contraddizione richiamata dal grande e preparatissimo Cardinale Caffarra, dove va a finire? “Se FC dice A e AL dice NON A, NON A è la negazione, la contraddizione di A, non il suo sviluppo.”
- – Qui la legge di non contraddizione non c’entra, perché siamo nel campo delle decisioni pastorali (“potere delle chiavi”) e qui un Papa può cambiare quello che aveva deciso il precedente. Onde il detto popolare: “Chi bolla, sbolla”.
- Caro Padre, ora però andrei ai fatti e memore della regola d’oro lasciataci da Gesù “Dai loro frutti li riconoscerete”, mi chiedo: Come mai nella mia unità pastorale tutti i cosiddetti divorziati risposati, conviventi e chi più ne ha più ne metta, dopo AL fanno beatamente, pubblicamente e sfacciatamente la Comunione Sacramentale? (E quando dico tutti intendo tutti.)
R, – Semplicemente perchè male interpretano la nota 351 e quindi disobbediscono al Papa.
- Pier Luigi Tossani
Argomento interessantissimo, impossibile sottrarsi.
- “Nell’AL il Papa, supponendo comunque che l’adulterio volontario è peccato mortale e che per conseguenza la coppia vive in uno stato irregolare, fa tuttavia notare che non per questo essa si trova sempre in stato di peccato o colpa mortale, priva della grazia. Ma, supponendo che essa, per ragionevoli motivi, non possa interrompere il suo rapporto, se ogni volta che pecca, si pente, è perdonata da Dio anche senza il sacramento della penitenza, per cui riacquista la grazia perduta e in linea di principio potrebbe fare la Comunione”.
– Questo è implausibile, anche per il solo senso di logica, a prescindere dalle indicazioni della Legge divina. “l’adulterio volontario è peccato mortale e per conseguenza la coppia vive in uno stato irregolare” contrasta frontalmente e irrimediabilmente con ” …non per questo essa (coppia) si trova sempre in stato di peccato o colpa mortale, priva della grazia”. Ci si prende una grande responsabilità, nei confronti del Creatore, per le anime degli erranti, ad avallare questa tesi.
- – Chi vive uno stato irregolare come i DR, non si trova sempre necessariamente in uno stato di peccato mortale, perché mentre il primo è uno stato oggettivo, esterno, permanente e può essere indipendente dalla volontà, lo stato di peccato o colpa è uno stato interiore, dipendente dalla volontà,la quale, sotto l’influsso della grazia, può in qualunque momento ritornare buona. Il primo stato in certi casi non può essere interrotto, se, per esempio, la coppia ha figli, oppure per motivi economici o di salute, oppure perché il coniuge precedente ha contratto un’altra unione.
- “Ma, supponendo che essa, per ragionevoli motivi, non possa interrompere il suo rapporto, se ogni volta che pecca, si pente, è perdonata da Dio anche senza il sacramento della penitenza, per cui riacquista la grazia perduta e in linea di principio potrebbe fare la Comunione”.
– Idem come sopra. Non vi possono essere “ragionevoli motivi” per giustificare la permanenza nello stato di peccato.
- – Qui ho già ho risposto all’intervento del Lettore precedente.
“se ogni volta che pecca, si pente…”. Idem come sopra. Non è plausibile programmare anticipatamente la pianificazione di uno stato abituale di peccato, per di più mortale, per poi pentirsi. Non regge proprio, nel Giorno del Giudizio. Troppo facile, ha sapore di una furbata. Ma non regge, ancor prima, nemmeno di fronte alla logica.
- – Non si tratta di «programmare anticipatamente la pianificazione di uno stato attuale di peccato per poi pentirsi». Sarebbe, questa, un’intollerabile ipocrisia, meritevole dei fulmini dell’ira divina. In realtà le cose stanno ben diversamente. I DR si trovano di fattoin una situazione di continua quasi irresistibile tentazione al peccato, per cui c’è da supporre che vi cadano spesso.
Ciò non vuol dire, però, come lascia chiaramente intendere il Papa, che essi si trovino sempre in uno stato di peccato,ovvero che siano necessariamente ed insuperabilmente in uno stato continuo di colpa mortale, come fossero dei dannati dell’inferno. Anzi, come dice il Papa, possono avere delle attenuanti di colpa, data l’enorme difficoltà di resistere alla tentazione, causata dalla convivenza continua.
E comunque, se cadono, benchè ciò possa avvenire spesso, possono semprea loro volontà,in qualunque momento,rialzarsi con la grazia di Dio e tornare in grazia, magari peccando di nuovo di lì a poco. Ma se ogni volta si pentono e fanno penitenza, possono sempre tornare sulla buona strada. Infatti, a queste condizioni, ispirando loro il pentimento da loro attuato, Dio misericordioso li perdona «non sette, ma settanta volte sette». Il che non vuol dire che, se possono, non debbano fare ogni sforzoper cercare di interrompere questo rapporto, che li induce al peccato e mette in grave pericolo la loro anima.
“…se ogni volta che pecca, si pente, è perdonata da Dio anche senza il sacramento della penitenza, per cui riacquista la grazia perduta e in linea di principio potrebbe fare la Comunione”.
Ohibò, questa poi!… Ma non era uno stato abituale di peccato mortale?… E il Padre Cavalcoli lo vorrebbe addirittura risolvere senza la Confessione, e su questa base dare, in aggiunta, accesso alla Comunione?… Anche questa, ipotesi del tutto inaccettabile alla logica, ancor prima che alla Legge divina.
- – Ripeto ancora una volta che il Papa afferma che non è detto che i due siano sempre in stato di peccato mortale, ma possono ad intervalli essere in grazia. Per questo, occorre ricordare che Dio può rimettere i peccati e perdonare anche senza il sacramento della Confessione. Il che ovviamente non vuol dire che chi può ed ha il permesso di confessarsi non abbia l’obbligo di farlo, Ma se ai DR è negato l’accesso ai sacramenti, questo non vuol dire che siano delle anime dannate in anticipo, ma che anche per loro c’è speranza di salvezza.
- “Primo, il fatto che il testo usi il condizionale («potrebbe essere»). Ma una legge o permesso non si formula al condizionale, bensì all’indicativo o all’imperativo. Secondo, il fatto che il testo citi «alcuni casi», senza specificare quali. Ora, una legge o un permesso, per essere in vigore, deve specificare i casi nei quali appunto è in vigore. Altrimenti è inapplicabile.
Anche la Lettera che ha scritto ai Vescovi su questo punto, è un’approvazione che riguarda l’interpretazione («avete interpretato bene») di ciò che è ipotizzato dalla nota, ma l’ipotesi resta tale non si trasforma in tesi, cioè il permesso ipotetico non diventa permesso di fatto.
Stando così le cose, resta in vigore il disposto del n,84 della Familiaris consortio di S.Giovanni Paolo II, che proibisce la Comunione ai divorziati risposati, finché un nuovo Pontefice, se lo riterrà conveniente od opportuno , non cambierà la normativa vigente”.
– Rispetto a quanto sopra, mi chiedo: per quale arcano motivo Bergoglio ha messo nero su bianco le suddette affermazioni, degne del più qualificato e ambiguo azzeccagarbugli, se poi tutto doveva restare come prima?… Vien da dire, avremmo anche cose più importanti da fare, che interessarci delle suddette affermazioni di AL, ben accostabili a un reparto di psichiatria. Ma, vista la rilevanza della sede dalla quale provengono, non ci tiriamo indietro.
- – La Letteraai Vescovi Argentini ha confermato l’interpretazione della nota 351 come legge ipotetica e nel contempo ha approvato i casi proposti dai Vescovi Argentini. Tuttavia, perché la legge entri in vigore, deve passare dal condizionale all’imperativo o indicativo.
- Cito dai “Dubia”:
“Dubbio numero 1:
Si chiede se, a seguito di quanto affermato in “Amoris laetitia” nn. 300-305, sia divenuto ora possibile concedere l’assoluzione nel sacramento della Penitenza e quindi ammettere alla Santa Eucaristia una persona che, essendo legata da vincolo matrimoniale valido, convive “more uxorio” con un’altra, senza che siano adempiute le condizioni previste da “Familiaris consortio” n. 84 e poi ribadite da “Reconciliatio et paenitentia” n. 34 e da “Sacramentum caritatis” n. 29. L’espressione “in certi casi” della nota 351 (n. 305) dell’esortazione “Amoris laetitia” può essere applicata a divorziati in nuova unione, che continuano a vivere “more uxorio”?
- – Possibile risposta del Papa: La nota 351 non concede attualmente,ma avanza l’ipotesi(«potrebbe essere») di concedere in futuro, a discrezione del Santo Padre, l’assoluzione nel sacramento della Penitenza e quindi ammettere alla Santa Eucaristia una persona che, essendo legata da vincolo matrimoniale valido, convive “more uxorio” con un’altra, nei casi proposti dai Vescovi Argentini e da lui approvati nell’apposita Letteraa loro da lui inviata. Nel caso che il Santo Padre concedesse il detto permesso, sarebbero superate le disposizioni pontificie precedenti.
– Circa l’argomento del quale stiamo ragionando noi, questa è una richiesta di spiegazioni chiarissima, rivolta a Bergoglio, con deferente rispetto, da Quattro Cardinali. Vale a dire, è Bergoglio in persona, e non certo noi, compreso il Padre Cavalcoli, che doveva dare spiegazioni. Non avendolo fatto Bergoglio, da due anni e passa dalla richiesta, ciascuno può trarre le proprie conclusioni.
- – Probabilmente il Papa non ha risposto perché ha ritenuto la nota 351 sufficientemente chiara, con l’aggiunta t della Letteraai Vescovi Argentini nell’interpretazione ch io ho proposto.
- Vincenzo Calabrese
Le risposte di Padre Cavalcoli mi sembrano molto ‘intellettuali’ e davvero sottili, degne di chi ha studiato a fondo teologia, ma che dimostrano come, pur essendo molto netti nelle espressioni si possa finire per mascherare delle chiare ombre, evidenti in certi temi… Esempio evidente è l’intervento su AL in merito alla Comunione ai separati… Il papa POTREBBE fare delle modifiche alla disciplina sull’Eucarestia, ecc. ecc. POTREBBE, POTREBBE, POTREBBE… Tanti discorsi al condizionale, noterelle a fondo pagina su certi argomemti, ma poi di fatto la conclusione è che secondo padre Cavalcoli nulla cambia rispetto alle indicazioni di GPII. Ma se nulla cambia allora perché il vescovo di Roma si dilunga su tali argomenti? Finendo poi per risultare realmente AMBIGUO, visto che secondo certi presbiteri TUTTO è cambiato, mentre secondo altri NULLA è cambiato? E vista la confusione che viene creata, perché da Santa Marta non arriva un documento o almeno un comunicato che possa chiarire in modo definitivo come ci si debba comportare? Secondo me, semplicemente perché la CONFUSIONE l’AMBIGUITÀ’ sono volute all’ORIGINE dal signor Bergoglio…
Io, come del resto molti consacrati, non ho sfortunatamente un cervello molto brillante, che riesca a cogliere certe POSSIBILITA’ e certe SFUMATURE, ma se tratto un argomento è perché voglio essere esplicito su quello… E se chi legge le mie parole semplici può trovarsi confuso e possa apertamente interpretarle in modo errato, allora vuol dire che ho svolto male il mio lavoro… Se poi non cerco neanche di ritornare sull’argomento per renderlo chiaro, allora il mio lavoro diventa pessimo e controproducente… Quindi dovrei seriamente pensare di CAMBIARE incarico e magari anche mestiere… Capito, caro Bergoglio?
- – Se il Papa ha voluto usare il condizionale, il motivo probabilmente è dato dal fatto che non ha voluto dare un taglio netto con la posizione di S.Giovanni Paolo II (FC 84), anche se di per sé avrebbe potuto farlo, ma ha preferito un passaggio più morbido, usando il condizionale, proprio di una legge ipotetica, probabilmente in vista di usare in futuro l’indicativo o l’imperativo della vera e propria legge.
- Ira Divina
Quella di AL, mi sembra la teologia del baco da seta! Una legge che nega la comunione ai divorziati risposati, FC, che non è cambiata, ma…..! Quel “ma” della teologia della casistica o della situazione, o del discernimento che apre a una pastorale della confusione, cioè del avviluppamento, appunto della teologia del baco da seta. Poi il potere delle chiavi non concede a Pietro di fare quello che vuole, ma restando nel solco del precedente Magistero, e intendo per Magistero tutto ciò che i pontefici precedenti hanno stabilito in una materia, quello di confermare nella fedeltà a Cristo i fratelli! Vero padre Cavalcoli? Ora se le intenzioni di Francesco non sono quelle di negare il precedente Magistero, la noticina e il placet alle svariate interpretazioni sono un pessimo servizio che Francesco da al ministero Petrino. E i risultati si vedono nella pratica della pastorale padre Cavalcoliiii!
- – Il potere delle chiavi o pastorale non concede affatto al Papa di fare «quello che vuole», perché esso non riguarda l’essenza dei sacramenti, che neppure il Papa può mutare, ma la loro giusta e conveniente amministrazione, a seconda delle necessità o delle opportunità delle persone, dei tempi e dei luoghi. L’essenza del sacramento dell’Eucaristia è salvata e rispettata sia con un Papa che decide di dare la Comunione ai DR, sia con un’altra che decida di non darla.
- Giuseppe Marson
Quello che viene detto dallo spettro di don Ezio per uno incompetente come me è un approfondimento della fede, novità dello Spirito Santo che guida alla Verità tutta intera. E’ la risposta che lo Spirito Santo opera. Lo stesso può dirsi della prima risposta data da Padre Cavalcoli? Il potere delle Chiavi dato a Pietro, può snaturare un Sacramento? Il potere dato a Pietro da quel poco che ne capisco, non è quello di allargare la porta che Gesù stesso ha detto che è stretta. Deve solo aprirla e chiuderla, secondo la Parola di Cristo, e non interpretarla. Ovvero che la S.Chiesa, e non il singolo sacerdote, conceda la S. Comunione ai divorziati risposati è un bene in ordine alla loro salvezza? Sicuramente molti e non per modo di dire hanno più fede in Cristo di me, e andranno in Paradiso ma lasciamo a Dio il giudizio. In questo caso i sacerdoti per primi dovrebbero dire, chi sono io per giudicare, per cui io che non sono Dio non ti posso assolvere, perchè il Sacramento-Matrimonio, come ogni Sacramento è un segno efficace di Grazia.
- – Come ho detto in precedenza, il potere delle Chiavi («pasce oves meas») suppone il sacramento già costituito da Cristo e non interferisce affatto nella sua essenza immutabile ed inviolabile, ma soltanto valorizza il sacramento amministrandolo con saggezza e giustizia per il bene delle anime.
Non sono un teologo e la domanda che faccio è la seguente: Per il potere delle chiavi un Papa potrebbe decidere che il Sacramento del S. Battesimo si può impartire solo agli adulti che lo vorranno? Se la risposta fosse si, viene prima una domanda che un Papa si deve fare: è un bene in ordine alla salvezza delle anime ? Oppure sono volutamente provocatorio, per aumentare la presenza di fedeli durante la S. Messa, sempre seguendo la prima risposta di Padre Cavalcoli, un Papa, potrebbe stabilire che invece dell’Ostia Divina, i fedeli riceveranno. spritz e patatine? Probabilmente ci sarebbero le chiese piene, ma sarebbe un bene per la salvezza delle anime? Grazie.
- – Il potere delle Chiavi dà al Papa la facoltà, se egli crede, di far impartire il Battesimo agli adulti. Invece, per quanto riguarda la materia dell’Eucaristia, siccome essa riguarda la sostanza immutabile ed intangibile del Sacramento, il Papa non può assolutamente cambiare la materia, che è, come è noto, il pane e il vino.
- Patrizia
A proposito di chiavi per cui il papa puo’ cambiare certi regolamenti, puo’ anche decidere che due conviventi possono ricevere l’Eucaristia? Che due conviventi dello stesso sesso possono fare ugualmente? In fondo se ha le chiavi ……… puo’ aprire a tutto!!!!
- – Il Papa può aprire come farebbe un portinaio, il quale fa entrare qualcuno; ma non può apre a cose illecite. Può, se vorrà, aprire alla Comunione ai DR, perché qui si tratta, come ho già detto, di una materia circa la quale egli può aprire, nel senso di permettere. Per quanto riguarda i gay, ne ho accennato sopra.
- yehohanan
…quindi almeno uno, padre Cavalcoli, ha risposto chiaramente al primo dei dubia dei cardinali…notevole! Chiederei però al padre: se allora è in vigore FC 84, non si dovrebbe correggere AL? È lecito il silenzio da parte del pontefice?
Avrà un bel da fare il prossimo papa, vai!, per rimettere a posto i pastrocchi di questo! Perché questo spiegato dal padre è tale: si ipotizza un qualcosa che non può essere messo in atto, perché è in essere qualcosa che ne nega la possibilità…proprio un magistero chiaro quello di AL! “Si, si…no, no”…uguale!
- – Ho già detto che su questa materia della regolamentazione dell’amministrazione dell’Eucaristia un Papa successivo,i n forza del potere delle Chiavi, può cambiare quello che aveva deciso il Papa precedente.
P.Giovanni Cavalcoli,OP
Varazze, 13 novembre 2018
Oggi è l’80° giorno in cui il Pontefice regnante non ha, ancora, risposto.
“Quando ha saputo che McCarrick era un uomo perverso, un predatore omosessuale seriale?”
“È vero, o non è vero, che mons. Viganò lo ha avvertito il 23 giugno 2013?”
Joseph Fessio, sj: “Sia un uomo. Si alzi in piedi e risponda”.
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Tag: cavalcoli
Categoria: Generale
« Se non le basta manco questo Amen ».
E dico anch’io “Amen” se vogliamo fare gli Azzeccagarbugli (non si offenda, involontariamente, ne sono certo), senza peraltro tener presente quello che scrive l’altro.
Lei fa dei riferimenti ai Dubia: va benissimo, però non c’è peggior servizio per la comprensione di un testo citato, che quello di estrapolarne un passo dal suo contesto senza accompagnarlo da altri che lo chiariscono del tutto. Allora dovrò purtroppo essere un po’ lungo in questo intervento perché occorre leggere bene ciò che dice quella citazione (le citazioni esterne io le chiudo tra virgolette basse, o “caporali”).
Lei dunque riporta dai Dubia:
« Nella Dichiarazione del 24 giugno del 2000 il Pontificio consiglio per i testi legislativi mirava a chiarire il canone 915 del Codice di Diritto Canonico, che afferma che quanti “ostinatamente persistono in peccato grave manifesto, non devono essere ammessi alla Santa Comunione”. La Dichiarazione del Pontificio consiglio afferma che questo canone è applicabile anche ai fedeli che sono divorziati e risposati civilmente. Essa chiarisce che il “peccato grave” dev’essere compreso oggettivamente, dato che il ministro dell’Eucarestia non ha mezzi per giudicare l’imputabilità soggettiva della persona.
« Così, per la Dichiarazione, la questione dell’ammissione ai sacramenti riguarda il giudizio della situazione di vita oggettiva della persona e NON IL GIUDIZIO CHE QUESTA PERSONA SI TROVA IN STATO DI PECCATO MORTALEInfatti soggettivamente potrebbe non essere pienamente imputabile, o non esserlo per nulla »
Intanto qui faccio un’osservazione dal momento che Lei ha messo quella frase in “tutte maiuscole” (non presenti nel testo originale), frase che si riferisce alla precedente (nei Dubia):
« il “peccato grave” dev’essere compreso oggettivamente, dato che il ministro dell’Eucarestia non ha mezzi per giudicare l’imputabilità soggettiva della persona ».
Qui sono chiare due cose. 1) che il Ministro dell’Eucarestia – e tanto più chiunque altro – « non ha mezzi per giudicare l’imputabilità soggettiva della persona », e questo mi pare l’abbiamo affermato sia Lei che io più volte quando abbiamo parlato di non poter entrare nelle coscienze altrui. 2) che pertanto « il “peccato grave” dev’essere compreso oggettivamente». ed è quello che mi sono sforzato più volte di dire, quando ho affermato di non mischiare il problema del peccato con quello del peccatore. In ogni caso, è su questo che all’inizio ho messo in guardia dal procedere su particolari che sviano la sostanza della questione: la persona « soggettivamente potrebbe non essere pienamente imputabile, o non esserlo per nulla ». Certamente, anche questo è stato da me accennato pur non soffermandomi proprio per andare al cuore della questione: quali possono essere questi casi (che francamente mi sembra inutile indagare): quello di essere incapace d’intendere e volere? Quello di essere affetta, la persona, da un’ignoranza invincibile? Quello di essere soggetta a plagio da parte del proprio partner (più o meno il primo caso)? Altri? E va bene, ma tutto questo non inficia affatto ciò che intendono i Dubia (che – attenzione – vengono espressi sotto forma di dubbi per sollecitare il chiarimento ufficiale del Pontefice, ma da parte dei richiedenti non sono affatto dubbi, ma affermazioni indirette!).
Lei prosegue nella citazione dei Dubia:
« Lungo la stessa linea, nella sua enciclica “Ecclesia de Eucharistia”, n. 37, San Giovanni Paolo II ricorda che “il giudizio sullo stato di grazia di una persona riguarda ovviamente solo la persona coinvolta, dal momento che è questione di esaminare la coscienza”. Quindi, la distinzione riferita da “Amoris laetitia” tra la situazione soggettiva di peccato mortale e la situazione oggettiva di peccato grave è ben stabilita nell’insegnamento della Chiesa ».
Qui vien detto semplicemente che “Amoris laetitia” non ha inventato nulla (forse una volta tanto…), infatti « San Giovanni Paolo II ricorda che “il giudizio sullo stato di grazia di una persona riguarda ovviamente solo la persona coinvolta, dal momento che è questione di esaminare la coscienza” ». Lo dice lo stesso San Giovanni Paolo II sotto il cui pontificato la Dichiarazione del 24 giugno del 2000 del Pontificio consiglio per i testi legislativi ha stabilito che « quanti “ostinatamente persistono in peccato grave manifesto, non devono essere ammessi alla Santa Comunione” » e che «il “peccato grave” dev’essere compreso oggettivamente» e non secondo la coscienza del soggetto.
A questo punto però Lei salta un passo, probabilmente nella fretta, che viene prima di quello successivo che Lei cita, ed è essenziale per comprendere bene le obiezioni dei Dubia, e senza del quale si potrebbe capire tutto al contrario:
« Giovanni Paolo II, tuttavia, continua a insistere che “in caso di condotta pubblica che è seriamente, chiaramente e stabilmente contraria alla norma morale, la Chiesa, nella sua preoccupazione pastorale per il buon ordine della comunità e per il rispetto dei sacramenti, non può fallire nel sentirsi direttamente implicata”. Egli così riafferma l’insegnamento del canone 915 sopra menzionato ».
E il canone 915, lo riporto di nuovo,
« afferma che quanti “ostinatamente persistono in peccato grave manifesto, non devono essere ammessi alla Santa Comunione” »; e per precisare, i Dubia proseguono dicendo che la « Dichiarazione del Pontificio consiglio afferma che questo canone è applicabile anche ai fedeli che sono divorziati e risposati civilmente. Essa chiarisce che il “peccato grave” dev’essere compreso oggettivamente ». E questo – può far dispiacere – anche per quei casi eccezionali riferiti sopra, pur se non è possibile dire se le persone siano o meno in stato di Grazia. Perché «il “peccato grave” dev’essere compreso oggettivamente».
Ora è perfettamente comprensibile capire l’ultimo passo da Lei citato, che segue quello che abbiamo appena letto:
« La questione 3 dei “dubia” vorrebbe così chiarire se, anche dopo “Amoris laetitia”, è ancora possibile dire che le persone che abitualmente vivono in contraddizione al comandamento della legge di Dio vivono in oggettiva situazione di grave peccato abituale, anche se, per qualche ragione, NON È CERTO CHE ESSI SIANO SOGGETTIVAMENTE IMPUTABILI PER LA LORO ABITUALE TRASGRESSIONE ».
Anche qui il “tutto maiuscolo” è suo, forse per far capire che dopo “Amoris Letitia” « non è certo che essi siano soggettivamente imputabili per la loro abituale trasgressione ».
In realtà anche se la stesura letterale della frase è questa, dopo aver esposto ciò che precede, i Dubia vogliono significare ben altro:
Avendo il Magistero precedente, come mostrato nei passi che precedono, sempre affermato « che le persone che abitualmente vivono in contraddizione al comandamento della legge di Dio vivono in oggettiva situazione di grave peccato abituale, anche se, per qualche ragione, non è certo che essi siano soggettivamente imputabili per la loro abituale trasgressione » (e non c’è bisogno – dico – di sottolineare quest’ultima parte in quanto è chiara a tutti), dopo “Amoris laetitia” questo non è più possibile dirlo.
Certo questo viene messo sotto forma di domanda (“è ancora possibile dirlo?”). Ma si tratta, con buona evidenza, di una domanda retorica, a meno che il Pontefice regnante non dia ai Dubia una risposta contraria a quello che dalla “Amoris laetitia” si deduce. Ciò che finora non ha fatto.
Per finire, ed anche questo lo affermai, la non accessibilità alla Comunione non è esclusa per quelle persone che, come si legge nei Dubia con riferimento all’Esortazione Apostolica “Familiaris consortio”, n. 84 di Papa Giovanni Paolo II, si trovano nelle seguenti condizioni:
« – Le persone interessate non possono separarsi senza commettere una nuova ingiustizia (per esempio, essi potrebbero essere responsabili per l’educazione dei loro figli);
« – Essi prendono l’impegno di vivere secondo la verità della loro situazione, cessando di vivere insieme come se fossero marito e moglie (“more uxorio”), astenendosi dagli atti che sono propri degli sposi;
« – Essi evitano di dare scandalo (cioè, essi evitano l’apparenza del peccato per evitare il rischio di guidare altri a peccare) ».
Buona giornata.
Voglio precisare che questo mio intervento è una risposta a quello del Sig. RE VERMIGLIO, (15 novembre 2018 alle 8:33 pm). Evidentemente per un mio errore è capitato qui.
Chiedo scusa per quest’altra correzione (che potrebbe essere unita a quella precedente).
In uno degli ultimi capoversi del mio intervento, là dove è scritto:
« la non accessibilità alla Comunione non è esclusa per quelle persone » ecc.
va invece letto:
« l’accessibilità alla Comunione non è esclusa per quelle persone » ecc.
Grazie.
A questo punto però Lei salta un passo, probabilmente nella fretta, che viene prima di quello successivo che Lei cita, ed è essenziale per comprendere bene le obiezioni dei Dubia, e senza del quale si potrebbe capire tutto al contrario:
« Giovanni Paolo II, tuttavia, continua a insistere che “in caso di condotta pubblica che è seriamente, chiaramente e stabilmente contraria alla norma morale, la Chiesa, nella sua preoccupazione pastorale per il buon ordine della comunità e per il rispetto dei sacramenti, non può fallire nel sentirsi direttamente implicata”. Egli così riafferma l’insegnamento del canone 915 sopra menzionato ».
E il canone 915, lo riporto di nuovo,
« afferma che quanti “ostinatamente persistono in peccato grave manifesto, non devono essere ammessi alla Santa Comunione” »; e per precisare, i Dubia proseguono dicendo che la « Dichiarazione del Pontificio consiglio afferma che questo canone è applicabile anche ai fedeli che sono divorziati e risposati civilmente. Essa chiarisce che il “peccato grave” dev’essere compreso oggettivamente ». E questo – può far dispiacere – anche per quei casi eccezionali riferiti sopra, pur se non è possibile dire se le persone siano o meno in stato di Grazia. Perché «il “peccato grave” dev’essere compreso oggettivamente».“
E queso infatti è esattamente il punto. È per questa ragione che è bene non accedano alla Comunione, e non altro. Felice che anche Lei lo abbia capito.
Nella Sacra Scrittura si legge: ” chi si accosta indegnamente al corpo e sangue di Cristo mangia e beve la sua condanna” per cui non si capisce il Padre Cavalcoli come faccia a dire che la sostanza del Sacramento Eucaristico non cambia se si concedesse o meno la Comunione ai DR. Ma stiamo scherzando, Padre Cavalcoli, lei si rende conto del pericolo in cui mette le anime disquisendo in questo modo oserei dire “ereticale”?
Dio solo conosce il dispiacere provato in quel novembre di due anni fa per il trattamento riservato al Domenicano.
Ma il tempo è passato.
E la vicenda si è potuta comprendere meglio.
Fermo restando tutto quanto detto e scritto
(personalmente, ad esempio, confermo la estrema durezza e prepotenza del potente focolarino Becciu) occorre pure che Cavalcoli affronti -se vuole- le MOTIVAZIONI COMPLETE che portarono al suo allontanamento da Radio Maria: lui sta rispondendo con esemplare pazienza (anche se, mi si perdoni, NON CREDO CHE UN RELIGIOSO DEBBA PERDER TANTO TEMPO AL COMPUTER) a tutti o quasi.
Ebbene, Reverendo padre Cavalcoli, cosa ci dice riguardo suoi presunti svarioni teologici – DETTI IN UNA RADIO MARIANA!!!!!- a proposito della Assunzione in Cielo della Vergine Santa in anima e corpo?
Grazie fin da ora se vorrà rispondere pure a me.
PS: un blogghetto sgangherato si era speso tanto per esprimere la solidarietà a Cavalcoli (Cfr : https://ilbenevincera.wordpress.com/tag/padre-giovanni-cavalcoli/ ) ma ora non scrive più una parola. Forse che il Cavalcoli non è proprio il “martire” che credevamo di avere di fronte?
Vorrei solamente sottolineare una cosa che mi ha dato da pensare: nei due interessanti commenti di Tossani ed Emanue le I (che colgo l’occasione per ringraziare per la loro lodevole fatica e impegno volto a confutare -da semplici fedeli laici – le tesi noto e stimato teologo tomista) viene posto in rilievo una forte contraddizione tra il “principio” richiamato da P. Cavalcoli e la normativa ecclesiastica riguardo il caso in cui “se un DR ricade nel peccato e si pente può accedere alla Comunione sacramentale senza ottemperare l’obbligo della Confessione”. Incollo di seguito le parti in oggetto dei rispettivi interventi:
Afferma il Catechismo della Chiesa cattolica:
« Colui che è consapevole di aver commesso un peccato mortale non deve ricevere la santa Comunione, anche se prova una grande contrizione, senza aver prima ricevuto l’assoluzione sacramentale. »
(nn. 1456-1458).
“Per i fedeli che permangono in tale situazione matrimoniale, l’accesso alla Comunione eucaristica è aperto unicamente dall’ASSOLUZIONE SACRAMENTALE (MAIUSCOLO MIO), che può essere data «solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò importa, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, “assumano l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”»(8). In tal caso essi possono accedere alla comunione eucaristica, fermo restando tuttavia l’obbligo di evitare lo scandalo”. (“Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della Comunione Eucaristica da parte dei fedeli divorziati risposati” del 1994 della CDF.)
L’affermazione del P. Cavalcoli invece è la seguente: “..ma, supponendo che essa, per ragionevoli motivi, non possa interrompere il suo rapporto, se ogni volta che pecca, si pente, è perdonata da Dio anche senza il sacramento della penitenza, per cui riacquista la grazia perduta e IN LINEA DI PRINCIPIO POTREBBE FARE LA COMUNIONE”.
E’ palese che “la linea di principio” invocata qui da Cavalcoli non può essere attinente nel caso specifico poichè confligge con la specifica norma relativa.
Dico io: ma veramente ora ci dobbiamo pure difendere dai paralogismi di chi, pur sembrando essere una buona persona che ha a cuore come pastore il bene delle pecore, intende difendere l’indifendibile, creando danno e confusione in quei fedeli che – come me – non sono del tutto in grado di accedere e orientarsi nei meandri teologici e giuridici della Chiesa? A chi giova tutto questo? al Papa? al papato? Certamente non alla Verità, di cui, in questi sciagurati tempi, noi tutti abbiamo bisogno più che del pane quotidiano.
Sono basito. E dispiaciuto.
Apprezzo e rispetto tutti gli interventi che mi precedono, anche quelli chilometrici, come pure le risposte di Padre Cavalcoli. Non mi addentro nella discussione perchè dovrei ripetere concetti già espressi da altri; mi limito a considerazioni generali condite da qualche esempio.
La mia impressione è che Padre Cavalcoli, portatore di una solida preparazione teologica, cerchi di tenere insieme i cocci di un vaso che è irrimediabilmente rotto. Ed è rotto a causa della disperata volontà del papa di perseguire il fine di un mondo (tutto il mondo) dove tutti si vogliono bene sulla base di vaghissimi principi di filantropia. Questo vano tentativo costringe il papa a fare i salti mortali ogni giorno per tenere insieme il tutto.
Quando afferma “chi sono io per giudicare” afferma qualcosa di sacrosanto, ma purtroppo manca la premessa che è la seguente: ” la Chiesa conferma il principio che l’omosessualità è disordine (peccato), ma nel caso specifico (si trattava di mons. Battista Ricca) lascio il giudizio alla sua coscienza di fronte a Dio e al suo confessore”. Quella frase invece, nuda e cruda, ha provocato il liberi tutti in materia di omosessualità e la conseguenza è che oggi stuoli di preti e di vescovi sparano, sulla materia, stupidaggini a raffica. Lo stesso si dica, pari pari, per AL.
Quando il vescovo di Pinerolo, di fronte al chiarissimo dettato evangelico, afferma: “il matrimonio è sì indissolubile, ma non è infrangibile” supera in audacia i trapezisti del circo Togni.
Potrei continuare negli esempi fino a provocare la nausea ai lettori.
Dunque se questo è il livello teologico/culturale di una bella fetta di Santa Madre Chiesa (vertici compresi), si può ancora dire che il vaso/Chiesa è ancora integro? No, non si può dire e allora ciao chiesa e ciascuno per la sua strada.
Altre notizie incombono per cui praticamente alla fine di questa seconda tornata Cavalcoli /lettori Stilum ribadisco quanto scritto alla fine della prima e cioè esprimo tutta la mia ammirazione al fatto che oscuri, semplici, normali cattolici anche questa volta abbiano replicato alla grande a padre Cavalcoli nel dialogo di confutazione ( il vero dialogo), ribattendo punto su punto alle contradditorie e fumose difese che il padre fa di A.L.
Riporto il commento di G che sintetizza il dibattito così :” le sue repliche ( di Cavalcoli) sono più tortuose delle affermazioni iniziali “.
Della serie ” avrebbe fatto meglio a non replicare”.
Caro Padre Cavalcoli,
da quando l’obbedienza ha preso sopravvento su tutto il resto?
“Il caso delle coppie gay rappresenta un’unione irregolare ancor più lontana dall’unione tra uomo e donna voluta da Dio e dalla legge naturale. Se già la Comunione ai DR è per adesso una semplice ipotesi, ancor meno probabile è in futuro il permesso della Comunione ad una coppia gay, benchè saltuariamente possano essere in grazia. E se non è possibile un matrimonio sacramento fra due DR, ancor meno lo sarà per una coppia gay.”
Un tempo si sarebbe detto che il permesso della comunione ad una coppia di sodomiti è impossibile, mentre per Lei è “ancor meno probabile”. È proprio qui, tra l’impossibile e l’improbabile, che il diavolo si insinua: da lì si fa beffe di noi e trionfa sul nostro sgomento.
Che Dio La benedica.
Perdonatemi se questo articolo è già stato segnalato, ma dopo aver seguito Padre Cavalcoli nelle sue peregrinazioni argomentative ho trovato ristoro in queste parole di Padre Bellon:
https://www.amicidomenicani.it/sulla-necessita-parlare-chiaro-senza-girarci-intorno-rispondere-in-maniera-documentata-e-con-sensibilita-cattolica-senza-stramberie/
Al netto del fatto che anche Padre Bellon ha cercato di erigere un cordone sanitario attorno all’Amoris Schifitia.
Poveri teologi, che per amore della Chiesa si barcamenano (con esiti equivoci o peggio) sull’orlo del precipizio.
Ossequi.
Padre Cavalcoli, con tutto il rispetto, ma perché non vi prendete un anno sabbatico, voi teologi, così vediamo, noi Cattolici Romani, se possiamo farne a meno di questa teologia…
Chiedo scusa, non vorrei sembrare irriguardoso, ma il fatto che i concubini (la Chiesa – cioè i preti – così
dovrebbe chiamarli, non «divorziati risposati»: la Chiesa non riconosce un secondo matrimonio); i l fatto, dicevo, che i concubini si trovino ad intermittenza in stato di grazia sì in stato di grazia no mi sembra una barzelletta. Qua non si tratta d’indagare la coscienza di qualcuno (è chiaro che solo Dio può farlo), ma di una condizione oggettiva, di una situazione permanente di peccato; a meno che i concubini siano incapaci d’intendere o di volere, oppure afflitti da una tale ignoranza da ritenere che non costituisca peccato la loro condizione di concubinato (mi pare pressoché impossibile, se si definiscono Cattolici).
Un’altra cosa che mi lascia più che perplesso è che quando i concubini sono in “stato di grazia” ( !! – vedi sopra), questo loro stato è talmente potente da poter prendere l’Eucarestia senza neanche confessarsi. Ora, sono al corrente che effettivamente un profondo e sincero pentimento lava le colpe, e il penitente è giustificato anche se non riesce a confessarsi. Ma io ritengo che queste siano condizioni che si possano presentare in momenti particolari, quando, per esempio, uno si trova in punto di morte o in un grave pericolo e in quel momento prende coscienza delle sue colpe passate giungendo a quella condizione di pentimento profondo e sincero che lo giustifica anche se non può accedere alla confessione.
Ma questo è il punto: “se non può accedere alla confessione!” Ma chi non si trova in una di queste rarissime situazioni, se dovesse sentirsi in “stato di grazia” (beato lui!), proprio per questo dovrebbe avere un grande desiderio di confessare le sue colpe passate; anche ammesso che sappia che per lo stato di grazia in cui si trova già è giustificato, ancor più dovrebbe sentire il dovere di ricevere l’assoluzione sacramentaria prima di accostarsi al Corpo di Cristo! Non c’è mica urgenza, può anche comunicarsi il giorno dopo. O no?
Penso che divulgare con leggerezza queste possibilità, ad una società (cattolica, o pseudo tale?) che già si fa beffe della Confessione mentre va in massa a ricevere con mani sporche il Corpo di Cristo, non sia cosa molto prudente.
Per chi desidera parole chiare con applicazioni PRATICHE:
https://youtu.be/bkGYnuDN758?t=602
Per me,In tema di comunione a divorziati risposati, il Vero magistero è è resta la Familiaris Consortio del grande san Giovanni Paolo II
Una esortazione dal linguaggio chiaro, inequivocabile, non confuso o ambiguo, ossigeno per chi ama la Verità , cosi al n.84
“La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia.
C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.
La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082).
Similmente il rispetto dovuto sia al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l’impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l’indissolubilità del matrimonio validamente contratto.
Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo.
Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.”
Atento te. Esaù ha mica perso la primogenitura per un piatto di lintichie ? Eco : per una nota à la Amoris Letizia il Bergoglio ha perso la faccia. Fa cusè el mond l’è fat en chesta maniera. La storia l’è semper quela. Gh’è nagota de fa.
Riconosco che molti fra religiosi e preti (ai vari livelli) si sforzano di salvare il salvabile. Così anche mons. Schneider che ha giustificato il “memento” canonico ricevuto. Speriamo che il loro impegno sia “gradito” al Signore, come le preghiere (cui umilmente unisco le mie), il digiuno, ma soprattutto il coraggio di mons. Viganò, che – pur rischiando di attirare su di sé altri strali per il momento in cui ha deciso di rivolgere l’ accorato appello ai vescovi americani, come leggo nell’altro post – non si è sottratto al dovere di ricordare loro le priorità della missione dei consacrati.
Ma… se io do le chiavi da casa mia ad una persona di fiducia perché la tenga sotto controllo in mia assenza, non è che con questo lo autorizzo ad entrare per fare uno scempio di tutto e depredarmi di cose preziose. Invece a me pare che non solo con la noticina di AL ma con tante altre cose l’attuale Papa stia proprio facendo questo e non a casa mia ma nel Regno di Dio. Dico questo semplicemente a buon senso.
Ho l’impressione (è una mia opinione e come tale può essere errata) che il Cavalcoli cada inconsapevolmente in una forma di semi-palagianesimo. Mi spiego: il giustificare l’operato umano per la sua “debolezza” e suoi “condizionamenti”, fino al punto da supporre la scomparsa della colpa, o quasi, sembra implicare una eccessiva importanza nell’azione umana rispetto alla Grazia. “La mia volontà è così debole che la Grazia mi risulta inefficace e cado nel peccato.”
Se ci si riflette, si tratta dell’altra faccia di una stessa medaglia: Pelagio attribuiva eccessiva importanza all’azione dell’uomo rispetto alla Grazia, ma in entrambi i casi si evince un ridimensionamento (direi una vera e propria sfiducia), nell’opera della Grazia.
Eppure Gesù rispose ai discepoli: “Ciò che è impossibile all’uomo e possibile a Dio”. Non c’è situazione umana in cui la Grazia non possa assistere sino alla vittoria se solo lo si permette con il contributo (più o meno faticoso e impegnativo) della propria volontà. Ne consegue che quando si pecca non viene mai meno la responsabilità (la colpa), per quanti condizionamenti possano esserci in una determinata situazione.
@Giuseppe
Che i fattori attenuanti possano ridurre la colpa per un peccato grave da mortale a veniale è dottrina della Chiesa.
Questo non significa che sia cosa buona ammettete quelle persone alla Comunione, perché se alcune saranno in Grazia e non commetterebbero sacrilegio, altre sono in colpa mortale.
Specie in casi dove la persona si trova in una situazione dove non può (a meno di non sfasciare la famiglia) fare il proponimento di non peccare più, è bene che ci si attenga al dato oggettivo. Poi se la persona, per i motivi descritti da Padre Cavalcoli, è in Grazia perché non ha colpa piena, tanto meglio.
Però apprezzo questi interventi di Padre Cavalcoli perché, pur essendo io contrario alla Comunione Sacramentale (cosa diversa per quella spirituale) per quelle persone, molti sono contrari per i motivi sbagliati, cioè perché presuppongono che quelle persone siano necessariamente in colpa mortale.
@ Re Vermiglio,
La ringrazio perché mi da’ la possibilità di precisare concetti che per eccesso di sintesi possono risultare equivoci. Sono d’accordo che la dottrina contempla la riduzione della colpa in presenza di condixionamenti ma ne parla in termini di mera possibilità per cui non si può trarne un principio di causa effetto e normare i casi al fine di determinare quando concedere l’Eucaristia, a maggior ragione se si ipotizza che la riduzione della colpa debba arrivare sino alla venialità, Facevo dunque l’ipotesi che chi invece vuole dare per scontato questo principio di causa-effetto possa incorrere in qualche modo (e per via opposta) allo stesso errore di Pelagio cioè sottovalutare l’azione delka grazia divina. Nel senso cioe di ammettere in qualche modo la possibilità che esistano tentazioni invincibili e quindi non imputabil i E’ solo una opinione e se lei non la condivide rispetto il suo pensiero.
@Giuseppe
In alcuni casi la riduzione della colpa può certamente arrivare fino alla venialità (a me pare che sia proprio questo il punto che molti non vogliono accettare qui) ma in ogni caso non essendo in grado di determinarlo con certezza è bene evitare il rischio di sacrilegio.
Questo non significa dire che esistano tentazioni invincibili, una tentazione invincibile è una cosa completamente diversa dalle attenuanti. Dio da sempre la Grazia per resistere al peccato mortale, non così per il peccato veniale (il Concilio di Trento lo dice chiaramente, che a meno che ad uno non venga fatto un privilegio speciale come quello concesso alla Vergine Maria i peccati veniali spesso possono essere inevitabili) e vi sono situazioni dove per una determinata persona un peccato in materia grave può non essere pienamente imputabile. Guardi ad esempio cosa dice il CCC sulla masturbazione, che è materia grave.
“Al fine di formulare un equo giudizio sulla responsabilità morale dei soggetti e per orientare l’azione pastorale, si terrà conto dell’immaturità affettiva, della forza delle abitudini contratte, dello stato d’angoscia o degli altri fattori psichici o sociali che possono attenuare, se non addirittura ridurre al minimo, la colpevolezza morale.”
Lo stesso può valere per altri peccati in materia grave.
La cosa che non mi piace è che a leggere certi commenti sembra quasi che ci sia una sorta di compiacimento nel pensare che quella gente sia per definizione esclusa dalla Grazia divina.
Non si tratta di accettare o di non accettare se la riduzione possa arrivare sino alla venialità, ma che nessuno può stabilire se ciò è avvenuto: primo perché (ripeto) in dottrina si parla di possibilità e non di causa effetto, e, secondo, perché nessuno (se non in possesso di uno speciale dono soprannaturale come Padre Pio) è in grado di conoscere lo stato di una coscienza per stabilire se il peccatore sia in grazia o meno. Mi pare lo abbia scritto lei stesso. Anche il punto del CCC da lei citato circa la masturbazione parla di possibilità e non di automatismi certi e identificabili (possono attenuare, se non addirittura ridurre al minimo…). Se ci fosse un automatismo certo e identificabile il CCC userebbe l’indicativo (attenua se non addirittura riduce al minimo….) L’ultima sua riflessione non le fa onore, non solo perché è falsa ma soprattutto perché fa un processo alle intenzioni denotando un pregiudizio di natura ideologica. Le riflessioni e le opinioni su questi temi sono rivolte unicamente alla salus animarum. Un medico che ritiene come probabile la malignità di un tumore vuole solo individuare la terapia migliore per il paziente e non può essere accusato di “compiacersi” della gravita di quest’ultimo, rispetto ad un altro medico che invece propende per la benignità del tumore.
“Non si tratta di accettare o di non accettare se la riduzione possa arrivare sino alla venialità, ma che nessuno può stabilire se ciò è avvenuto: primo perché (ripeto) in dottrina si parla di possibilità e non di causa effetto, e, secondo, perché nessuno (se non in possesso di uno speciale dono soprannaturale come Padre Pio) è in grado di conoscere lo stato di una coscienza per stabilire se il peccatore sia in grazia o meno. Mi pare lo abbia scritto lei stesso. ”
Esatto, ed è il motivo per cui io stesso sono contrario alla Comunione Sacramentale in questi casi.
Riguardo alla mia riflessione finale, non volevo essere offensivo, se mi sono sbagliato chiedo scusa. La mia, come ho detto, era una impressione dovuta al fatto che molti sostengono una causa giusta (il negare la Comunione Sacramentale a chi è in situazione di peccato oggettivo) per motivi sbagliati invece che focalizzarsi su ciò che importa ed è già più che sufficiente, cioè l’oggettiva condizione di peccato e il non creare scandalo sull’indissolubilitá matrimoniale.
Caro Padre,
sarò breve nella mia richiesta. Potrebbe spiegarmi per favore in cosa davvero consista il potere delle chiavi? Cosa può e non può fare un Papa? Sto cercando di leggere molto nel merito ma mi trovo ancora in alto mare.
Grazie
@Tiziana
Per avere una risposta convincente alla tua domanda leggi il commento esaustivo e chiarissimo di Pier Luigi Tossani.
Se tralasciamo un momento i punti specifici delle questioni e dei dubbi e delle risposte di Padre Cavalcoli e noi fossimo degli agnostici che si affacciano per la prima volta con occhio curioso al Cattolicesimo dovremmo dedurne che ci troviamo di fronte ad una Religione ed una Fede che ha bisogno NON di Buoni Pastori e Guide Spirituali ma di AVVOCATI ben preparati perchè non solo la materia è di difficile comprensione ma diventa pure MUTEVOLE (come le leggi di uno stato) ieri era illegale oggi non lo è più. Invece dell’amore di DIO attraverso la VERITA’ ed il suo INSEGNAMENTO Eterno ed Immutabile oggi comprendiamo che con le NUOVE ELEZIONI il potere delle chiavi cambia le carte in tavola. Questo non è quello che abbiamo imparato al Catechismo quando eravamo bambini e che ci è stato confermato (Nella FEDE) sino al Pontificato di Benedetto XVI. Che significato e valore ha una Pastorale che NON poggia sulla Dottrina ? Concludo dicendo che PURTROPPO queste spiegazioni di Padre Cavalcoli invece di chiarire le cose le rendono ancora più complesse. Credevo che il linguaggio di Cristo rivolto alla Salvezza dei Piccoli dovesse essere nella sua essenza di facilissima comprensione proprio per i più Piccoli. Ma qui ci vuole una Laurea con Specializzazione per mettere in fila due concetti che non dovrebbero contraddire con la bimillenaria Tradizione e Sana Dottrina della Chiesa Cattolica.
Bergoglio non può essere Pontefice per due evidenti motivi: E’ un gesuita e quindi come tale non può accedere al Pontificato ma sopratutto ciò che insegna contraddice il bimillenario Deposito della Fede. Poi ci sarebbe anche la questione delle “irregolarità” commesse al conclave.
Gli “chupamedias” diranno che il messaggio l’ha scritto Marco Tosatti e non Viganò:
https://www.lifesitenews.com/news/breaking-abp-vigano-urges-u.s.-bishops-to-confront-sex-abuse-as-courageous
Caro Padre Giovanni,
grazie per la Sua larga disponibilità con noi lettori di Stilum Curiae – e aggiungerò che personalmente sono anche un fedele lettore de “L’Isola di Patmos” – sul tema di Amoris laetitia. Non è certamente comune, per un semplice fedele cattolico, interpellato dalle problematiche nate da AL, avere il pubblico onore e onere di una controreplica. A questa però volentieri mi accingo, data l’importanza del tema. Anch’io, per una migliore leggibilità, e scusandomi per la lunghezza, data la complessità del tema, procedo per punti.
1 – non avevo toccato, nel mio precedente intervento, la questione del “potere delle chiavi”, che è assolutamente centrale, in relazione ad AL, ed è stata già sollevata da molti lettori, ragionevolmente perplessi sul punto che il Papa, in forza di tale potere, potesse avere l’autorità di concedere l’amministrazione della Comunione ai divorziati risposati che vivono more uxorio. In relazione a ciò, Lei sostiene che
“…Ho già detto nel mio precedente intervento che in fatto di stabilire chi può fare o non fare la Comunione un Papa può cambiare quello che aveva stabilito il precedente”.
In realtà, non credo che la cosa stia in questi termini. Nel senso che, evidentemente, e direi anche a semplice buon senso, il “potere delle chiavi” non può essere illimitato. Non sono certo io uno specialista o un teologo, ma, venendo semplicemente interrogato dalla ragione, faccio una ricerca in rete e vado ad approfondire il tema, avvalendomi di un approfondito articolo su “Cooperatores Veritatis”, a questo link:
https://cooperatores-veritatis.org/2016/04/29/il-potere-delle-chiavi-verita-e-mistificazioni/
del quale consiglio la lettura integrale, e dal quale cito, qui, solo alcuni frammenti, sia pur tagliati un po’ brutalmente:
“Il potere delle chiavi non è una specie di assegno in bianco: Cristo non può e non vuole svendere la sua Sposa
(…)Tutta questa premessa – neppure esaustiva – è necessaria per comprendere davvero il famoso “potere delle chiavi” che Gesù ha consegnato a Pietro e ai suoi legittimi successori, insieme a quel “legare e sciogliere” che non è, come qualcuno ha detto forse come battuta: una sorta di assegno in bianco, non è un legare e sciogliere decidendo con libero arbitrio cosa è il peccato o, se ciò che era peccato ieri, oggi non lo sarebbe più, non è fare la chiesa che voglio, non è un potere che il Papa di turno può usare a suo personale consumo. (…) Ma nella Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI si afferma che il non dare la Comunione ai divorziati-risposati non è una prassi “inventata” dalla Chiesa, ma viene dalla Scrittura: «… la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr Mc 10, 2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia».
Chi non fosse d’accordo con questa nuova forma di “protesta” è sovente accusato, proprio dalla gerarchia (e da certo clero che la sostiene), di essere come la Chiesa del passato: misogina, matrigna, crudele, farisaica, pelagiana e chi più ne ha, più ne metta. Ma questa, invece, è proprio davvero la nuova forma di protesta e “protestantizzazione” verso la quale certa “nuova pastorale” odierna sta buttando la Chiesa intera, così come lo stesso Ratzinger ci ammoniva in alcuni suoi famosi interventi. (…) Ora, quale è davvero questo “potere” delle chiavi, questo potere del Papa? Senza alcun dubbio, il Vicario di Cristo in terra, ha un potere illimitato e totale ma, attenzione, non è un potere lasciato al libero arbitrio, ossia, alla realizzazione di una Chiesa soggettiva basata su: “… io penso che; io dico che; io credo che…”, è un potere totale quanto all’esecutivo, e cosa contiene questo “esecutivo”? Contiene tutto quel materiale oggettivo (ed oltre, sopra lo abbiamo solo sintetizzato) che è soggetto alla trasmissione di dati ricevuti di cui il Papa è il custode e l’esecutore. Riguardo, ad esempio ai Sacramenti, il Papa non ha affatto alcun potere di modificarne il contenuto o sull’azione stessa sacramentale, in questa azione egli è come tutti gli altri preti o vescovi e come tutti loro anche il Papa deve attenersi a quel “mandato” di trasmettere quanto ricevuto.
Le parole di san Paolo: «O Timòteo, custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza…» (1Tim 6-20) non sono un optional, ma costituiscono l’autentica e vera pastorale, intramontabile ed indiscutibile. In tal senso Paolo può fare quelle affermazioni perché, il garante di ciò che ha appreso, è Cristo stesso attraverso la sua Parola e gli stessi insegnamenti. Il potere del Papa consiste, perciò, che mentre custodisce l’integrità del Sacramento e la trasmissione fedele del contenuto dottrinale che implica anche chi può ricevere un sacramento e chi non può riceverlo, egli può modificare la forma attraverso la quale il sacramento viene dato perché, in quanto Vicario di Cristo e in qualità di Servus Servorum Dei (Servo dei Servi di Dio), egli è primario di ogni liturgia e dispone sia l’insieme, sia il dettaglio del Culto divino, non certo per modificarne i contenuti dottrinali, ma per dare alla Chiesa stessa quei mezzi necessari a farsi comprendere meglio nel tempo presente che vive. (…) Il Vicario di Cristo è, nella sostanza, un “capo ripetitore” del Vangelo, un ripetitore garante non di ciò che dice da se stesso, ma garante delle parole e dell’insegnamento di Cristo. Egli conferma così i suoi fratelli non nelle loro opinioni sulla Chiesa o sulle dottrine create dalle mode, o nel loro soggettivismo, relativismo, ma in quella fede espressa dal Vangelo, come nel Vangelo stesso troviamo espresse le dottrine che disciplinano i Sacramenti.
Un esempio è il famoso brano sull’indissolubilità del matrimonio (Mt 19) che in san Marco è altrettanto esplicito: Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio» (Mc 10,10-12). Gesù aveva appena finito di spiegare come andava interpretata la legge di Dio sul matrimonio, che la prima spiegazione non basta, leggiamo infatti che “rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo”, ma la risposta di Gesù non cambia, non si adatta all’incomprensione di quanti non avevano capito o fingevano di non capire. E questo deve fare il suo Vicario, il Papa. Il Papa non deve confermare se stesso o i confratelli alle opinioni di ognuno o di chissà quale maggioranza, ma in base alle parole del Cristo egli deve dare testimonianza fino al sacrificio della propria vita. Il potere che gli è stato dato serve proprio a questo: difendere il Vangelo di Cristo fino alla morte. Ciò che era peccato ieri, o è peccato nei Dieci Comandamenti, lo è anche oggi. E non è che, per non modificare il sesto comandamento del “non commettere adulterio”, il Papa può arrivare a dire che chi ripudia il proprio coniuge e si risposa, non commette più adulterio! È piuttosto un potere che serve a dirimere al grado supremo anche quelle questioni che si sollevano nel corso del tempo, legifera quale “ultima parola” al ricorso delle dispute che, umanamente, si sollevano fra le membra in ogni tempo. Un esempio per capire sono i dogmi mariani, quello sull’Immacolata deciso dal beato Pio IX e quello dell’Assunta al Cielo da parte del venerabile Pio XII. È qui la vera infallibilità di Pietro: quando, pronunciandosi con somma autorità, non fa altro che esprimere il contenuto delle Scritture e della Tradizione vera. La stessa infallibilità non è “automatica”, sono necessarie delle condizioni, e il fatto che vi siano delle condizioni sottolinea, piuttosto, che il Papa per legiferare deve avere certe condizioni. Per questo possiamo parlare di dogmi e dottrine infallibili perché, nelle loro affermazioni, i papi non se le sono inventate, non hanno fatto per alzata di mano, non hanno atteso cosa ne pensassero i mass-media, hanno agito in base alla dottrina ed alla Scrittura, hanno agito in base alla patristica, in base al Deposito della fede, alla Tradizione viva della Chiesa.
Alcuni legittimi “cambiamenti” non sono adattamenti alle mode dei tempi! Si rimprovera alla Chiesa di tutto, tanto i suoi cambiamenti legittimi, quanto la sua immutabilità dottrinale, ma come ci rammenta Gesù siamo chiamati a fare una scelta e non a discutere o a comprendere, dice infatti a riguardo dell’Eucaristia stessa a coloro che non comprendevano: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». (Gv 6, 68-69), forse pensiamo davvero che Pietro avesse capito di cosa stesse parlando Gesù? Ma il messaggio è chiaro e forte: o restiamo, o ce ne andiamo, chi rimane sa che solo Cristo ha parole di vita eterna e che, tutto il resto, verrà giù come un castello di sabbia.
Dato ciò che è la Chiesa, istituzione divina del sovrannaturale, è ovvio che porta in sé l’immutabilità dottrinale a cominciare dall’Incarnazione del Verbo che è la fissità dell’istante in cui l’Eterno è «entrato nel tempo» (Gal 4,4) o, se preferite dirla con altre espressioni di San Paolo: «… per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose» (Ef 1,10-22-23).
L’infallibilità del Papa, il potere di legare e sciogliere è legato inesorabilmente al progetto di Dio per gli uomini e che è già espresso nei Vangeli, e reso pastoralmente efficace nella pastorale paolina: c’è già un progetto, il Papa non deve inventare nulla, nulla aggiungervi e nulla togliervi. L’immutabilità dottrinale non significa staticità o immobilismo, sia ben chiaro. L’immutabilità dottrinale è infatti “mobilitarsi per agire” secondo la Parola, affinché questa dottrina progetto di Dio, e non altro, raggiunga tutti gli uomini in tutti i tempi: “Andate…”, fate, agite, operate (Mc 15,15-18), non ciò che “volete voi”, ma ciò che vuole il Padre mio (non la mia, ma la Tua volontà…). Mentre è proprio la “fissità” della Dottrina a dare valore e luogo all’infallibilità petrina. (…)”
Ecco quindi, caro Padre Giovanni, la sostanza della questione, detta molto meglio di quanto avrei saputo dire io, ma che da me medesimo, con i miei modesti mezzi di ragione, avevo già compreso, tanto era evidente: nessun papa può, evidentemente, sulla base del “potere delle chiavi”, andare contro il comandamento evangelico, disponendo l’accesso all’Eucaristia per i divorziati risposati.
Chiudo il punto con questa nota all’articolo:
[16] «Se vogliamo essere più precisi la dottrina di prima (Familiaris Consortio, ndr) non è stata ribadita (in Amoris Laetitia, ndr) così com’era stata insegnata. Non essendo ribadita in un documento che sta insegnando una materia già trattata da un pontefice precedente, questa rappresenta un vulnus a livello magisteriale, perché il magistero opera nel senso che si tratta di trasmettere quello che abbiamo ricevuto. Un papa non fa altro che conservare il sacro deposito e trasmetterlo alla Chiesa, quindi ai suoi successori, in modo integerrimo. Un successore riceve quello che è stato già insegnato e ciò che può fare non è insegnare “meno”; un successore non può fare altro che insegnare o sul pari livello del suo predecessore, oppure in modo più preciso, in modo più definitivo. Questa definitività della dottrina può portare addirittura ad un dichiarazione solenne ex cathedra, il dogma. Non è mai successo, nella Chiesa, che il successore di un pontefice insegnasse a ribasso, per così dire; insegnasse una dottrina, o approcciasse un problema con un insegnamento non determinato come quello precedente. Questo è un vulnus magisteriale di cui bisogna tenere conto» (Padre Serafino Maria Lanzetta, FI, Radio Buon Consiglio, Catechesi del 18 aprile 2016; minuti 55:22-57:00)
Passiamo ora al punto successivo, la spinosa questione degli “intervalli”.
2. Lei dice:
“Ripeto ancora una volta che il Papa afferma che non è detto che i due siano sempre in stato di peccato mortale, ma possono ad intervalli essere in grazia. Per questo, occorre ricordare che Dio può rimettere i peccati e perdonare anche senza il sacramento della Confessione. Il che ovviamente non vuol dire che chi può ed ha il permesso di confessarsi non abbia l’obbligo di farlo, Ma se ai DR è negato l’accesso ai sacramenti, questo non vuol dire che siano delle anime dannate in anticipo, ma che anche per loro c’è speranza di salvezza”.
Da parte mia, avevo già risposto così, nel medesimo articolo su SC, a un altro lettore:
“PIER LUIGI TOSSANI
12 novembre 2018 alle 4:46 pm
@Re Vermiglio
Caro Re,
fai osservazioni interessanti, che mi hanno indotto ad approfondire il tema.
Leggo su Cathopedia, alla voce “peccato mortale”: https://it.cathopedia.org/wiki/Peccato_mortale
“…Il peccato mortale è un peccato con il quale l’uomo rompe la comunione con Dio. È detto “mortale” perché porta l’anima del peccatore in uno stato di “morte spirituale”. In ciò si differenza dal peccato veniale, che non rompe, ma indebolisce soltanto la comunione con Dio.
In forza del carattere “mortale” di questi peccati il Catechismo della Chiesa cattolica può affermare:
« Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi. »
(Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1035)
La stessa dottrina è ribadita più avanti:
« Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia. Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l’esclusione dal regno di Cristo e la morte eterna dell’inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili.»
Quindi, il peccato mortale ci priva dello “stato di grazia”. Poi, dice
“Tuttavia la continuazione dello stesso paragrafo mette in evidenza la distinzione fondamentale tra peccato e peccatore: anche se è lecito giudicare un atto come grave in sé, il giudizio sull’eventuale colpevolezza grave di chi lo commette va lasciato alla giustizia e alla misericordia di Dio”.
E infatti su questo siamo perfettamente d’accordo: non intendevo certo, nel mio precedente intervento, giudicare le persone, ma le situazioni oggettive. Il testo seguita:
“… Le condizioni perché ci sia un peccato mortale
Perché il peccato che si commette possa essere considerato mortale devono essere soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
deve avere per oggetto una materia grave;
deve essere compiuto con piena consapevolezza;
deve essere compiuto con deliberato consenso[2].
La materia grave si ha quando sono in gioco valori gravi, importanti. È precisata, tra l’altro, dai dieci comandamenti, secondo la risposta di Gesù al giovane ricco: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre” (Mc 10,19)[3].
All’interno dei peccati gravi la gravità non è la stessa per tutti: un omicidio è più grave di un furto. Si deve poi tenere conto anche della qualità delle persone lese: ad esempio la violenza esercitata contro i genitori è di per sé più grave di quella fatta ad un estraneo.
La piena consapevolezza si riferisce alla conoscenza del carattere peccaminoso dell’atto, cioè della sua opposizione alla Legge di Dio.
Il pieno consenso significa un consenso sufficientemente libero perché sia una scelta personale.
L’ignoranza simulata e la durezza del cuore non diminuiscono il carattere volontario del peccato ma, anzi, lo accrescono. Invece l’ignoranza involontaria può attenuare se non annullare l’imputabilità di una colpa grave”.
Importante questo:
“Si presume però che nessuno ignori i principi della legge morale che sono iscritti nella coscienza di ogni uomo”.
Della serie, “non fate i furbi”. E, se è vero che
“La consapevolezza e il libero consenso possono essere poi attenuati dagli impulsi della sensibilità e dalle passioni, così come dalle pressioni esterne o dalle turbe patologiche”…
E’ anche vero che
“Il peccato commesso con malizia, per una scelta deliberata del male, è il più grave”.
Poi, ancora, dice
“…Peccati mortali e comunione eucaristica
Afferma il Catechismo della Chiesa cattolica:
« Colui che è consapevole di aver commesso un peccato mortale non deve ricevere la santa Comunione, anche se prova una grande contrizione, senza aver prima ricevuto l’assoluzione sacramentale. »
(nn. 1456-1458).
Quindi, premesso il fatto che il peccato mortale ci priva dello “stato di grazia”, io non vado però a sindacare l’interiorità della persona. Me ne guardo bene. Ma, quando io vado a confessarmi, concludo dicendo
«Prometto col Tuo Santo aiuto di fuggire le occasioni prossime di peccato» .
E’ però chiaro che, se io programmo, come dice il Padre Giovanni Cavalcoli, che
“…supponendo che essa (coppia adulterina che vive more uxorio, non in castità), per ragionevoli motivi, non possa interrompere il suo rapporto, se ogni volta che pecca, si pente, è perdonata da Dio anche senza il sacramento della penitenza, per cui riacquista la grazia perduta e in linea di principio potrebbe fare la Comunione”
vengo meno a
«Prometto col Tuo Santo aiuto di fuggire le occasioni prossime di peccato»
Cioè, penserei di fare il furbo, ma rischierei di andare all’inferno… specie se, consentimi una battuta, il Destino mi facesse tirare le cuoia prima di potermi “confessare” (d’obbligo in questo caso le virgolette!), dopo che sono ricaduto, per l’ennesima volta e in modo programmato, nel peccato di adulterio… Quindi, continuo a ritenere che quello sostenuto dal Padre Cavalcoli sia un doppio, clamoroso errore: in primis perché il Cavalcoli sembra negare, in accordo con AL, che ci si possa trarre fuori dallo stato di peccato, che a questo punto diventa ineluttabile. E’ però vero che, a questo punto, si tratta di una scelta deliberata dell’uomo, nella sua piena libertà: infatti, col peccato mortale, egli aveva voluto lasciare, di sua sponte, lo stato di Grazia. Sono scelte… che si pagano, anche. In secundis, perché il Cavalcoli afferma che “se ogni volta che pecca, (la persona adultera) si pente, è perdonata da Dio anche senza il sacramento della penitenza, per cui riacquista la grazia perduta e in linea di principio potrebbe fare la Comunione”.
“…è perdonata da Dio anche senza il sacramento della penitenza”.
Suvvia, siamo seri… non facciamoci alibi implausibili.
In conclusione, dove tu chiudevi con
“…Il motivo per cui Al non va bene non è per quello che molti credono (cioè che darebbe la Comunione a dei reprobi che sono sempre e comunque privi della Grazia) ma perché il sacerdote deve dare la precedenza alla situazione oggettiva di adulterio, e inoltre per il fatto che un sacerdote non può, a meno che non sia in grado di leggere i cuori, capire con certezza dove ci sia mancanza di imputabilità personale”…
credo di poter affermare che anche la prima ragione, “cioè che darebbe la Comunione a dei reprobi che sono sempre e comunque privi della Grazia” sia valida, ben s’intende nei termini in cui ci guardiamo bene dall’esprimere giudizi personali, ma restiamo al dato di fatto che, se siamo adulteri abituali e impenitenti, siamo noi stessi ad averci voluto privare dello stato di Grazia – almeno fino al momento in cui decidiamo di recedere definitivamente, almeno nell’intenzione, dallo stato di peccato.
Ti saluto cordialmente”.
3. La questione dei “Dubia”. Lei, Padre Giovanni, dice
“Probabilmente il Papa non ha risposto perché ha ritenuto la nota 351 sufficientemente chiara, con l’aggiunta della Lettera ai Vescovi Argentini nell’interpretazione che io ho proposto”.
Ebbene, Caro Padre Giovanni, in diversi hanno osservato che AL impatta frontalmente su tre Sacramenti: Matrimonio, Comunione e Confessione, vedi qui
https://www.marcotosatti.com/2018/01/02/amoris-laetitia-tre-vescovi-coraggiosi-fanno-professione-pubblica-di-fedelta-alla-disciplina-di-sempre-della-chiesa-su-matrimonio-e-eucarestia/comment-page-1/
un’iniziativa dei vescovi Tomasz Peta, Arcivescovo Metropolita dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana, Jan Pawel Lenga, Arcivescovo-Vescovo emerito di Karaganda e Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana.
Era stato lo stesso compianto Card. Caffarra, uno dei firmatari dei “Dubia”, a scrivere, qui
http://www.caffarra.it/conferenza200516.php
“…la domanda è: AL insegna che i divorziati risposati possono accedere all’Eucaristia pur continuando a vivere come marito e moglie? La mia risposta è negativa. Per le seguenti ragioni.
È fuori discussione che fino alla pubblicazione di AL questa era la risposta data dal Magistero della Chiesa. Si veda l’Esortazione Apostolica Familiaris consortio 84; l’Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis 29. Tutti i Teologi, senza eccezione, così hanno insegnato. Sia il Codice di Diritto Canonico (15) sia il Catechismo della Chiesa Cattolica (16) hanno la stessa posizione.
Se il Santo Padre Francesco avesse voluto introdurre un cambiamento al riguardo, avrebbe dovuto dirlo espressamente e chiaramente. Ma in nessun passaggio di AL si dice questo. C’è chi si richiama ad una nota al testo dell’Esortazione, la nota 351, dove, secondo alcuni interpreti, si ammetterebbe il divorziato risposato alla Comunione senza il proposito di vivere in continenza, come insegnano le due Esortazioni richiamate. Sarebbe stato assai strano che il Papa avesse introdotto un cambiamento di una disciplina secolare, ritenuta fondata sulla Dottrina, in una nota che, a domanda di un giornalista sull’aereo in ritorno da Lesbo, ha detto di non ricordare neppure (17).
Tutti i pastori della Chiesa sanno che l’ambiguità nella guida dei fedeli è molto dannosa. Per cambiare una prassi su una questione che attiene alla dottrina su tre Sacramenti – Matrimonio, Confessione, Eucarestia – è necessario dirlo senza ambiguità. Ed il Santo Padre Francesco non è certo persona che tema di dire ciò che pensa.
Tuttavia è un fatto che molti – non parlo dei giornali – anche Vescovi hanno affermato esservi in AL un vero cambiamento nel punto che stiamo discutendo, cosa che altri vescovi negano. Esiste dunque nella Chiesa oggi un vero conflitto di interpretazioni, dal quale si deduce quanto meno che il testo non è chiaro. Pertanto fino a quando la competente autorità non interpreta autenticamente, si deve ricorrere alle regole generali dell’interpretazione dei documenti magisteriali”.
Quindi, Papa Francesco, se davvero voleva fare quella chiarezza che ancora oggi manca, non poteva risolvere la questione con un successivo documento che commenta un documento precedente, prassi a dir poco estenuante, oltre che ambigua, non doveva “ritenere” che la Lettera ai Vescovi Argentini fosse sufficiente a dirimere la questione, ma doveva semplicemente rispondere “Sì” o “No” ai “Dubia” canonici.
Non avendo lui fatto questo, io personalmente sono tranquillo e sereno, perché alle ambiguità ereticali di AL, per chiamare le cose con il loro nome, non concedo alcun credito, e nemmeno aspetto alcun ulteriore chiarimento. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica nella sua interezza, sono invece pienamente d’accordo col prof. Robert Spaemann, qui
http://www.iltimone.org/news-timone/amoris-laetitia-spaemann-il-caos-eretto-a-principi/
quando egli afferma che, siccome la confusione nella Chiesa, dopo AL, è grande,
“…Ogni singolo cardinale, ma anche ogni vescovo e sacerdote è chiamato a difendere nel proprio ambito di competenza l’ordinamento sacramentale cattolico e a professarlo pubblicamente. Se il papa non è disposto a introdurre delle correzioni, toccherà al pontificato successivo rimettere le cose a posto ufficialmente”.
Sperando, aggiungo io, che il pontificato successivo sia risolutivo, e non si debba attendere quelli ancora posteriori…
Caro Padre Giovanni, nel ringraziarLa per la preziosa opportunità di dibattito, La saluto cordialmente.
Pier Luigi Tossani,
Firenze
Buonasera a tutti.
Umilmente vorrei far notare a padre Cavalcoli (che stimo per tanti suoi scritti) che quanto sostenuto nel suo primo intervento (“Nell’AL il Papa, supponendo comunque che l’adulterio volontario è peccato mortale e che per conseguenza la coppia vive in uno stato irregolare, fa tuttavia notare che non per questo essa si trova sempre instato di peccato o colpa mortale,priva della grazia. Ma, supponendo che essa, per ragionevoli motivi, non possa interrompere il suo rapporto, se ogni volta che pecca, si pente, è perdonata da Dio anche senza il sacramento della penitenza, per cui riacquista la grazia perduta e in linea di principio potrebbe fare la Comunione”), è in contrasto col Catechismo al 1650 e con la “Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della Comunione Eucaristica da parte dei fedeli divorziati risposati” del 1994 della CDF.
L’ho già citata in un precedente commento.
La ricito in modo più diffuso.
3.”…Su questo punto negli ultimi anni in varie regioni sono state proposte diverse soluzioni pastorali secondo cui certamente non sarebbe possibile un’ammissione generale dei divorziati risposati alla Comunione eucaristica, ma essi potrebbero accedervi in determinati casi, quando secondo il giudizio della loro coscienza si ritenessero a ciò autorizzati. Così, ad esempio, quando fossero stati abbandonati del tutto ingiustamente, sebbene si fossero sinceramente sforzati di salvare il precedente matrimonio, ovvero quando fossero convinti della nullità del precedente matrimonio, pur non potendola dimostrare nel foro esterno, oppure quando avessero già trascorso un lungo cammino di riflessione e di penitenza, o anche quando per motivi moralmente validi non potessero soddisfare l’obbligo della separazione. Da alcune parti è stato anche proposto che, per esaminare oggettivamente la loro situazione effettiva, i divorziati risposati dovrebbero intessere un colloquio con un sacerdote prudente ed esperto. Questo sacerdote però sarebbe tenuto a rispettare la loro eventuale decisione di coscienza ad accedere all’Eucaristia, senza che ciò implichi una autorizzazione ufficiale.
In questi e simili casi si tratterebbe di una soluzione pastorale tollerante e benevola per poter rendere giustizia alle diverse situazioni dei divorziati risposati.
4.”4. Anche se è noto che soluzioni pastorali analoghe furono proposte da alcuni Padri della Chiesa ed entrarono in qualche misura anche nella prassi, tuttavia esse non ottennero mai il consenso dei Padri e in nessun modo vennero a costituire la dottrina comune della Chiesa né a determinarne la disciplina. Spetta al Magistero universale della Chiesa, in fedeltà alla Sacra Scrittura e alla Tradizione, insegnare ed interpretare autenticamente il «depositum fidei».
Di fronte alle nuove proposte pastorali sopra menzionate questa Congregazione ritiene pertanto doveroso richiamare la dottrina e la disciplina della Chiesa in materia. Fedele alla parola di Gesù Cristo(5), la Chiesa afferma di non poter riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione…Per i fedeli che permangono in tale situazione matrimoniale, l’accesso alla Comunione eucaristica è aperto unicamente dall’ASSOLUZIONE SACRAMENTALE (MAIUSCOLO MIO), che può essere data «solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò importa, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, “assumano l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”»(8). In tal caso essi possono accedere alla comunione eucaristica, fermo restando tuttavia l’obbligo di evitare lo scandalo”.
5. “La dottrina e la disciplina della Chiesa su questa materia sono state ampiamente esposte nel periodo postconciliare dall’Esortazione Apostolica «Familiaris consortio». L’Esortazione, tra l’altro, ricorda ai pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le diverse situazioni e li esorta a incoraggiare la partecipazione dei divorziati risposati a diversi momenti della vita della Chiesa. Nello stesso tempo ribadisce la PRASSI COSTANTE E UNIVERSALE (MAIUSCOLO MIO), «fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla Comunione eucaristica i divorziati risposati»(9), indicandone i motivi. La struttura dell’Esortazione e il tenore delle sue parole fanno capire chiaramente che tale prassi, presentata come vincolante, non può essere modificata in base alle differenti situazioni.
6. Il fedele che convive abitualmente «more uxorio» con una persona che non è la legittima moglie o il legittimo marito, non può accedere alla Comunione eucaristica. Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori, date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona(10) e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa(11). Devono anche ricordare questa dottrina nell’insegnamento a tutti i fedeli loro affidati”.
Padre Calvalcoli dice anche che l’ammissione-non ammissione dei divorziati risposati alla Santa Eucaristia è una prassi che può essere modificata da un Pontefice nell’esercizio del suo “potere delle chiavi”.
Nella Lettera del 1994 si dice che la prassi della non ammissione è una “prassi costante e universale” fondata sulla Sacra Scrittura. Prassi costante e universale è Magistero ordinario e universale che è infallibile.
Padre Cavalcoli dice che se “essa, per ragionevoli motivi, non possa interrompere il suo rapporto, se ogni volta che pecca, si pente, è perdonata da Dio anche senza il sacramento della penitenza, per cui riacquista la grazia perduta”.
La Lettera del 1994 dice che “per i fedeli che permangono in tale situazione matrimoniale, l’accesso alla Comunione eucaristica è aperto unicamente dall’ASSOLUZIONE SACRAMENTALE (MAIUSCOLO MIO), che può essere data «solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò importa, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, “assumano l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”»(8). In tal caso essi possono accedere alla comunione eucaristica”.
La Lettera del 1994 la trovate al link: http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_14091994_rec-holy-comm-by-divorced_it.html
Grazie
“Il potere delle chiavi o pastorale non concede affatto al Papa di fare «quello che vuole», perché esso non riguarda l’essenza dei sacramenti, che neppure il Papa può mutare, ma la loro giusta e conveniente amministrazione, a seconda delle necessità o delle opportunità delle persone, dei tempi e dei luoghi. L’essenza del sacramento dell’Eucaristia è salvata e rispettata sia con un Papa che decide di dare la Comunione ai DR, sia con un’altra che decida di non darla”.
In questa risposta di P. Cavalcoli c’è una patente inconciliabilità affermando che l’accesso alla comunione per i DR che non si astenessero dai rapporti propri dei coniugi (unico caso un cui varierebbero le precedenti disposizioni in merito) – fatta eccezione per il caso di violenza – possa essere GIUSTA, CONVENIENTE .
E’ chiaro quindi che le affermazioni del padre sembrano non considerare la stretta correlazione fra la Legge Divina rivelata (ma anche quella naturale) e la legge ecclesiastica, subordinata alla prima e la cui “ratio” sta nel riflettere, declinare e correlare nel tempo e secondo opportunità i dettati del legislatore divino, avendo come fine ultimo la “salus animarum”.
Per quanto riguarda la salvaguardia dell’ essenza del sacramento anche se l’ipotesi in oggetto non ne altererebbe la materia, ne tradirebbe invece la sua componente simbolica e significativa in quanto, come afferma BXVI in SC, “(92) Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr Mc 10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia”.
Di qui ne conviene che questo approccio del Cavalcoli, che probabilmente potrebbe definirsi eccessivamente legalistico, non conduce alla comprensione della sostanza e del senso delle cose di cui si discute e per cui la Chiesa sta vivendo uno scisma di fatto, bensì innalza una cortina fumogena che oltre il disorientamento di molti fedeli, permette di fatto al pontefice regnante,e a chi per lui, di togliere pian piano dal cuore dell’uomo quello che Dio ha posto attraverso 2000 anni di vita e Tradizione della Chiesa.
Non me ne voglia padre Cavalcoli, ma questo modo di argomentare mi ricorda quello di don Ezio. Certo argomentazioni diverse e diversi modi di vedere le questioni, ma quanta fuffa, quante parole-
Ma davvero qualcuno pensa di avvicinare i “gggiovani” alla fede in questo modo? Suvvia, non scherziamo. I giovani vogliono risposte forti e chiare e non certo questa melassa trita e ritrita. Un ventenne sarà più facilmente attratto da un Imam sunnita che da un sacerdote che comunica in tal modo e non mi si dica che non è vero! Basta leggere che so un Biffi, ascoltare un Manelli, meditare un Pio X per capire l’enorme differenza che c’è tra il parlar cristiano e un parlar mondano. I cavilli sono mondani caro Cavalcoli. Li lascio volentieri a Lei e ai nostri cari “fratelli talmudici”… Perdere la fede è un attimo di questi tempi… Saluti.
Massimiliano.
Caro Padre Giovanni,
sono basito dal suo intervento, ma, pur privo di computer, cercherò di fare il possibile con lo smartphone.
1. Nella nota 351 il Papa dice che in certi casi i divorziati risposati potrebbero fare la Comunione. FC 84 dice che non possono farla. Ho già detto nel mio precedete intervento che in fatto di stabilire chi può fare o non fare la Comunione un Papa può cambiare quello che aveva stabilito il precedente. Ora in quella nota Papa Francesco non dice: «si cambia», ma: «si potrebbe cambiare». Quindi vale ancora FC 84. Se Papa Francesco vuole effettivamente cambiare, ce lo farà capire.
COMMENTO: Come ci ha ricordato il Cardinale Muller “Gesù Maestro e Gesù Pastore sono la stessa Persona e non due persone diverse”.
Quindi Francesco non deve farci sapere niente perché semplicemente non può contraddire la dottrina.
Se io sono un progettista di ponti posso costruirli sì in vario modo, ma mai in contraddizione con la forza di gravità.
2.Certo che è impossibile dare la Comunione a chi contraddice al Comandamento divino, cioè a chi è in stato di peccato mortale, privo della grazia. Ma il Papa dice che può capitare che i due siano in grazia per i motivi che ho detto nel mio precedente intervento.
COMMENTO: se sono in grazia lo sa solo Dio.
Noi possiamo attenerci all’adempimento esteriore non a quello interiore. Questi famigerati casi sono tutt’ora un mistero, quali sono? Parlo di fatti concreti da analizzare.
3.Quando il Papa disse quella frase si riferiva al fatto che è difficile sapere se questo o quel tale è in grazia o no. Ma un Papa ha tutta l’autorità di ricordarci che, in linea di principio, anche chi si trovi in uno stato giuridicamente irregolare può, almeno ad intervalli,essere in grazia.
COMMENTO: premetto che questo Papa va sempre interpretato, se dice ad esempio che l’inferno non c’è anche li va interpretato. Tutti lo interpretano autenticamente, in Germania e in Polonia l’hanno interpretato autenticamente entrambi, peccato che uno dica Si e l’altro NO. Ma queste sono inezie.
Ma torniamo a noi, non è difficile sapere se una persona è in stato di grazia, è impossibile!
E lo è anche per uno che vive oggettivamente secondo tutte le regole della Chiesa.
Nessuno sa cosa c’è nel cuore dell’uomo.
Essere in grazia “ad intervalli” è la condizione di ogni uomo, non c’era bisogno di Amoris Laetitia per scoprirlo, ed è il cammino di ognuno che lo porta a Confessarsi, pentirsi e promettere di non rifarlo mai più, per poi ripeccare nuovamente e pentiti, affranti, afflitti, tornare a Confessarsi.
Ma questo è il peccato puntuale, non continuo.
Francesco, invece, attraverso l’unica interpretazione possibile, quella cioè pubblicata sugli AAS come Magistero autentico, propaga chiaramente e pubblicamente la credenza antipastorale, poiché antidottrinale, che chi vive in stato di adulterio, cioè copula come vi fosse un matrimonio sacramentale in atto, può autoassolversi e accedere tranquillamente alla Comunione Eucaristica, e questo in pratica a tempo indeterminato, ergo Seconde nozze legittimate.
4.Il caso delle coppie gay rappresenta un’unìone irregolare ancor più lontana dall’unione tra uomo e donna voluta da Dio e dalla legge naturale. Se già la Comunione ai DR è per adesso una semplice ipotesi, ancor meno probabile è in futuro il permesso della Comunione ad una coppia gay, benchè saltuariamente possano essere in grazia. E se non è possibile un matrimonio sacramento fra due DR, ancor meno lo sarà per una coppia gay.
COMMENTO: no comment – come disse Bergoglio nella faccenda Viganò “le sue parole si commentano da se stesse”.
Senza accorgersene sta legittimando i rapporti omosessuali.
5.Qui la legge di non contraddizione non c’entra, perché siamo nel campo delle decisioni pastorali (“potere delle chiavi”) e qui un Papa può cambiare quello che aveva deciso il precedente. Onde il detto popolare: “Chi bolla, sbolla”.
COMMENTO: stesso commento di sopra dal Cardinale Muller in poi…
Semplicemente perchè male interpretano la nota 351 e quindi disobbediscono al Papa.
COMMENTO: no comment
Grazie per l’intervento, Sherlock. Personalmente credo che alla base di tutta questa confusione sulla comunione ai DR ci sia un errore (o eresia) sulla grazia: la facoltà di non peccare deriva innanzitutto dalla grazia di Dio, prima ancora che dal nostro sforzo, e Dio concede a tutti questa grazia. Per cui chi è costretto, per il bene dei figli, a convivere con l’amante nella nuova unione (adulterina) e non riesce a vivere in perfetta continenza, lo fa per precisa volontà di peccare (a prescindere che derivi da debolezza o no). Per cui se le cadute si ripetono senza che ci siano segni di miglioramento, è segno che il convivente non fa di tutto per evitare il peccato. Sia sant’Alfonso, dottore della Chiesa e patrono dei confessori (*) che san Pio da Pietralcina insegnavano che in questi casi va differita l’assoluzione (altro che dare la comunione!), finchè non sia chiaro che il penitente ha chiuso definitivamente con il peccato, o perlomeno sia chiaro che fa di tutto per evitarlo.
Ricordiamo sempre il canone 18 della sezione sulla giustificazione del Concilio di Trento:
“Se qualcuno dirà che i precetti di Dio sono impossibili ad osservarsi, anche all’uomo giustificato e costituito in grazia, sia scomunicato“.
(*) Pratica del confessore:
Bisogna distinguere gli abituati da’ recidivi.
Gli abituati son quelli che han contratto l’abitudine in qualche vizio, del quale non ancora si son confessati. Or questi, come dicono i dottori, ben possono assolversi la prima volta che si confessano della mal’abitudine, o pure, quando se ne confessano dopo averla ritrattata; purché sian disposti con un vero dolore e con un proposito risoluto di prendere i mezzi efficaci per emendarsi; ma quando l’abitudine fosse molto radicata, può benanche il confessore differire l’assoluzione, per fare esperienza come si porta il penitente nel praticare i mezzi assegnati ed affinché prenda egli più orrore al suo vizio.
Avvertasi che cinque volte il mese può già costituire la mal’abitudine in qualche vizio di peccati esterni, purché tra loro vi sia qualche intervallo. Ed in materia di fornicazioni, sodomie e bestialità molto minor numero può costituire l’abitudine: chi per esempio fornicasse una volta il mese per un anno, ben questi deve dirsi abituato.
I recidivi al contrario son quelli che dopo la confessione son ricaduti nella stessa o quasi stessa maniera senza emenda. Questi, come comunemente s’insegna non possono essere assolti coi segni ordinari, cioè col solo confessarsi e dire che si pentono e propongono, come si ha dalla proposizione 60 condannata da Innocenzo XI. Poiché l’abitudine fatta e le ricadute passate senza alcuna emenda danno gran sospetto che il dolore e ‘l proposito che ‘l penitente asserisce avere non siano veri. Onde a costoro si deve differir l’assoluzione per qualche tempo, sino che si scorga qualche prudente segno d’emenda. Ed in questo punto è cosa da piangere il vedere la gran ruina che cagionano tanti mali confessori nell’assolvere indistintamente questi recidivi i quali, vedendosi così sempre facilmente assolti, perdono l’orrore al peccato e seguitano a marcire nelle male abitudini sino alla morte.
Alcuni dottori ammettono che ‘l recidivo ben può assolversi con i segni ordinari sino alla terza e quarta volta, ma a questa opinione io non ho potuto mai accordarmi.
Anche io ringrazio te!
Purtroppo ho poco tempo per rispondere in maniera circostanziata e sistematica contatto di copia incolla da fonti certe.
Le tue parole mi fanno, però, venire in mente la denuncia di Padre Weinandy quando scrive che non credere che Dio dà sempre la Grazia per adempiere ai Suoi Comandamenti è “peccato contro lo Spirito Santo”!
Ecco, alla luce di questo si può tranquillamente
affermare che Amoris Laetitia induce a peccare contro lo Spirito Santo.
Quindi quando Bergoglio ha detto riguardo a questa questione :”Nemo ad impossibilia tenetur “induce a peccare contro lo Spirito Santo cioè è eretico.
“Alcuni dottori ammettono che ‘l recidivo ben può assolversi con i segni ordinari sino alla terza e quarta volta, ”
Anche prima del Concilio le lunghe file ai confessionali erano fatte di peccatori abituali, che confessavano ben più di tre o quattro volte lo stesso peccato (quasi sempre i peccati abituali erano relativi al sesto comandamento, il più difficile da osservare). Se fosse come detto nel virgolettato, sarebbero guai seri.
Ovviamente non ho elementi per sapere se e quanti prima del Concilio «confessavano ben più di tre o quattro volte lo stesso peccato»: non sono un confessore , né nessuno veniva a confidarmi questi loro … successi. Comunque, siamo tutti peccatori e non volendo indagare nelle coscienze altrui posso almeno dedurre che in tal modo essi evidentemente riconoscevano di aver peccato.
In compenso oggi i confessionali sono vuoti e le lunghe file si sono trasferite a ricevere l’Eucarestia. Il che significa: o che oggigiorno non si pecca più; oppure, se si pecca, si rifiuta di considerare peccato quello che viene compiuto.
Ringrazio padre Cavalcoli per aver preso tempo a rispondere alla mia e alle domande di molti. Rimane però il dubbio sui dubia. Si perché chi li ha posti non è un fedele qualsiasi ma uno dei moralisti più quotati della chiesa. Lo era: Caffarra. Ora…il padre pare metterla così semplice (il potere delle chiavi). Ma se fosse stato così semplice perché sputtanarsi coi dubia? Mi ricordo che all’origine dei dubia Caffarra affermava che la sua istanza al papa (i dubia appunto) era perché i sacerdoti della diocesi andavano da lui per chiedere come comportarsi nei vari casi di DR. Perché, dunque, Caffarra non ha risposto loro con questa facilità e anzi ha mantenuto vivi i dubia? Non torna. Quanto vorrei che fosse vivo Caffarra per sentire che ne penserebbe lui del “potere delle chiavi”…
E pensare che per interpretare AL bastava la dichiarazione di Mons. Forte: “Se parliamo esplicitamente di comunione ai divorziati risposati – ha riportato Mons. Forte riferendo una battuta di Papa Francesco – questi non sai che casino che ci combinano. Allora non ne parliamo in modo diretto, fa in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò io.”
Con gran risparmio di sofismi e arrampicate.
“Quando il Papa disse quella frase si riferiva al fatto che è difficile sapere se questo o quel tale è in grazia o no. Ma un Papa ha tutta l’autorità di ricordarci che, in linea di principio, anche chi si trovi in uno stato giuridicamente irregolare può, almeno ad intervalli,essere in grazia”.
Certo che può essere in Grazia, ma chi può stabilirlo con certezza?
Solo Dio legge i cuori (e rare anime alle quali Egli lo concede).
Ed è giusto che, con tanta leggerezza (dopo l’AL non si contano più – lo si faceva anche prima, purtroppo, ma non con tale sistematicità – le diocesi in cui viene concessa la Comunione ai pubblici peccatori, spesso senza neppure un minimo di discernimento), venga messo in gioco il bene eterno delle anime, in situazioni (Comunione quando ci si trova in peccato grave… anche se potrebbe NON essere peccato mortale) in cui è alto il rischio di sacrilegio eucaristico?
***
“Qui la legge di non contraddizione non c’entra, perché siamo nel campo delle decisioni pastorali (“potere delle chiavi”) e qui un Papa può cambiare quello che aveva deciso il precedente”.
Eh certo, siamo nel campo pastorale… e allora perché, in FC, viene ribadito che certe decisioni sono fondate sulla Sacra Scrittura?
Se sono fondate sulla Scrittura, siamo nel campo dottrinale: un campo di cui nessun papa è padrone, bensì solo custode.
O vogliamo far passare il concetto che basti riferirsi alla pastorale, per non intaccare la Dottrina (o meglio: la percezione che le anime hanno di essa)?
***
“Ciò non vuol dire, però, come lascia chiaramente intendere il Papa, che essi si trovino sempre in uno stato di peccato,ovvero che siano necessariamente ed insuperabilmente in uno stato continuo di colpa mortale, come fossero dei dannati dell’inferno. Anzi, come dice il Papa, possono avere delle attenuanti di colpa, data l’enorme difficoltà di resistere alla tentazione, causata dalla convivenza continua”.
E questo è confortante. Non dimentichiamo però che nessuno ha obbligato i divorziati a risposarsi (e dunque a mettersi in tentazione continua). Questo modo di ragionare mi pare davvero del tipo “botte piena e moglie ubriaca”.
Chi si mette – e ci si mette volontariamente – in una situazione in cui le tentazioni sono all’ordine del giorno, è anche giusto che poi ne accetti le conseguenze. Anche perché, se certi “stiramenti pastorali” valgono per i divorziati risposati, perché non dovrebbero valere per qualunque pubblico peccatore che persevera in stato di peccato grave protratto?
Perché solo il divorziato risposato può “confessarsi con Dio”, e non anche altre categorie che vivono in peccato grave continuo?
Ma ci rendiamo conto o no che questo modo di ragionare porta all’anarchia spirituale totale?
Secondo me la ragione per cui si moltiplicano le interpretazioni di AL – di cui quella di Padre Giovanni è un esempio – risiede nel fatto che nessuno si è posto il problema di ragionare a sufficienza sull’antecedente Familiaris Consortio ed in particolare sui seguenti punti:
a) quale sia la ratio della condizione richiesta da FC per avere accesso alla Comunione
b) come ci si dovrebbe comportare se Familiaris Consotio non fosse stata scritta (per comprendere se la condizione costituisca esercizio del potere delle chiavi o non sia piuttosto una logica conseguenza della natura sacramentale dell’Eucarestia);
c) se in regime Familiaris Consortio (senza AL) fosse/sia davvero possibile negare che vi siano casi particolari in cui si può dare la Comunione anche senza che sia stato possibile assumere il noto impegno.
Quando i cervelloni avranno saputo dare una risposta definitiva a questi quesiti, la comprensione di AL e delle sue intenzioni di fondo sarà semplicissima.
Mi spiace, ma ho l’impressione che il tutto si regga su un equivoco.
Il Papa può cambiare le condizioni per cui si amministra un sacramento? Sia pure: Pio X ha abbassato l’età per ricevere la prima Comunione. Ma riceverla a date condizioni. Non poteva dire: siccome è una cosa buona, diamola a tutti anche se non sanno che cosa sia.
Analogamente: due, dei quali almeno uno sia divorziato, conviventi senza matrimonio potranno anche non commettere più il peccato sessuale, potranno non aver commesso altri peccati: ma basta per dire che sono in perfetta grazia? Temo di no, a meno che non riconoscano che il loro legame – quel genere di legame – sia sbagliato. E poi vadano a confessarsi promettendo di rompere con quel legame, anche – non soltanto, ma anche – per evitare occasioni prossime di peccato.
Certo che tutti abbiamo dei peccati in cui cadiamo spesso. Ma non per questo li crediamo inevitabili. Anzi, dobbiamo pregare il Signore affinché ci allontani quelle tentazioni. Magari non accadrà subito, ma un po’ alla volta le cose cambieranno.
Se invece crediamo che basti pensare: “Va be’, dai, che potevo farci, va così, lo fanno tutti…”, possiamo darci tutte le giustificazioni che vogliamo, ma resta la discrepanza con la Legge di Dio. Dunque: o Dio non esiste, perché non riusciamo a vivere come vuole Lui; o siamo deboli e peccatori e dobbiamo chiedergli aiuto per cambiare vita. In ambedue i casi, fare la Comunione in quello stato non c’entra niente, sarebbe solo un placebo o un autoinganno. O una tragica illusione.
Ripeto: mi spiace, ma padre Cavalcoli si mette su una strada che sbocca in posti molto inquietanti. Lui lo fa in buona fede. Altri lo fanno perché la Fede non l’hanno più e seguono lo Spirito di questo mondo.
Ringrazio Padre Cavalcoli per l’attenzione avuta nei miei confronti, da nonno ignorante quale sono, vorrei ricordare che il Matrimonio-Sacramento, per opera dello Spirito Santo che guida alla Verità tutta intera, la Santa Chiesa lo ha connesso in modo ineludibile al Sacramento Eucaristico, ora lo si celebra nella S. Messa. tranne quando lo si “improvvisa in volo”.
Questa centralità di Cristo, per gli sposi cristiani , lo ha ricordato Benedetto XVI, quando, se non ricordo male all’incontro delle Famiglie del 2012 disse: Auguro agli sposi di vivere ogni Santa Messa come quella del loro Matrimonio.
Perchè dico che il Sacramento del Matrimonio viene snaturato, con delle noticine, perchè la sua unicità e sostanza rispetto a tutti gli altri Sacramenti è uno per due persone, che chiedono la grazia ad un Altro, cioè Cristo di dar loro la forza, per vivere santamente, cosa a cui tutti siamo chiamati.
Non è solo una questione teorica, per specialisti teologi o esperti in sociologia, ma quelle noticine riguardano la vita delle persone e la loro salvezza.
Il Papa, dopo A.L. ha avviato un processo pericoloso: rendere l’indissolubilità matrimoniale segno incontrovertibile, e testimonianza di comunione con Cristo,una opzione.
Faccio un esempio che mi riguarda così spero di spiegarmi meglio.
Mia moglie anni fa, non è stata bene, e io mi sentivo responsabile della sua malattia, e avevo deciso che per il bene suo e quello delle mie figlie sarebbe stato meglio andarmene di casa.
Preciso non per andare con una altra donna, ma per non fare altri danni alla mia famiglia, così pensavo.
Ma una cosa mi ha salvato da questa diabolica tentazione , l’assoluta certezza che l’UNICO PROGETTO BUONO DI CRISTO SULLA MIA VITA ERA STARE CON MIA MOGLIE E I MIEI FIGLI.
Altro esempio, questo non riguarda me , ma purtroppo moltissimi spossi cristiani, se due persone sono in crisi nel loro rapporto, e desiderano però ricevere CRISTO EUCARISTICO, che motivo avrebbero per fare fatica e ricomporre anche per i figli la loro unione sacramentale, se nemmeno dalla S. Chiesa, è considerata l’UNICO PROGETTO BUONO DI CRISTO per loro, CRISTO che potrebbero ugualmente ricevere, perchè come si dice ora” lo dice il Papa e io pretendo che tu prete mi assolva.”
Con buona pace del Santo Padre e di quello che asserisce Padre Cavalcoli, già da ora nei fatti, per me non è e non lo sarà mai, questo processo iniziato, una valorizzazione del
Matrimonio-Sacramento e ancor meno l’amministrazione dello stesso con saggezza e giustizia per il bene delle anime.
Mi scuso per le parole forti che uso, ma così facendo il Papa e i Vescovi (non tutti per Grazia di Dio ) RISCHIANO DI INDURRE IN TENTAZIONE GLI SPOSI CRISTIANI.
Dissento completamente da quanto affermato da Padre Cavalcoli in merito alla comunione ai divorziati risposati: Nessun Pontefice ha il potere di disporrre diversamente sulla questione in quanto è Dottrina immodificabile che chi si trovi in peccato mortale non possa accostarsi alla comunione Sacramentale. Su questo punto il Padre Cavalcoli commette un grave errore
Ringrazio padre Cavalcoli.
Papa Francesco non è un eretico perché, anche dovesse pensarla in modo poco ortodosso su qualche punto, non lo INSEGNA. Rimarrebbe un suo pensiero personale.
Nell’Amoris laetitia egli pone delle questioni per poterle studiare e poi vedere fin dove si può arrivare nell’apertura senza alterare la Tradizione.
Il suo approccio pastorale però può portare confusione.
I frutti si vedranno in futuro.
L’Amoris laetitia nel suo insieme è bellisima (se si può usare questo termine). Ci sono però dei punti su cui, non solo a me, piacerebbe sapere qualcosa in più. Perché non spiega?
Se poi si vuole aprire alla Comunione ai divorziati e risposati, perché la procedura non viene normata nel Codice di Diritto Canonico?
Viste poi le novità portata da Papa Francesco, ad esempio la “correzione” del Catechismo, forse occorrerebbe la stesura di un catechismo del catechismo, cioè di un catechismo sicuramente dogmatico e perciò irreformabile, che, perciò, si possa solo approfondire e ampliare, ma mai correggere.
E poi: perché si esprime sempre contro la Casistica (che a me ha fatto un gran bene)? Anche questa cosa mi INSOSPETTISCE.
Ma sono soprattutto certi suoi silenzi che non capisco, come le mancate risposte ai dubia (ma non solo).
Anche lui fosse in buona fede, i laicisti se la ridono. Ma se, alla fine, si convertono, ha ragione. Ne prenderò atto con gioia.
Ma saranno loro a convertirsi alla Chiesa o saranno tanti cattolici a convertirsi al laicismo?
Se tutto fosse così chiaro e semplice o non ci sarebbero stati i “Dubia” o, se cardinali, vescovi, professori universitari, teologi e via di questo passo si fossero sbagliati il papa, nella sua funzione di “confermare i fratelli nella fede”, avrebbe dovuto chiarire i dubbi. Comunque grazie a padre Cavalcoli che da buon padre impegna tempo e sapienza dove reputa ce ne sia necessità. A maggior gloria di Dio e per il bene della Chiesa. Appunto.
P. Calvalcoli conosce il significato di Tradizione? Ciò che da tutti, in ogni tempo e in ogni luogo, è stato creduto. Ma al di là del concetto di Tradizione c’è il dato scritturistico incontrovertibile dei 3 vangeli sinottici e di 1 Cpr. capp. 7 e 11. Se due divorziati risposati possono accedere alla Comunione mi spieghi p. Cavalcoli perchè non possono accedervi due conviventi. Solo perchè in Amoris confusio il Papa non ha fatto cenno a codesta fattispecie? Nessun Papa può modificare ciò che Cristo stesso ha statuito. Che pena leggere argomentazioni che hanno alla base il diritto canonico e non la Scrittura e la Tradizione. Che pena! Dopo tanti anni di studio… E ragionando come maldestramente argomenta P. Cavalcoli allora se oggi vivesse Enrico VIII egli facilmente, dopo un periodo di discernimento, potrebbe tranquillamente sposare Anna Bolena. E per chi sono morti san Giovanni Fisher e san Thomas More? Per difendere chi o cosa? Per difendere il discernimento? O per difendere l’opinione di p. Cavalcoli? Ma il discernimento lo si fa – dovrebbe saperlo P. Cavalcoli – tra due beni, non tra il bene ed il peccato.
Secondo il sott.il suo ragionamento fila sia moralmente che logicamente.
E lei Alessandro è in condizione di “capire” ciò che Gesù stesso ha istituito?
Risponda ha questa semplice domanda
Perché Gesù disse alla peccatrice “i tuoi peccati ti sono perdonati” mentre all’adultera ” và e non peccare più”?.
E cosa ha stabilito il concilio di NIcea del 325 in merito proprio ai “Digami”, contrastando le affermazioni di Novaziano?, non è forse tale concilio “pronunciamento magisteriale”?
Ancora
Che dire delle “Donne Curiali” nel medioevo quando esercitavano con la licenza della curia il loro mestiere?.
Cosa significa “Prassi Ecclesiam” in merito alle verità di fede, le quali sostanzialmente sono immutabili mentre la prassi sarebbe accidentale?
Non è tutto così chiaro come si vorrebbe credere.
Si, sono in grado di capirlo perché mi baso non sulla mia opinione ma sui Vangeli. Gesù ha elevato il matrimonio alla dignità di sacramento. E finché di esso non è accertata la nullità il matrimonio, rato e consumato, rimane valido.
“Ma il discernimento lo si fa – dovrebbe saperlo P. Cavalcoli – tra due beni, non tra il bene ed il peccato”
E questo accade quando ci si arrampica sugli specchi, nel tentativo di giustificare l’ingiustificabile. E si finisce pure col dire che un peccatore abituale in materia grave può direttamente essere perdonato da Dio, _senza_ ricorrere al Sacramento della Penitenza.
Tra l’altro certe affermazioni cozzano con quanto la Chiesa ha sempre insegnato, ad esempio nel Concilio Tridentino:
===
Se qualcuno afferma che l’uomo è assolto dai peccati e giustificato _per il fatto che egli crede con certezza di essere assolto e giustificato_ […]: sia anàtema.
Se qualcuno afferma che chi dopo il battesimo è caduto nel peccato non può risorgere con la grazia di Dio; o che può recuperare la grazia perduta, ma per la sola fede, _senza il sacramento della penitenza_, come la santa Chiesa romana e universale, istruita da Cristo Signore e dai suoi Apostoli, ha finora creduto, osservato e insegnato: sia anàtema.
===
Purtroppo, con la scusa della pastorale, non sono pochi i consacrati e i teologi che si sono incamminati lungo una strada tremendamente pericolosa.
***
“E per chi sono morti san Giovanni Fisher e san Thomas More?”
Si tratta di una domanda semplice e molto significativa, che già da sola basterebbe per comprendere come certe manipolazioni argomentative siano del tutto fuori luogo.
Ma, a quanto pare, la via della logica e della coerenza piace a pochi.
Visto che “basta il discernimento” e che “si tratta solo di pastorale”, i due Santi sopra citati oggi sarebbero considerati dei perfetti idioti. Come idiota fu, evidentemente, la Chiesa Cattolica di quel tempo, che preferì uno scisma al rinnegamento della Dottrina.
Per Padre Cavalcoli
7Gli domandarono: “Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e di ripudiarla?”. 8Rispose loro: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all’inizio però non fu così. 9Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un’altra, commette adulterio”.
Matteo 19-7,9
Qui c’è poco da discutere.
Gesù è stato molto chiaro, non ha usato il condizionale o una noticina a piè di pagina.
Gentilissimo Padre Cavalcoli, grazie per la Sua risposta. Purtroppo Lei mi conferma implicitamente tutti i timori che nutrivo, ovvero che l’attuale pontefice usa la tecnica di mascherare certi cambiamenti e di somministrarli in modo velato facendo credere che NULLA CAMBIA, quando invece TUTTO (‘forse’ e anche ‘presto’) CAMBIERA’… Insomma la rana nel pentolino pieno d’acqua che viene cotta alzando pian pianino la temperatura, in modo che la povera bestiola non avverta direttamente il pericolo…
Questo modo di fare (sicuramente lecito, forse anche opportuno, in campo POLITICO, ma decisamente opposto al SI, SI-NO, NO indicato da Nostro Signore) vorrebbe in pratica aprire le porte ad una nuova prassi ‘semplice e misericordiosa’, che diventerebbe presto maggioritaria tra i sacerdoti cattolici: del resto è molto più facile e si passa meglio per ‘buoni amici’ nel dire sempre sì ai propri fedeli… Ma chiunque abbia un minimo di esperienza nel campo educativo, sa che questo modo di fare è nocivo e diseducativo, perché il non far rispettare le regole basilari (avvicinamento al sacramento della Comunione in evidente stato di peccato) porta a far pensare che tutto sia lecito e che addirittura si abbia il diritto di pretendere sempre nuovi superamenti delle regole…
Padre, a me hanno insegnato che la Chiesa nei secoli è stata buona maestra e che è stata sempre esplicita nell’indicare ciò che è BENE e ciò che è MALE. Mi hanno insegnato che la Chiesa proponeva affermazioni NITIDE e CERTE, derivanti dalla Rivelazione Divina e basate sulla Logica, quindi sempre accettabili e di buon senso. Ora dover riconoscere l’evidente e ricercata ambiguità nelle parole del Pontefice e di tanto clero attuale, mi crea un grande sconforto, perché non riconosco più un pensiero cattolico in tanti sacerdoti (e quindi anche in molti fedeli) e perché ho ormai perso la fiducia in tanti che parlano dai pulpiti: come si può infatti prestare fede (oggi, ma anche un domani) ad un sacerdote che apertamente cerca di manipolare i fedeli allontanandoli dalla Tradizione e negando i propri obiettivi (quindi mentendo nelle proprie affermazioni) e che si manifesta espressamente equivoco? Non posso credere in chi mi dice che i ‘fini giustificano i mezzi’ (ovvero che per salvare la Chiesa bisogna essere pronti ai peggiori compromessi…): il SI, SI – NO, NO di Cristo è necessario e deve rimanere caratteristico della predicazione cattolica.
Mi spiace, ma questa sofistica pseudotradizionale per legittimare l’illegittimabile ad majorem Bergoglii gloriam mi fa schifo. Fino a che punto e’ caduta la classica canonistica cattolica. Miserere nobis, Christe.
Caro P. Cavalcoli. Purtroppo Papa Francesco ha espresso già in modo magisteriale la sua “unica” interpretazione sulla vexata quaestio della comunione ai divorziati “risposati” che portano avanti un rapporto coniugale, pertanto, – scusatemi la crudezza – mantenendo tra di loro dei frequenti rapporti sessuali. Tale questione è stata caldamente discussa dai padri sinodali e è stata trattata in modo tangenziale e ambiguo nella AL.
In effetti, sono state pubblicate sul AAS “velut magisterium authenticum” (Acta Apostolicae
Sedis, CVIIII (2016) n. 10, 1071-1074) sia la lettera dei vescovi di Buenos Aires che la rispettiva risposta del Papa sigillando le proposte “pastorali” di questi vescovi sull’applicazione del capitolo VIII di AL. Tali proposte hanno però delle automatiche conseguenze dogmatiche, perché è impossibile separare la dottrina dell´applicazione, anche se il Papa volesse che la realtà fosse superiore all´idea, il che, paradossalmente, è una affermazione idealistica…
Nella lettera dei Vescovi di BA, al paragrafo 6, ci troviamo senza nessun dubbio davanti a gravi errori riguardanti insegnamenti dogmatici sulla morale, anche se i presuli hanno cercato di redigere il testo nel modo più scivoloso e soft possibile. Ma l´errore ha le gambe corte, e dalle conseguenze si può benissimo giudicare indubbiamente quel che abbiano voluto far passare per provvedimenti pastorali, quando invece sono stati fatti dei mutamenti erronei nella dottrina.
Nell´originale spagnolo è detto che la continenza tra i partner divorziati “risposati” in certe circostanze “puede ser de hecho no factible”. L´insegnamento della Chiesa ben presentato da San Tommaso insegna che la grazia non manca mai ai cristiani per adempiere i comandamenti e dunque è sbagliato – eretico si direbbe nei bui anni del medioevo… – affermare essere di fatto non fattibile, il che equivale a dire essere impossibile, mettere in pratica il comandamento del Signore che manda evitare l´adulterio e la fornicazione sotto pena, come insegna San Paolo, di essere esclusi del Regno di Dio. Le uniche circostanze che permetterebbero una partecipazione esteriore – mai formale, ossia, con il consenso del cuore – è in caso di violenza fisica, ma i vescovi di BA non alludono né da lontano a questa ipotesi. Dunque secondo loro, quali sarebbero le misteriose circostanze più complesse? Loro stessi fanno un esempio, eccolo: “particularmente cuando una persona considere que caería en una ulterior falta dañando a los hijos de la nueva unión”.
Dunque, affermando tale sproposito danno idea di ammettere altre circostanze al di là della violenza fisica, il che è contrario alla sana dottrina, e pongono in atto il condannato principio che permette adoperare mezzi cattivi o illeciti per attingere fini buoni. Tale massima è condannata da San Paolo nella epistola ai Romani e dal Magistero.
Come uscirne allora dall’errore/eresia contenuto in questo testo dichiarato dal pontefice “velut magisterium authenticum”?
Ignorandolo come fanno quei sacerdoti cattolici che volendo sentirsi in pace con Dio e con la propria coscienza amministrano i tre sacramenti fondamentali della nostra fede : matrimonio , Eucarestia e confessione secondo la Tradizione bimillenaria della Chiesa , il Suo chiaro Magistero e l’esaustivo Catechismo in pratca vivono il loro ministero sacerdotale “velut Bergolius non daretur” così come facciamo noi.
Caro Padre,
le sue acrobazie dialettiche per risolvere, o meglio tentare di risolvere, i possibili innumerevoli casi che la realtà porrebbe, mi sembrano molto affini a quelle dei rabbini descritte nel Talmud o in certe storielle ebraiche. In vece dei confessori si preannuncia per la Chiesa Cattolica uno splendido avvenire per gli azzeccagarbugli adulterino/matrimoniali. Questi azzeccagarbugli indosseranno ancora la stola viola e siederanno ancora in confessionale oppure alloggeranno in una biblioteca ove siano custoditi trattati e manuali sulla casistica che minaccia di divenire chilometrica?
Ma Gesù non dice nel Vangelo: “… Il vostro parlare sia Si, Si e No, No: tutto il resto viene dal demonio…”?
Tutte queste disquisizioni farisaiche ispirate da Bergoglio, dove dovrebbero portare?
Quei (rari) divorziati risposati che nella loro intimità vivono in segreto la castità (sempre e non un giorno si e uno no) e che vorrebbero fare la comunione, dovrebbero farla con la stessa riservatezza/ segretezza per non fare anche il peccato di scandalo! Ed evitare che il loro comportamento pubblico possa traviare i più “piccoli”.
Gesù perdona sempre ma ogni volta dice: va e non peccare più! Convertiti e cambia vita. Evita le occasioni prossime di peccato. Perciò, come si può dire che non ci sia un “atteggiamento” aperto al peccato di chi ha la grazia a … tratti?
@Enzo
“Gesù perdona sempre ma ogni volta dice: va e non peccare più! Convertiti e cambia vita. Evita le occasioni prossime di peccato. Perciò, come si può dire che non ci sia un “atteggiamento” aperto al peccato di chi ha la grazia a … tratti?”
A meno che lei non sia una di quelle rarissime persone che, dall’età dei 13/14 anni fino ai 65/70 anni è riuscita ad ottemperare alle (ammettiamolo) molto esigenti richieste del Vangelo relative alla sessualità umana (per esempio non so a che età lei si è sposato, ma sappia che se si è sposato, chessò, butto lì un numero, 35 anni, ciò significa che ogni volta che dai 13/14 anni ai 35 ha avuto una qualunque manifestazione sessuale volontaria da solo o con una donna ha commesso peccato grave), direi che anche lei fa parte o ha fatto parte della schiera molto folta di persone che, confrontate con richieste così esigenti, cadono spesso.
Perciò eviterei di puntare il dito. Lo dico da contrario alla Comunione ai divorziati risposati e da persona che, pur non essendo nè convivente nè adultero nè gay, conosce alcune di queste persone personalmente e ha seri motivi per pensare (per tante ragioni) che alcune di queste siano più vicine a Dio del sottoscritto.
Io sono concorde nel dire che è meglio evitare i Sacramenti a queste persone, ma per favore, smettiamola di cercare la motivazione per negare loro i Sacramenti in una supposta o quasi impossibilità per loro di essere in Grazia, quasi come se fossero dei dannati che camminano sulla terra. Atteniamoci alla motivazione fornita dai cardinali dei Dubia, che è più che sufficiente, ossia la contraddizione oggettiva della loro situazione con l’indissolubilità del Matrimonio (tale per cui è bene non farli accedere ai Sacramenti anche per non creare dubbi su questa dottrina rivelata) e l’impossibilità di capire chi, tra questi peccatori oggettivi, abbia attenuanti tali da non perdere la Grazia e chi no (impossibilità che inevitabilmente espone a Comunioni sacrileghe).
Grazie.
P.s: concordo in pieno con Adolfo, il suo post è di gran lunga il più equilibrato e quello che centra meglio il cuore della questione.
Mah! Non mi sembra che il povero Enzo abbia puntato il dito contro qualcuno: mi pare che il suo semplice intervento sia perfettamente il linea con quanto sappiamo dall’insegnamento cattolico (e la sua citazione non è presa da un Bergoglio qualunque). Non buttiamola sul personale se non vogliamo confondere le acque, la norma del «si dice il peccato ma non il peccatore» dovrebbe moderare – secondo me – i commenti di chi ha un profondo interessa a questo importantissimo tema.
Può darsi che quelle persone siano più vicine a Dio di quanto non lo sia io (povero me!); ma dire che in certi momenti essi sono in grazia, a prescindere da qualunque conoscenza teologica, significa andare contro la logica, a meno che non si parli di persone irresponsabili, ma non credo che sia questo che si voglia intendere.
Ne mi pare che per poter esprimere una certa opinione su una determinata questione (e non sulle persone che ne sono coinvolte), occorra prima misurare il proprio livello di non peccaminosità (a questo punto credo che nessuno potrebbe esprimerne alcuna).
@Lucior
Riguardo allo stato di Grazia ho già detto, non possiamo dire nè si nè no, perché non conosciamo le loro coscienze. Quello è compito di Dio.
Dio sa quanto è realmente facile o difficile commettere un peccato pienamente imputabile e quanto quelle persone siano in piena colpa oppure no.
Perciò no, non è contro la logica affermare che quelle persone possano essere in Grazia di Dio. Contro la logica sarebbe l’affermare che lo siano certamente.
Quello che dico è semplicemente questo: non compete a noi, perciò smettiamola di cavillare su questo per “dimostrare” quanto sia suppostamente impossibile che quelle persone siano qualcosa di diverso da dannati che camminano sulla terra in mezzo a noi.
Grazie.
Punti di vista naturalmente. e quindi… ognuno ha la sua vista. La logica è un’altra cosa e fa riferimento all’insegnamento cattolico che per questi argomenti si fonda sul Vangelo e sulla Tradizione della Chiesa così come risulta dai documenti del Magistero (almeno fino al 2013, perché poi… non so. Comunque documenti ulteriori che contraddicono il Magistero precedente non hanno alcun valore).
Lei dice: «Riguardo allo stato di Grazia ho già detto, non possiamo dire nè si nè no, perché non conosciamo le loro coscienze. Quello è compito di Dio». Mi pare che abbia detto la stessa cosa riguardo al non poter (e aggiungo ora: anche se si potesse nel non dover né voler) conoscere le coscienze altrui. Ma qui non si tratta di giudicare la coscienza di qualcuno bensì di riferire una situazione oggettiva: il convivere more uxorio dopo aver sciolto il Matrimonio sacramentale (mi correggo: per la Chiesa, è quindi per noi, quel matrimonio resta valido, è ancore in essere) è una condizione permanente di peccato e quindi – a prescindere dalla persona, che sia Antonio o Giovanni, Maria o Caterina – non può portare ad essere in grazia di Dio, nemmeno temporaneamente).
Io insisto per trattare la questione e non giudicare le persone. Se si vuole dire che siamo tutti “potenzialmente” in Grazia di Dio, compresi assassini, ladri, stupratori e mafiosi, sono perfettamente d’accordo. Si tratta di recepire questa Grazia (Dio ci ha dato la libertà di accoglierla – convertendoci – o meno; se non avessimo questa libertà saremmo pari alle bestie) e comportarci di conseguenza cercando di non cadere in peccati occasionali (dai quali per grazia di Dio possiamo essere sciolti attraverso la Confessione), e ancor meno di restare in una condizione permanente di peccato (molto più grave del peccato occasionale) quale quella di vivere more uxorio con la propria concubina (o il proprio concubino).
Ovviamente non sto parlando di quelli che – per non creare disagi in altre persone (figli, o altre situazioni particolari) – continuano a convivere, ma comportandosi «come fratello e sorella» e dichiarando questo loro proponimento al confessore, come insegnano alcuni documenti dell’autentico Magistero, e non quello “aperto alle istanze del mondo” (“mondo” in senso biblico).
Prego ancora una volta: non spostiamo la questione dal peccato al peccatore, altrimenti si continuerà a poggiarla sul sentimentalismo, che al contrario dei (buoni) sentimenti fa molti danni perché camuffa la vera sostanza del problema, e nessun aiuto potrà dare a coloro che si trovano in queste dolorose situazioni. Anzi…(“medico pietoso fa la piaga cancrenosa”. Ah! La vecchia saggezza popolare, ormai persa quasi del tutto!).
@Lucior
“convivere more uxorio dopo aver sciolto il Matrimonio sacramentale (mi correggo: per la Chiesa, è quindi per noi, quel matrimonio resta valido, è ancore in essere) è una condizione permanente di peccato e quindi – a prescindere dalla persona, che sia Antonio o Giovanni, Maria o Caterina – non può portare ad essere in grazia di Dio, nemmeno temporaneamente).”
L’errore è questo, perché essere in Grazia dipende dall’imputabilità e colpevolezza personale, quindi una persona può essere in Grazia anche in tale situazione.
Cito le parole dei cardinali dei dubia
Nella Dichiarazione del 24 giugno del 2000 il Pontificio consiglio per i testi legislativi mirava a chiarire il canone 915 del Codice di Diritto Canonico, che afferma che quanti “ostinatamente persistono in peccato grave manifesto, non devono essere ammessi alla Santa Comunione”. La Dichiarazione del Pontificio consiglio afferma che questo canone è applicabile anche ai fedeli che sono divorziati e risposati civilmente. Essa chiarisce che il “peccato grave” dev’essere compreso oggettivamente, dato che il ministro dell’Eucarestia non ha mezzi per giudicare l’imputabilità soggettiva della persona.
Così, per la Dichiarazione, la questione dell’ammissione ai sacramenti riguarda il giudizio della situazione di vita oggettiva della persona e NON IL GIUDIZIO CHE QUESTA PERSONA SI TROVA IN STATO DI PECCATO MORTALEInfatti soggettivamente potrebbe non essere pienamente imputabile, o non esserlo per nulla.
Lungo la stessa linea, nella sua enciclica “Ecclesia de Eucharistia”, n. 37, San Giovanni Paolo II ricorda che “il giudizio sullo stato di grazia di una persona riguarda ovviamente solo la persona coinvolta, dal momento che è questione di esaminare la coscienza”. Quindi, la distinzione riferita da “Amoris laetitia” tra la situazione soggettiva di peccato mortale e la situazione oggettiva di peccato grave è ben stabilita nell’insegnamento della Chiesa.“
E
“La questione 3 dei “dubia” vorrebbe così chiarire se, anche dopo “Amoris laetitia”, è ancora possibile dire che le persone che abitualmente vivono in contraddizione al comandamento della legge di Dio vivono in oggettiva situazione di grave peccato abituale, anche se, per qualche ragione, NON È CERTO CHE ESSI SIANO SOGGETTIVAMENTE IMPUTABILI PER LA LORO ABITUALE TRASGRESSIONE”.
http://www.lanuovabq.it/it/i-quattro-cardinali-spiegano-i-dubia
Sono i cardinali dei dubia stessi, nella loro spiegazione, a confermare quanto da me detto e a sottolineare che la Comunione a queste persone va si negata, ma non per le ragioni che molti si ostinano caparbiamente ad addurre qui.
Se non le basta manco questo Amen.
AL n. 351: qual’è la Ratio? Serve capire la Ratio… Ovvero rispondere ai Dubia! Padre Cavalcoli ha tutta la mia stima.