CESARE BARONIO RISPONDE A PADRE CAVALCOLI. I NEMICI DI DIO SONO PENETRATI NEL SENO DELLA CHIESA. CON ASTUZIA.
4 Dicembre 2018
Marco Tosatti
Il dialogo a distanza fra padre Giovanni Cavalcoli e Cesare Baronio si arricchisce di un altro capitolo. Questa volta, a stretto giro di posta, il nostro Eminentissimus risponde al teologo domenicano. A entrambi va naturalmente la gratitudine di Stilum Curiae; non abbiamo gli strumenti per inserirci in questa conversazione, ma siamo in grado di apprezzarne profondità e finezza. Buona lettura.
Caro e reverendo Padre,
†
UT IN OMNIBUS HONORIFICETUR DEUS
con viva gioia ho letto la Sua risposta, per la quale desidero ringraziarLa. Questa disputa ci vede impegnati su fronti opposti su alcuni punti che spero possiamo entrambi contribuire a chiarire, specialmente a vantaggio dei nostri Lettori; nondimeno, mi consola vedere che Ella ha a cuore il bene della Chiesa, nei cui confronti si percepisce un sincero amore filiale. Credo tuttavia che questo amore si trovi messo a dura prova dall’infedeltà di molti i quali, costituiti in autorità, si adoperano per oscurare lo splendore della Sposa dell’Agnello, sostituendole un’immagine posticcia e disonorevole. Su questo credo che anch’Ella non possa dissentire: mai come oggi la Signora delle genti appare in molti dei suoi Ministri umiliata e negletta.
Dev’esser fonte di grande sofferenza anche per Lei, reverendo Padre, assistere allo scempio; specialmente quando chi ne è responsabile adduce a giustificazione delle proprie azioni quelle stesse fonti e quegli stessi documenti – primi tra tutti, gli atti conciliari – cui Ella attinge per confutarli. E non è il solo: molti pii Ecclesiastici, ed anche alcuni studiosi laici, si sono cimentati nell’arduo tentativo di mostrare l’assoluta ortodossia dei documenti del Vaticano II e del Magistero ad esso ispirato, inclusa la riforma liturgica.
Non è questa la sede per affrontare una discussione interminabile, che comunque ci porterebbe fuori strada. A mio parere, non è tanto in causa l’ortodossia del Concilio nei suoi testi; né la presunta distorsione che di quel Concilio si sarebbe fatta nel cosiddetto postconcilio; né la possibile interpretazione cattolica di testi che, per la loro equivocità oggettiva, inducono i Novatori ad interpretarli in senso non cattolico.
Va pur detto che nessun Concilio precedente al Vaticano II venne messo in discussione per la sua ortodossia, né prestò il fianco ad interpretazioni eterodosse, giacché alla formulazione della parte discorsiva, pur chiarissima, si affiancavano sempre canoni a condanna degli errori che si opponevano alle verità definite. E mai, nella storia della Chiesa, un Concilio Ecumenico ebbe un postconcilio che ne stravolgesse il magistero.
Se questo è avvenuto solo per il Vaticano II, ci dovremmo interrogare se i Sacri Pastori si siano resi docili al soffio dello Spirito Santo, o se piuttosto il Paraclito non sia dovuto intervenire quasi contro la loro volontà, impedendo che la Chiesa docente formulasse proposizioni inequivocabilmente eretiche. A quell’intervento divino dobbiamo forse attribuire la Nota praevia che corresse una sentenza eretica in Lumen Gentium. Ma Ella riconoscerà quanto sia inaudito che un solenne documento magisteriale necessiti di una correzione ex post, peraltro considerata dai Novatori come un cedimento di Paolo VI all’ala conservatrice dei Padri, quindi trascurabile da parte degli esperti. Queste mie
osservazioni da una parte confermano l’intervento della divina Provvidenza, ma allo stesso tempo sono prova di una oggettiva problematicità del Concilio Vaticano II; una problematicità che, come dicevo poc’anzi, non ha mai riguardato alcun Concilio precedente. É quindi evidente che, se l’assise in cui venne concepita la riforma liturgica si presta ad un’interpretazione eterodossa, come dimostrano le argomentazioni dei Neomodernisti, non stupisce che anche il Novus Ordo stesso sia informato ad analoga equivocità. Il quale Novus Ordo, per sola grazia di Dio ed in virtù delle promesse del Salvatore, ha mantenuto quegli elementi sostanziali che permettono di considerare la Messa montiniana pienamente valida. Ma la validità di una Messa – come ho scritto nel mio intervento precedente – garantisce alla Santa Chiesa di mantenere il Sacrificio Eucaristico e trasmettere ai fedeli la Grazia, ma non toglie minimamente quel suo peccato d’origine che grava su di essa, specialmente se la si confronta con il rito antico.
L’errore in cui molti, animati da sincero amore per la Chiesa, sono incorsi ed incorrono ancor oggi è il non voler comprendere la realtà, limitandosi nella loro analisi degli atti magisteriali – e la Liturgia è uno di questi – all’aspetto meramente giuridico-canonico. Io stesso, in tempi ormai remoti, dinanzi al sovvertimento generale della Chiesa, non potei credere che il Signore avesse abbandonato il Suo gregge, né che i Sacri Pastori fossero diventati tutti, indistintamente lupi rapaci. E così cercai di dimostrare – anzitutto a me stesso – che il Vaticano II, se interpretato secondo le regole generali proprie alla dottrina cattolica, non contenevano alcunché di eretico. Altrettanto fecero, con risultati certamente più autorevoli ed argomentati, non pochi eruditi. Ed è proprio così, infatti: poiché è regula fidei che una proposizione equivoca debba esser letta in senso cattolico, in ragione dell’analogia fidei ed alla luce delle fonti, ossia della Sacra Scrittura e della Tradizione. Quindi ciò che il Concilio dice riguardo alla libertà religiosa andrebbe interpretato coerentemente con la Mortalium animos, ad esempio. Ma quello che in punta di diritto tranquillizza il teologo o il canonista, dimostrandogli che la Santa Chiesa non erra nel proprio Magistero, è vanificato e contraddetto dalla prassi comune di chi sistematicamente – e senza alcuna correzione da parte dell’Autorità suprema – considera laMortalium animos e la condanna dell’indifferentismo religioso da parte del Magistero preconciliare chiaramente superate dalla Dignitatis humanae, giungendo a veder realizzato nella pratica quello che la Mortalium animos esplicitamente condanna e che l’interpretazione più ovvia del documento conciliare viceversa pare autorizzare.
Poco importa che si ricordi che l’ecumenismo, così com’è praticato oggi, sia condannato senza appello dalla Chiesa: solo pochi anni prima del Concilio, la Suprema Sacra Congregazione del Sant’Ufficio raccomandava: «La dottrina cattolica dovrà dunque essere proposta ed esposta totalmente ed integralmente: non si dovrà affatto passare sotto silenzio o coprire con parole ambigue ciò che la verità cattolica insegna sulla vera natura e sui mezzi di giustificazione, sulla costituzione della Chiesa, sul primato di giurisdizione del Romano Pontefice, sull’unica vera unione che si compie col ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo. Si insegni loro che essi, ritornando alla Chiesa, nessuna parte del bene che, per grazia di Dio, è finora nato in loro, ma che col loro ritorno questo bene sarà piuttosto
completato e perfezionato. Non bisogna però parlare di questo argomento in modo tale che essi abbiano a credere di portare alla Chiesa, col loro ritorno, un elemento essenziale che ad essa sarebbe mancato fino al presente» (Istruzione Ecclesia Catholica agli Ordinari diocesani, sul Movimento ecumenico, 20 Dicembre 1949).
Eppure, in nome del Concilio abbiamo visto sacrificare agl’idoli nelle chiese di Assisi; in nome del Concilio il Vicario di Cristo si è fatto segnare col sigillo di Shiva in fronte; in nome del Concilio abbiamo visto dei Vescovi offrire libagioni ai demoni, e padre Sosa Abascal pregare dinanzi al simulacro del Buddha. Ora, se l’interpretazione del Concilio secondo cui la Chiesa approva la communicatio in sacris con gli acattolici fosse condannata dall’Autorità suprema, si potrebbe affermare che effettivamente, al di là dell’equivocità oggettiva del testo, la mens dell’estensore è stata affermata e difesa in senso cattolico, con la relativa condanna degli errori opposti, e la punizione di chi quegli errori pervicacemente abbraccia. Ma ciò non solo non è avvenuto, bensì ha trovato tra i più strenui sostenitori dell’interpretazione eretica gli stessi Pontefici, ad iniziare dagli abbracci di Paolo VI con lo scismatico Atenagora, per continuare con l’empio incontro di Assisi voluto da Giovanni Paolo II, puntualmente ripetuto da Benedetto XVI. Senza ricordare le celebrazioni di funzioni liturgiche con ministri di culto eretici: anglicani, luterani, valdesi, calvinisti ed eterodossi d’Oriente. L’attuale Pontefice ha anche avuto modo di spiegare diffusamente il proprio pensiero in occasione della visita al tempo valdese in Roma, fornendo ad un’azione scandalosa e gravissima ex se anche una base ideologica: la predicazione della Chiesa volta alla conversione, secondo Bergoglio, sarebbe «il veleno più forte contro l’ecumenismo», ed il proselitismo «una solenne schiocchezza». La qual cosa è poi teorizzata dallo stesso Ratzinger, che ha recentemente respinto come «supidaggini grottesche» anche solo il poter ipotizzare che la Chiesa voglia convertire gli Ebrei e pregare perché riconoscano ch’Egli è il Figlio di Dio ed il Messia promesso nell’Antico Testamento.
Così, il pio teologo si rassicura affermando che il Concilio non è eretico, mentre il suo Superiore lo invita all’incontro di preghiera dove un muftì canta dal pulpito di una chiesa cattolica i versetti del Corano, o durante il quale un pastore luterano comunica i proprj fedeli usando le stesse specie che il sacerdote cattolico ha appena consacrato. E lo stesso pio teologo, che guarda a Roma come ad un faro di Verità, potrà ricevere dalla loggia di San Pietro la benedizione del Papa assieme a quella di un laico vestito da Arcivescovo; e potrà assistere alla Cappella Papale per la solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, alla quale partecipano degli scismatici, per compiacere i quali il Simbolo Niceno- Costantinopolitano è stato sostituito con il Simbolo degli Apostoli. E il pio teologo potrà affermare che il Credo apostolico non è eretico – ci mancherebbe! – ma non mi persuaderà mai che l’omissione del Credo in cui si afferma esplicitamente che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio – qui ex Patre Filioque procedit – non sia stata voluta per non offendere coloro che negano il Filioque. Poco importa se si offende la Divina Maestà, negandoLe la professione di fede per rispetti umani: la forma è salva, la Messa
non è eretica e non è eretico nemmeno l’augusto celebrante che ha approvato e voluto questa censura, in nome dell’ecumenismo conciliare.
Ecco l’errore, reverendo Padre: considerare il Concilio come un atto giuridico-canonico, valutandolo secondo i parametri e ricorrendo agli strumenti di interpretazione proprj alla Chiesa Cattolica, quando in realtà il Concilio è stato pensato, diretto e condotto a termine usando i sistemi ed i mezzi della Rivoluzione, ad iniziare dall’abile gestione del voto nelle Commissioni, che ha trovato del tutto impreparata la maggioranza dei Padri.Sulla carta, esso rimane un Concilio cattolico, anche se per farlo bisogna stiracchiarne il contenuto e costringerlo a forza all’interno dell’ortodossia; ma in realtà l’effetto che esso ha avuto ed ha tuttora è contrario alla dottrina e, guardacaso, perfettamente coerente con l’interpretazione più ovvia dei suoi testi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: chi è ortodosso si sente l’animo in pace perché può dimostrare che la Chiesa non erra; chi è eretico continua implacabile a diffondere i proprj errori, non solo senza alcuna correzione da parte dell’Autorità suprema, ma addirittura con il suo attivo incoraggiamento e partecipazione. E quel che è peggio è che, mettendosi in pace la coscienza con la mera constatazione che la Chiesa non erra nei suoi atti magisteriali, i buoni non combattono più, o lo fanno con armi spuntate, mentre i malvagj sono lasciati liberi di agire impunemente, con grave danno per le anime.
Se mi permette una similitudine, il Suo atteggiamento – e quello di molti altri confratelli – fa pensare ad un cavaliere che crede di dover affrontare in duello un nemico che rispetti le regole della cavalleria, mentre dall’alto un drone silenzioso gli sgancia delle bombe addosso. Giacché le regole, per il Neomodernista, sono utili solo se servono per il proprio scopo, mentre si possono violare ed ignorare impunemente se questo è strumentale al perseguimento del fine. Così si può scomunicare il vescovo ribelle che rifiuta il Concilio, ma allo stesso tempo imporre la berretta cardinalizia ad un teologo eretico; si può commissariare una Congregazione religiosa sulla base di accuse infondate, ma nominare l’idolatra padre Sosa Abascal quale Preposito generale dei Gesuiti, o mons. Rodriguez Carballo segretario della Congregazione dei Religiosi, dopo il disastro economico in cui ha lasciato l’Ordine dei Frati Minori quand’era Ministro Generale. O sospendere a divinis un domenicano che ha detto nientemeno che il terremoto è un castigo divino, ma lasciare al suo posto un confratello che bestemmia la Ss.ma Eucaristia. O costringere alle dimissioni il Gran Maestro del Sovrano Ordine di Malta, ed imporre con metodi staliniani il reinsediamento dell’Ospedaliere che ha distribuito preservativi. E tutto avviene potendo contare sull’obbedienza dei buoni, i quali non si capacitano che l’Autorità possa abusare del proprio potere, per conseguire scopi intrinsecamente perversi.
Il problema di fondo è che la Gerarchia, pur dandosi come ogni società perfetta delle leggi coerenti con il fine della Chiesa, non può limitarsi ad una farisaica osservanza dei precetti: essa non sarà giudicata da Dio sulla base del Diritto Canonico, ma sull’esser stata essa fedele custode del gregge affidatole dal Signore. Perder di vista lo scopo
principale della Chiesa, in nome di una speculazione astratta, ricorda il comportamento del servo che, avendo ricevuto un talento dal suo padrone, glielo restituisce dicendo: «Abscondi talentum tuum in terra: ecce habes quod tuum est» (Mt XXV, 25). Il servo buono e fedele deve moltiplicare i talenti ricevuti, per non sentirsi ammonire dal padrone: «Serve male, et piger», ed esser gettato nelle tenebre esteriori, dov’è pianto e stridor di denti. Duole riconoscere che troppo spesso quel talento non solo non è stato investito perché rendesse, ma è stato dilapidato o gettato nel fango.
L’atteggiamento di chi copre con una coltre di correttezza legale le nefandezze della setta conciliare non ha nulla a che vedere con la pietas dei figli di un Noé ebbro e discinto, ma con quel «Vos videbitis» con cui Pilato, avendo demandato al popolo sobillato dal Sinedrio la scelta di chi condannare tra Cristo e Barabba, rispettò la legge ma mandò a morte il Salvatore. Né servirà, dinanzi al Tribunale di Dio, ripetere le parole del Prefetto della Giudea: «Innocens ego sum a sanguine justi hujus».
Quindi, per riassumere: le mie osservazioni sul Concilio e sulla Nuova Messa non vertono sull’aspetto giuridico-canonico né dell’uno né dell’altra: chi ha concepito quello e questa sapeva benissimo che non avrebbe ottenuto il proprio scopo proclamando apertis verbis una dottrina palesemente eretica. Ciò che cerco di far comprendere a chi mi legge – e a Lei, reverendo Padre – è che ci troviamo in una situazione di crisi gravissima, nella quale i nemici di Dio sono penetrati in seno alla Chiesa, oscurandola, eclissandone l’insegnamento, e soprattutto usando con astuzia luciferina la sua struttura, le sue leggi ed i suoi Ministri per demolirla dall’interno. La Chiesa rimane santa e continua a non errare: lo sappiamo e sarebbe blasfemo affermare il contrario; ma i suoi membri costituiti in autorità, coloro che sono insediati nella Gerarchia, o sono nemici dichiarati, o cooperano per pavidità e per interesse, o tacciono colpevolmente. E l’hanno fatto sin dal Concilio, prima respingendo gli schemi preparatorj che l’Episcopato mondiale aveva contribuito a redigere e che la Curia Romana aveva predisposto; poi manovrando con metodi dolosi le Commissioni; quindi ottenendo l’approvazione dal Papa e dai Padri; infine, imponendo una lettura eterodossa del Concilio senza alcuna condanna efficace da parte dell’Autorità suprema.
La Messa riformata riassume perfettamente questo disegno criminoso. Formalmente ineccepibile, farisaicamente ortodossa, come tutto ciò che è frutto del Nemico; ma abilmente concepita per mostrarsi nella sua componente eversiva non appena divenuta di uso comune. Rimane una Messa, ma non lo è più. Certo, vi si compie il Santo Sacrificio, se chi celebra lo fa con l’intenzione, usando la materia del pane e del vino e ripetendo la formula consacratoria essenziale ad validitatem. Infatti il chierico cui in Seminario si insegna che la consacrazione è una formula magica, o che non è corretto parlare di transustanziazione ma di transignificazione; il sacerdote che ad una lezione di un teologo progressista si sente dire che la Messa è un banchetto dell’assemblea in cui i fedeli sono tutti celebranti in virtù del sacerdozio comune; il prete che usa biscotti e succo d’uva, o che pensa che la Cena luterana sia la stessa cosa della Messa cattolica, non compie il
sacrificio. Ma questo avviene, ed avviene – guardacaso – solo da quando esiste il Novus Ordo. E quel che ho visto in Germania negli anni Ottanta – ad esempio il parroco di Heidelberg che concelebrava abitualmente col pastore luterano e «consacrava» ostie lievitate col miele – oggi si vede anche in Italia, nelle chiese delle grandi città come nelle pievi, appena il vecchio parroco è sostituito dal pretino che ha studiato a Roma o ha conseguito la licenza in un Istituto di Scienze Religiose.
Ed anche se la Messa rimane valida – cosa che dobbiamo sperare avvenga nella maggior parte dei casi – il messaggio ch’essa veicola è completamente diverso da quello dell’antico rito. Anche qui, proprio come per il Concilio, non ci si deve fermare all’aspetto tecnico, ma guardare quel che succede nella realtà delle comunità ecclesiali; vedere lo stato di abissale ignoranza in cui versano i fedeli a causa dell’istituzionale rinuncia ad insegnare la dottrina e la morale; guardare con quale abbigliamento e quale irriverenza essi si accostino all’altare per comunicarsi; chieder loro se si siano confessati prima di ricevere il Corpo del Signore. E constatare quale sia l’atteggiamento del Clero all’altare, che da solo sconfessa ogni velleitaria difesa del rito montiniano.
Il disastro appare nella sua devastante realtà, e come risponde la Gerarchia? Di fatto revocando la scomunica ai divorziati, grazie ad Amoris laetitia; autorizzando la Comunione nella mano, proprio quando nei fedeli – e nel Clero stesso – è messa in dubbio la Presenza Reale così come la intende la Chiesa; sommergendoli di letture veterotestamentarie, quando non conoscono nemmeno le beatitudini o le parabole; parlando di accoglienza, mentre siamo invasi dal Turco. E quel Turco, a differenza degli eunuchi romani, non ha avuto un Concilio: egli considera il Corano un testo sacro, crede che la sua religione sia l’unica vera, ed è disposto a morire per essa. Noi lo consideriamo un fanatico, ma a ben vedere è solo coerente col credo che professa, ancorché falso. Mentre noi Cattolici, che abbiamo la grazia incommensurabile di esser figli di Dio e membri dell’unica Chiesa di Cristo, ci sentiamo ripetere sin dal più alto Soglio che la coerenza con la propria fede è dogmatismo, formalismo, ipocrisia. Che si salvano tutti, ad eccezione dei buoni Cristiani. Che l’Islam è religione di pace, che Lutero era un’anima bella, che gli Ebrei custodiscono la Parola di Dio e che la Bonino è una donna formidabile. Che Giuda non era un traditore.
Questo processo di dissoluzione non è iniziato col Concilio, sia chiaro: esso rimonta a decenni prima, quando gli stessi che poi troveremo come consultori nella Commissione per la Sacra Liturgia iniziavano a girare gli altari, ad usare i paramenti gotici al posto della pianeta romana. Ed era tutto perfettamente ortodosso, si capisce: compresa la Settimana Santa riformata sotto Pio XII e la riforma delle rubriche del Messale e del Breviario sotto Giovanni XXIII. Tutto perfetto, inappuntabile, proprio come la CostituzioneSacrosanctum Concilium. Ma chi oserebbe negare che metter mano alla forma della Messa, sopprimere certe preghiere, togliere le profezie alla Veglia pasquale, far recitare ilPater noster da tutti i fedeli avrebbe poi ineluttabilmente condotto – col senno di poi – a
quel che vediamo oggi nelle nostre chiese? Anche qui: non si può guardare l’aspetto formale perdendo di vista la mens che vi sta dietro.
Concordo con Lei che anche la Missa sine populo si rivolge alla Chiesa militante, purgante e trionfante: lo dice la dottrina cattolica. Ma chieda, padre Giovanni, chieda ad un sacerdote se celebra la Messa quotidiana se non ha fedeli: Le dirà che non ha senso, che preferisce concelebrare con i confratelli invece di offrire il Santo Sacrificio da solo. Perchédi fatto egli nega ciò che pur la Chiesa afferma. E nega implicitamente che si renda gloria a Dio in modo più efficace con la celebrazione di tante Messe private piuttosto che con una concelebrazione di molti sacerdoti, che è e rimane un Sacrificio del solo celebrante principale, e che sulla carta spiega chiaramente che le offerte che il sacerdote percepisce dal fedele non si applicano alla concelebrazione: ma quanti di loro ricevono l’offerta per dieci messe e leggono i nomi dei defunti ad una Messa sola, o ne fanno memoria tra sé, mentre se ne stanno comodamente in parte con la stola?
Lo stesso avviene per l’amministrazione della Comunione: provi a mandare un laico da un parroco qualsiasi, domandandogli di comunicarlo. Gli dirà di aspettare la Messa, adducendo mille scuse e mille ragioni, ma di fatto facendo comprendere che considera presente il Corpo di Cristo solo limitatamente alla celebrazione, e non perdurante anche dopo. La forma è salva: esiste anche il rituale riformato per l’amministrazione della Comunione fuori dalla Messa (anche se le assomiglia molto); ma posso garantirLe che nella quasi totalità delle chiese nessun sacerdote comunicherebbe un fedele senza che partecipi all’Eucaristia.
Quanto all’uso di spostare il tabernacolo in una zona appartata per favorire l’adorazione ed il raccoglimento, questa è certamente una cosa lodevole, a giudicarla imparzialmente. Ma nella liturgia cattolica croce, tabernacolo, sacerdote e altare si trovano tutti nello stesso punto: Nostro Signore presente realmente nel Ss.mo Sacramento, presente in immagine nel crocifisso, presente nel Suo ministro che agisce in persona Christi e presente nell’altare, che simboleggia Cristo. Nella liturgia riformata la croce è spostata su un lato (salvo rarissimi casi), il tabernacolo è confinato in un angolo, l’altare di pietra è quasi ovunque un tavolo e il sacerdote vaga per il presbiterio quasi tutto il tempo della celebrazione. Nessun documento nega espressamente la Presenza Reale, per carità: ma autorizza pratiche che nei fatti la negano o la sminuiscono. Provi a guardare quanti sacerdoti genuflettono entrando o uscendo di chiesa, o anche solo passando dinanzi all’altare; guardi in quante chiese si celebra dando le spalle al tabernacolo e alla croce.
La liturgia riformata proibisce espressamente la celebrazione della Messa coram Sanctissimo, mentre essa è prevista nella liturgia tradizionale. E non troverà nessun’eresia nel documento che impone questa prassi, ma comprenderà che mentre nel rito antico si voleva ribadire il dogma secondo il quale Nostro Signore è presente tanto nel Ss.mo Sacramento esposto sull’altare quanto nelle specie consacrate sul corporale, proprio contro l’errore protestante; nel nuovo rito si induce a credere che non abbia senso offrire
il Santo Sacrificio davanti alla Vittima divina. E questo perché? Perché si vuol metter l’attenzione sull’aspetto comunitario della celebrazione. E se chiede ad un prete qualsiasi il motivo di questa norma, Le elencherà tutte le obiezioni dei luterani, non una esclusa, che gli hanno insegnato in Seminario. Peccato che in quello stesso Seminario non gli abbiano spiegato con altrettanta sollecitudine ciò che insegnava abitualmente la Chiesa fino al famigerato Concilio.
La stessa cosa vale per le Messe celebrate contemporaneamente, che una volta erano prassi non solo per il gran numero di fedeli e di sacerdoti, ma anche perché la concelebrazione era limitata al rito dell’Ordinazione. La norma generale attualmente in vigore le proibisce categoricamente, ed anzi proibisce pure l’erezione degli altari laterali, ordinando che quelli esistenti siano lasciati spogli e che le nuove chiese abbiano un solo altare. La giustificazione è ovviamente ineccepibile: per focalizzare l’attenzione dei fedeli sulla celebrazione, che dev’essere unica come una è l’assemblea. Ma nei fatti ciò che si nega è il dogma secondo cui più Messe si celebrano, più si rende gloria a Dio e maggiori sono i frutti di Grazie che ne derivano alla Chiesa ed ai fedeli. E non lo si nega ufficialmente, non sia mai: si insinua l’idea, si indica la strada, si creano le premesse, in modo che il messaggio giunga a destinazione senza formalmente infrangere alcuna norma, né pronunciare alcuna eresia. Ma se chiede lumi ad un qualsiasi sacerdote, avrà conferma che invariabilmente, all’omissione di una verità di fede, corriponde la diffusione dell’errore ad essa opposto. Eppure non vi è nulla di più cattolico che veder celebrare più Messe in una stessa chiesa, la qual cosa non solo ha un valore altamente dottrinale, ma risponde anche all’esigenza pratica del fedele, il quale può assistere al Santo Sacrificio più volte, con tutti i beneficj spirituali che ne derivano.
Ella scrive: «La Chiesa cattolica è sempre apostolica. Per questo, se decide una riforma del rito della Messa, lo fa sempre con la sua autorità apostolica. E se un Concilio ecumenico decide una riforma della Messa, non lo farà evidentemente per far fare alla Chiesa un passo indietro, ma un passo avanti. Altrimenti, che senso ha una riforma?»
Me lo chiedo anch’io: che senso ha una riforma che rappresenta un passo indietro? Sono perfettamente d’accordo con Lei, ma mi pare che Ella sposti l’attenzione sul dato teorico, senza voler guardare la realtà. Davvero Ella ritiene che la liturgia riformata rappresenti un progresso rispetto al fervore, alla devozione ed alla vita cristiana quali si potevano osservare nei fedeli di tutto il mondo ad esempio negli anni Cinquanta? Come si può negare che la liturgia – indipendentemente dall’intenzione di chi l’ha approvata – abbia dato frutti più copiosi nel Clero e nel popolo cristiano, quando le chiese che sino a ieri erano piene di fedeli hanno iniziato a svuotarsi proprio in concomitanza con la promulgazione del Novus Ordo? quando i Conventi ed i Seminarj hanno subito un decremento impressionante di vocazioni appena la nuova liturgia vi è stata imposta? quando la frequenza ai Sacramenti è precipitata ai minimi storici in tutti i paesi, indipendentemente dalle vicende delle nazioni, ma solo come conseguenza della crisi
conciliare? Dov’è questa fantomatica primavera, in nome della quale si costruirono enormi seminarj, rimasti quasi immediatamente vuoti?
Riformare significa ridare la forma originale. Si riforma qualcosa che è deformato. Così il Tridentino riformò il Clero, la cui condotta si era rilassata e la cui disciplina necessitava di una severa correzione. San Pio V – e prima di lui san Gregorio Magno – riformarono la Messa perché in tutto l’orbe cattolico vi fosse un unico rito romano; la Chiesa riformò anche i riti proprj agli Ordini religiosi, come ad esempio quello domenicano, affinché ciò che in essi era peculiare fosse conservato e, dove necessario, marginalmente semplificato. Quindi, niente da dire sulla teorica possibilità che la Chiesa, com’è suo sovrano diritto, promulghi una nuova edizione del Messale, del Breviario o di qualsiasi altro libro liturgico. Ciò che invece contesto – e non sono il solo, ovviamente, anzi di sicuro sono il meno autorevole in tale materia – è che quanto affermò il Concilio sia contraddetto nei fatti da ciò che chiunque poteva constatare nel 1970 e che oggi è ancor più chiaro. É pur vero che la Chiesa non voleva fare un passo indietro, e probabilmente non lo voleva nemmeno la maggioranza dei Padri; ma questo passo indietro c’è stato, ed è innegabile che questo sia da attribuirsi al Concilio ed alla riforma liturgica. Non si può cambiare la realtà per adeguarla ad una teoria astratta: non tanto perché la teoria sia falsa – laddove essa riposi sulla solida roccia della dottrina – ma quanto piuttosto perché non sta scritto da nessuna parte che la Gerarchia sia infallibile sempre e comunque, né che il Papa parli sempre ex cathedra, perché ciò ripugna non solo al dogma cattolico, ma anche al buon senso.
Il Papa dovrebbe parlare sempre come Padre comune del popolo cristiano; la Gerarchiadovrebbe aver sempre a cuore la salute eterna delle anime; i sacerdoti dovrebbero esser casti e pii e spirituali. Ma nella storia della Chiesa vi furono casi in cui un Papa insegnò o aderì a dottrine eretiche e fu condannato, senza per questo far venir meno la promessa di infallibiltà fatta da Cristo a San Pietro ed ai suoi Successori; e quante volte vi furono Vescovi eretici, sacerdoti sacrileghi, chierici simoniaci, intere nazioni in cui l’alto Clero scendeva a compromessi con il potere civile o si alleava con gli eretici? Chi formulò le tesi eretiche del Conciliabolo di Pistoia, se non Vescovi e Prelati? Quanti Presuli aderirono all’eresia luterana, quanti religiosi abbracciarono lo scisma anglicano? Non era Giuda un apostolo? Non tradì Cristo anche Pietro, rinnegandoLo per tre volte?
E non credo di doverLe ricordare che la possibilità che vi sia un Papa eretico fu studiata e dibattuta da illustri dottori e canonisti e teologi, senza che questi mettessero in dubbio la divina missione della Chiesa o l’infallibilità papale. Anzi: è proprio perché il Cattolico è estremamente realista che riesce a distinguere tra la santità della Sposa di Cristo e l’indegnità dei suoi Ministri, così come distingue tra il Sommo Pontefice e colui che ne ricopre il ruolo. Così non posso non dissentire quand’Ella sostiene: «Il Papa non può peccare contro la fede, perché gode dell’assistenza che Cristo ha concesso a Pietro: confirma fratres tuos. Il Concilio Vaticano I non dice «solo» ex cathedra, ma semplicemente «ex cathedra», come dire che il Papa, quando ci insegna il Vangelo, non sbaglia e non fa sbagliare,
anche se concede un’intervista in aereo o trasmette un twitter. «Dottore privato» non vuol dire che può dire eresie, ma che si tratta di opinioni personali, sempre, s’intende, nell’ambito dell’ortodossia. Un Papa può esprimere errori storici, scientifici o filosofici, ma non può insegnare eresie. Papa Francesco sembra a volte eretico per l’ambiguità o equivocità o avventatezza o imprudenza di certe sue espressioni. Ma se ci sforziamo di fare un’interpretazione benevola, ci accorgeremo che non sbaglia e non ci inganna».
Io contesto fermamente l’affermazione di una assoluta infallibilità papale, non limitata né dall’intenzione esplicita di insegnare, né dalla coerenza dell’insegnamento proposto con la Sacra Scrittura e la Sacra Tradizione. Inutile dilungarmi: questa è una tesi erronea, insostenibile ed eretica. E mi permetto di farLe notare, reverendo Padre, che sostenere che il Papa parli sempre nell’ambito dell’ortodossia ci conduce alla conclusione che, nel caso affermi incontestabilmente vere e proprie eresie – non potendo egli errare in materia di fede nemmeno mentre parla con la Bonino o Scalfari – l’unica alternativa è che egli non sia Papa, la qual cosa risolve certamente il problema, ma autorizza a ritenere di essere in Sede Vacante almeno da tre Pontificati. Le ricordo che Benedetto XVI ha formulato proposizioni materialmente eretiche in Introduzione al Cristianesimo, e che l’ha fatto con la competenza del teologo e con la consapevolezza di quel che diceva, a differenza delleboutades di Bergoglio. Se veramente si dovesse accettare che un Papa non può errare nemmeno come dottore privato, se ne ricaverebbe che sul Soglio di Pietro è stato posto un antipapa, con la conseguenza che la Chiesa sarebbe stata privata per anni di una guida visibile. Questa è papolatria, superstizione papista, quale appare nella peggior letteratura anticattolica.
Ma torniamo alle Sue argomentazioni.
Riferendomi alla modifica ex post dell’art. 7 dell’Institutio Generalis, palesemente eretica o quantomeno favens haeresim, la definivo «un’operazione che suona come un maldestro tentativo di mantenere in vita un monstrum liturgicum con una specie di sanatio in radicepiù che discutibile». Ella risponde dicendo che «Non si tratta di nessuna sanatio in radice, perché la radice è sana». Ma la sanatio riguarda l’art. 7, che esplicita la mens giuridica del nuovo rito. Il legislatore definiva la Messa in senso non cattolico, o non prettamente cattolico, al punto che gli stessi luterani affermarono, alla promulgazione del rito, chefinalmente esso poteva essere usato anche da loro, che pur negano tutti i dogmi riguardanti la Messa. Sulla base di quella definizione fu redatto l’Ordo Missae, effetto immediato della mens del legislatore. Se ad un anno di distanza si modificò sostanzialmente l’art. 7, coerenza avrebbe voluto che si cambiasse anche il rito che ne è scaturito. Che la Messa sia rimasta valida, non toglie il dato di fatto: semmai conferma che, nonostante il legislatore avesse promulgato la prima Editio typica, la Provvidenza si è degnata di garantire quegli elementi indispensabili ad validitatem. E sappiamo, come Ella giustamente ricorda, che i frutti copiosi del Santo Sacrificio sono indipendenti dalla dignità del ministro celebrante, e direi anche dalle vicissitudini del rito stesso.
Ella osserva: «Il Vetus Ordo, anche se non è più il rito ordinario, non é affatto abolito nella sua sublime bellezza, ma resta come monumento immortale della pietà della Chiesa, frutto di una progressiva evoluzione ideata e realizzata da pastori santi nel corso dei secoli passati». Eppure, se questa nostra disputa si fosse tenuta solo il 6 Luglio 2007 (il giorno prima della promulgazione del Motu Proprio Summorum Pontificum), Ella avrebbe dovuto sostenere esattamente il contrario: poiché Paolo VI, in virtù della sua Autorità Apostolica, dichiarò abolito il venerando rito precedente, obbligando l’intera Chiesa di rito romano ad adeguarsi al Novus Ordo. Dello stesso tenore furono anche i pronunciamenti della Congregazione per il Culto Divino e di altri Dicasteri Romani, che indicarono senza alcuna deroga che la liturgia tridentina era definitivamente soppressa e soppiantata da quella riformata. Tant’è vero che a quella norma si accompagnò immediatamente anche la soppressione del Sacro Suddiaconato (tanto in odio ai soliti eretici), che non avrebbe potuto essere abolito se non si fosse abolita anche la liturgia che quell’Ordine prevedeva, e con specifiche funzioni. Stessa sorte ebbero anche l’Ostiariato, il Lettorato e l’Esorcistato, che assieme al Suddiaconato costituivano un fastidioso intralcio al dialogo ecumenico. Se Ella avesse voluto celebrare la Messa tridentina negli anni Ottanta, avrebbe fatto la fine ch’è toccata a tantissimi sacerdoti: l’ostracismo, il trasferimento o la sospensione a divinis. A quell’epoca, anche solo nominare un versetto dell’antico rito era motivo sufficiente per esser rimossi da qualsiasi incarico pastorale, e non sono leggende di qualche prete rancoroso, ma triste e dolorosissima esperienza di tante anime sacerdotali, morte di crepacuore nel veder come si era ridotta la Chiesa.
E poi, diciamolo una volta per tutte: un vero Cattolico non vive di ricordi, né di nostalgie, che posson servire per consolare i pusillanimi e gli spiriti romantici. Io non ho nessuna nostalgia per il rito medievale, e non ho alcun problema a riconoscere l’autorità della Chiesa nel legiferare in materia liturgica. Ciò che non approvo è veder scientificamente smantellata la liturgia, per sostituirvi un rito spurio che di fatto fa la gioia dei nemici della Chiesa e che, guardacaso, è l’unico che un eretico può celebrare, ad esempio usando laPrex Eucharistica II, ch’è tanto breve ed omissoria da lasciarsi usare anche da un calvinista. Il quale invece inorridisce per il Canone Romano, ed ancor più per quell’Offertorio che il nuovo rito ha sostituito con una preghiera rabbinica. Il sacerdote tridentino offre la vittima immacolata con Abele, il sacerdote conciliare offre il frutto della terra e del lavoro dell’uomo con Caino. Entrambi gli Offertorj non rendono valida o invalida la Messa, ma certo è che il primo esprime quel dogma che il secondo deliberatamente tace; se non lo fa per negarlo, che scopo aveva modificare questa preghiera, e sopprimere il Veni, Sanctificator, che ribadisce il valore sacrificale della Messa? Dov’è il passo avanti rispetto al rito antico?
Così Ella sostiene che «il Novus Ordo non è per nulla gravemente omissorio», salvo contraddirsi affermando: «in esso sono assenti elementi o parti, che, in considerazione della più sobria religiosità moderna e delle esigenze ecumeniche, potevano costituire fattori disturbanti». Ella in pratica conferma che alcuni elementi erano «fattori disturbanti» in ragione delle «esigenze ecumeniche», ossia che per compiacere gli eretici si sia preferito
tacere delle verità dottrinali, sorvolare su alcuni concetti. Strano apostolato, quello della chiesa conciliare: anziché convertire chi sbaglia in una materia tanto delicata, si è preferito lasciarlo nell’errore, ed esporvi allo stesso tempo anche i proprj fedeli. I quali infatti, assieme ai loro preti, non credono quasi più alla dimensione sacrificale della Messa.
E glossa, con un’ingenuità che suscita quasi tenerezza: «Bisogna riconoscere che il rinnovamento dell’architettura sacra, degli arredi sacri, dell’arte e della musica sacra non sempre è stato felice. Ma la colpa non è del Concilio, bensì di infiltrazioni modernistiche». Bonvenuto nel club, reverendo Padre! Le dò una notizia: quelle «infiltrazioni modernistiche» c’erano sin dal Concilio, che si beò di chiamare come consultori tutti quei personaggi discutibilissimi che sino al Pontificato di Roncalli eran stati condannati dal Sant’Uffizio, sospesi dall’insegnamento, cacciati dagli Atenei Pontificj e dai Seminarj. Tutti riammessi bellamente da Giovanni XXIII e da Paolo VI, e non ad insegnare in un seminario sperduto, ma nientemeno che ad orientare e manipolare i più importanti documenti del Vaticano II e, con essi, anche la divina Liturgia. I modernisti non si sono svegliati a Concilio concluso, ma erano all’opera sin dalla sua convocazione, come hanno testimoniato sia i Padri nei loro diarj, sia gli stessi interessati nelle loro corrispondenze, ormai divenute di pubblica ragione.
Parlando poi della Consacrazione, «che il Concilio si è guardato bene dal modificare», devo dissentire. É pur vero che la parte essenziale della Consacrazione non fu modificata; ma essa subì nondimeno due cambiamenti. Il primo consiste nello spostamento delle parole «Mysterum fidei» che, come un’esclamazione, il celebrante pronuncia sul calice: esse furono poste dopo l’Elevazione, prevedendo in risposta l’acclamazione dei fedeli «Mortem tuam annuntiamus Domine, etc.» che appartiene alla liturgia protestante. Faccio inoltre notare che, appena disceso Nostro Signore nelle Specie Eucaristiche, il riferimento escatologico «donec venias» («nell’attesa della tua venuta») è quantomeno pedagogicamente fuori luogo.
La seconda modifica è più sottile ma non meno grave, anche se tale da non cambiare la sostanza. Essa consiste nell’aver mutato la punteggiatura e la stampa tipografica della narrazione dell’Istituzione. Infatti, nell’antico rito il sacerdote inizia con le parole «Qui pridie quam pateretur», rievocando l’Ultima Cena, quando prese il pane nelle Sue mani sante e venerabili, lo spezzò, lo diede ai Suoi discepoli e disse «Accipite, et manducate ex hoc omnes». Ma a questo punto la narrazione finisce, e inizia l’azione sacra, in cui il celebrante non racconta più, ma è egli stesso Cristo. Il Messale Romano indica questo stacco con un punto fermo, e le parole della Consacrazione sono in caratteri molto più grandi. Lo stesso vale per il calice, dove dal «Simili modo» fino all’«Accipite, et bibite ex eo omnes» si torna alla narrazione, mentre le parole della Consacrazione sono di nuovo più grandi, e nettamente separate dalle precedenti e da «Haec quotiescumque feceritis» che seguono. Anche nella gestualità è previsto che il sacerdote si inchini, recitando le parole con la massima reverenza ed attenzione.
Nel rito riformato non sussiste più una distinzione né ortografica né tipografica: le parole del Signore iniziano con «Accipite, et manducate ex hoc omnes» per il pane e «Accipite, et bibite ex eo omnes» per il calice, pur non facendo parte della Consacrazione; e sono nello stesso carattere. In pratica la narrazione che precede e contestualizza l’azione sacra diventa parte integrante dell’azione stessa, esattamente come sostengono i protestanti. Non a caso nel Messale riformato la rubrica indica questo momento come «racconto dell’Istituzione», cosa che conferma ancora una volta la deliberata intenzione di eliminare quei «fattori disturbanti» – per usare le Sue parole – «in considerazione delle esigenze ecumeniche». Tutto questo, ovviamente, non invalida la Messa: ripetiamolo pure per l’ennesima volta; ma induce i semplici – specialmente oggi, che il Canone è recitato ad alta voce – a considerare questa parte della Messa non come la realizzazione del Sacrificio del Calvario, ma come la rievocazione dell’Ultima Cena – la Santa Cena, appunto – che invece, per la dottrina cattolica, fu un’anticipazione del rito del Golgota. Chiariamo il concetto: quando Nostro Signore celebrò la prima Messa, Egli anticipò in modo mistico la Passione che si apprestava a subire l’indomani, proprio come in tutte le Messe che seguirono si rinnova in modo mistico ed incruento il Sacrificio della Croce. Della Croce, non dell’Ultima Cena. E ancora: della Croce, non dell’Ultima Cena.
Il segni di pace, dice Lei: una delle poche cose che, pur essendo facoltativa, è ormai rito obbligato anche alle Messe feriali. A questo proposito mi permetto di farLe notare che l’osculum pacis esisteva anche nella Messa solenne e nei Pontificali, ma anziché limitarsi ad una stretta di mano orizzontale, la pace discendeva dall’altare al celebrante, da questi al diacono, poi al suddiacono, poi ai chierici e infine ai laici. Un gesto certamente più significativo – pacem relinquo vobis: pacem meam do vobis – rispetto alle scomposte pantomine del Novus Ordo.
Ella sostiene che il Vetus Ordo «appariva espressione di un clima ecclesiale superato dalle nuove esigenze liturgiche e pastorali, nonchè dalla nuova ecclesiologia e sacramentaria elaborate dal Concilio Vaticano II». Ohibò! Scopriamo che, pur non essendo cambiato nulla tra ante e post, il Concilio ha «nuove esigenze liturgiche e pastorali», così come ha una «nuova ecclesiologia e sacramentaria». Strano davvero: mai nella storia della Chiesa si è proposto l’insegnamento di un Concilio come «nuovo», ma casomai come perfettamente coerente con l’antico, secondo l’adagio «Nihil est innovandum, nisi quod traditum est». E scopriamo che Ella riconosce che il Vaticano II non solo si è adeguato a nuove esigenze liturgiche e pastorali, ma che ha anche una ecclesiologia ed una sacramentaria sue proprie. Col termine ecclesiologia si intende la dottrina concernente i caratteri fondamentali della Chiesa e con sacramentaria la dottrina concernente i caratteri fondamentali dei Sacramenti: se entrambe le discipline riguardano aspetti fondamentali, cambiando questi, cambia anche l’intero edificio che si basa tanto sulla Chiesa quanto sui Sacramenti. In sostanza, mi sta dicendo che quella che io chiamo setta conciliare è effettivamente un’altra cosa, una cosa nuova e diversa, rispetto alla Chiesa Cattolica. E
che questa entità nata dal Vaticano II si sarebbe data anche una propria liturgia ed una propria pastorale. Se non è questa un’altra religione, mi dica Lei cosa può esserlo.
Concordo nondimeno con Lei, reverendo Padre, sul fatto che non sia opportuno cimentarsi in altri esperimenti di creatività liturgica, cercando di inventare un terzo rito che metta insieme la Messa tridentina con quella montiniana: et erunt novissima pejora prioribus. D’altra parte, è proprio quell’approccio da dottor Frankenstein che ha generato il Novus Ordo, e c’è da auspicare che esso vada scomparendo come avvenne per il rito di Sarum, pur non potendo vantar quello la veneranda vetustà di questo. Lo svuotamento dei Seminarj progressisti, e viceversa l’aumento di vocazioni degli Istituti tradizionali, lasciano sperare che a breve vi saranno pochi nostalgici del rito montiniano, cui la benignità sovrana di un futuro Papa conceda saltuarie celebrazioni nei giorni feriali, a porte chiuse e senza suono di campane, come fece Giovanni Paolo II con l’IndultoEcclesia Dei.
Sorvolerò sulla sciatteria sacrilega di Vescovi in paramenti e mitria che pedalano come mentecatti in presbiterio, e su altre profanazioni degne di un lanzichenecco. Ma l’età e l’esperienza mi portano a precisare che la presunta sciatteria dell’antico rito da parte di alcuni sacerdoti era da addebitarsi solo alla loro debolezza, mentre pare che il nuovo rito non solo tolleri, ma addirittura incoraggi lo scempio: i casi del passato erano rari e di solito confinati a celebrazioni feriali o in parrocchie sperdute; i peggiori orrori di questi ultimi cinquant’anni si sono visti e si vedono ai Pontificali papali, nelle Cattedrali, nei Santuarj: selvaggi discinti che ballano davanti a Giovanni Paolo II nella Basilica Vaticana furono tollerati finchè a dirigere le celebrazioni era l’innominabile omonimo dell’attuale Maestro delle Cerimonie. Ma coi miei occhi, a Lourdes, ho visto il sacrestano tagliare con le forbici l’Ostia Magna per farla entrare nell’ostensorio, appoggiato al banco della sacristia, dove il tabernacolo era costituito da una cassaforte verde senza conopeo e senza lampada eucaristica.
Ella sostiene che «queste gravi profanazioni, che sconfinano nei sacrilegi, sono dei puri e semplici sfacciati tradimenti del Novus Ordo». Di nuovo: se ci si ferma alla forma, alla lettera del rito, concordo con Lei. Ma è evidente che, laddove l’infrazione di una norma non prevedere una pena, e una pena comminata subito e con severità, la norma può considerarsi praticamente nulla. Nullum jus sine poena. Anche i casi recenti di scandali che coinvolgono il Clero sono puniti dal Codice di Diritto Canonico: ma finché i Prefetti scherzano con i Seminaristi chiamandosi con nomignoli femminili; finché nei corridoj delle Romane Congregazioni ci sono personaggj che danno scandalo col proprio comportamento senza che nessuno li mandi a spasso; finché come Direttore di Santa Marta c’è un monsignore dalla reputazione più che compromessa, dire che la Chiesa punisce i sodomiti mi pare quantomeno ridicolo, se non grottesco. Lo stesso si deve dire anche in ambito liturgico: esiste una norma, eppure essa non solo rimane lettera morta, ma era previsto sin dall’inizio che rimanesse tale. Guardi solo quel patetico «Usus linguae latinae in ritibus latinis servetur», che non ha mai trovato applicazione.
Ella mi enumera una serie di figuri che disonorano la Santa Chiesa: «Ma, più in radice, le Messe profanate dipendono da concezioni eretiche della Messa, per le quali se ne nega il carattere di sacrificio, come in Lutero, o si sostiene con Schillebeeckx che anche un laico può dir Messa o si confonde, con il liturgista Andrea Grillo, la transustanziazione con l’impanazione o consustanziazione luterana, o perché si disprezza l’adorazione eucaristica, come fa Hermes Ronchi o perché si paragona la Comunione eucaristica al rapporto sessuale, come fa il Padre Timothy Radcliffe. È chiaro che tutte queste tesi nulla hanno a che vedere col Novus Ordo, ma sono, come Lei dice, un Novus Horror, Messe sataniche, degne del più smaccato esoterismo massonico». Ma Le chiedo: questo Schillebeeckx non ebbe un ruolo ispiratore al Concilio? Non fu tra i fondatori della rivista Concilium assieme a Chenu, Congar, Rahner e Küng? Grillo non è professore di Teologia Sacramentaria e Liturgica all’Ateneo Sant’Anselmo di Roma? Padre Hermes Ronchi non è docente della Pontificia Facoltà Teologica Marianum, recentemente nominato da Bergoglio nientemeno che a predicare gli esercizj alla Curia Romana? Padre Timothy Radcliffe non fu Maestro Generale dell’Ordine Domenicano? E Walter Kasper, non è Principe di Santa Romana Chiesa e Presidente Emerito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani? Si potrebbe continuare con l’elenco per ore, con la triste constatazione che ilNovus Horror degno del più esecrabile esoterismo massonico trova spazio nel sacro recinto, ed anzi quanto più un Ecclesiastico si mostra ribelle e indocile al Magistero, tanto più è titolato ad assurgere alle più alte cariche: non ultimo colui che siede sul Soglio del Beatissimo Pietro, ch’Ella riconosce gravemente manchevole nel suo ruolo di Supremo Pastore. Il quale, stando a quanto riporta mons. Bruno Forte, in occasione del Sinodo per la Famiglia ha detto: «Se parliamo esplicitamente di comunione ai divorziati risposati, questi non sai che casino ci combinano. Allora non parliamone in modo diretto, tu fai in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò io». Ecco, reverendo Padre: questo modo di agire è stato esattamente lo stesso dei manovratori del Vaticano II e della riforma liturgica: «Se parliamo esplicitamente di communicatio in sacris con gli eretici o di Messa in volgare, di Comunione in mano, di abolizione degli Ordini Minori, questi non sai che casino ci combinano. Allora non parliamone in modo diretto, tu fai in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò io nel postconcilio». É proprio quel modo indiretto, tipico di Lucifero, che dovrebbe far suonare un campanello d’allarme anche nel più convinto sostenitore della bontà del Concilio. Perché facendo leva su quella ingenuità -sprovvedutezza, direi – dei Padri conciliari si sono potuti redigere e veder approvati dei documenti che ponevano le premesse della crisi odierna. Anche ad Eva, a ben vedere, il Serpente non parlò esplicitamente delle conseguenze dell’accettare il frutto dell’albero; egli si limitò, fin dall’inizio, a porre le premesse…
Ancora, Ella afferma: «Non è giusto parlare di omissorio riguardo il Novus Ordo, perché le parti omesse – per esempio preghiere del sacerdote da solo – si giustificano col fatto che il Novus Ordo non è un Vetus difettoso, ma è semplicemente un altro rito, con una regola diversa da quella del Vetus». Qui, reverendo Padre, Ella conferma ciò che vado affermando da sempre: e cioè che è proprio il fatto d’esser nuovo che pone il rito riformato fuori dalla
secolare tradizione della Chiesa. Mai, mai nella sua storia millenaria la Chiesa ha osato inventarsi un Ordo, men che meno avvalendosi di nemici dichiarati – quali sono gli eretici – per portarvi il loro velenoso contributo.
La liturgia rappresenta lo sviluppo armonico di un corpus iniziale. É evidente che la forma antica, ad esempio del IV secolo, fosse meno articolata di quella che essa ha assunto nel Medioevo o nel Rinascimento. Ma questo sviluppo fu naturale, come è naturale che il corpo di una persona passi dall’esser piccolo e fragile in tenera età all’acquisire forza e vigore con la giovinezza. Eppure nessuno pensa che un adulto non sia la stessa persona di quand’era bambino: cambia la statura, si muta la voce, si sviluppano i muscoli, ma il fanciullo di un tempo è sempre lo stesso quando ha raggiunto la maturità.
Viceversa, il Novus Ordo è frutto di un’operazione chirurgica in cui una Commissione di esperti ha compiuto mutazioni incoerenti con lo sviluppo armonico del rito, amputandolo, spostando parti, aggiungendone altre.
Quel che lo Spirito Santo ha ispirato alla Chiesa per la Liturgia è opera mirabile, nella quale le esigenze dottrinali e spirituali dei fedeli trovavano una risposta, proprio come in natura il corpo di un uomo può sviluppare ad esempio le gambe per la corsa, le spalle e le braccia per il nuoto, la voce per il canto. Così in presenza dell’eresia luterana la saggezza della Chiesa ha allenato l’atleta a sviluppare i muscoli per contrastare gli errori di quel momento, e in presenza dell’errore laicista ha istituito la festa di Cristo Re per affermare la Regalità sociale di Nostro Signore, che la setta conciliare ha confinato in una dimensione escatologica, espungendo proprio quei testi – pure attualissimi nel ribadire la dottrina cattolica – in cui si chiede a Dio che tutte le nazioni si sottomettano allo scettro di Cristo.
Quello che il Modernismo ha messo insieme con la Riforma Liturgica sembra piuttosto un essere informe, cui un chirurgo impazzito abbia tagliato una gamba, abbia cucito due mani su un braccio, abbia tolto un occhio.
Che questo rito possa ancora esser considerato cattolico, non lo nego: anche la persona cui viene amputata una gamba, o l’infelice che si fa operare per cambiar sesso (come dicono oggi) rimane un essere umano. Ma l’intervento è e rimane artificiale, con esiti che gli esperti – ad eccezione dei Mengele del Concilio – concordano ampiamente nel considerare più che discutibili.
Come nell’ordine naturale vi è uno sviluppo armonico del corpo, così nell’ordine della liturgia la Messa antica è rimasta la medesima di ciò che era quando Nostro Signore l’ha insegnata agli Apostoli e di com’era nei primi secoli della Chiesa. Il rito riformato, purtroppo, non è il risultato di uno sviluppo armonico, ma un intervento di chirurgia liturgica, come ha giustamente riconosciuto lo stesso Joseph Ratzinger nel suo libro Rapporto sulla Fede. E non si dica che la riforma ha riportato il rito romano
all’antica purezza: ciò non solo è falso, ma ripugna all’ordine naturale: sarebbe come tagliar le gambe all’atleta per farlo tornare all’altezza che aveva quand’era bambino, o voler strappare le corde vocali del baritono, col pretesto che da piccolo aveva un’altra voce.
Apprezzo ch’Ella abbia l’onestà intellettuale di riconoscere che il Novus Ordo è altrorispetto al Vetus. Ma è il semplice fatto di essere appunto altro che lo squalifica, perché nella Chiesa la novità è sempre, invariabilmente un segno di manomissione che le è estraneo. Tradidi quod et accepi: alla Chiesa non è chiesto di inventare cose nuove, ma di custodire gelosamente quelle che Nostro Signore le ha affidato, senza togliere né aggiunger nulla. Specialmente nei suoi riti più venerandi. E specialmente quando ad essi si sostituisce un ircocervo che, in questi cinquant’anni, ha dimostrato di esser assolutamente inadeguato a rispondere alle esigenze del momento presente, anzi piuttosto di aver voluto assecondare uno spirito mondano quanto mai alieno e deleterio per la vita cristiana.
Mi lasci concludere con una riflessione. Sappiamo dalla Sacra Scrittura, dalla concorde voce dei Padri e dal Magistero dei Romani Pontefici che la Chiesa dovrà atraversare una gravissima crisi, una vera e propria persecuzione. Nostra Signora ha più e più volte messo in guardia il popolo cristiano, con numerose apparizioni approvate dall’Autorità Ecclesiastica, circa l’apostasia che incombe. A La Salette, la Santissima Vergine ha detto: «Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’Anticristo», e con analoghe parole Leone XIII vide che la Sede di Pietro sarebbe stata perseguitata dai suoi nemici, «ut destructo Pastore, et gregem disperdere valeant». Lo stesso Catechismo parla espressamente di una grande prova. E sappiamo bene che il Terzo Segreto, nonostante i grotteschi tentativi della Segreteria di Stato, non è stato rivelato nella sua interezza, e che il contesto in cui esso si colloca lascia prevedere una gravissima apostasia in seno alla Chiesa. Ma sappiamo anche che alla fine, per le promesse di Cristo che è Sovrano assoluto della storia e Capo del Corpo Mistico, la guerra che si combatte da sempre tra Dio e Satana vedrà la sconfitta inesorabile del Nemico e la vittoria gloriosa del Signore degli Eserciti, il Dio Sabaoth. Sappiamo anche, dal Protoevangelo, che a schiacciare il capo dell’antico Serpente sarà la Madonna, terribilis ut castrorum acies ordinata. Dinanzi ai terribili eventi profetizzati dalle Scritture ed annunciati dalla Vergine, anche l’apostasia della Gerarchia assume un significato escatologico, e non fa venir meno l’assistenza di Dio al pusillus grex. Cosa videro i discepoli, dopo il Calvario? Il fallimento delle loro speranze, la fine ingloriosa – agli occhi del mondo – del loro Signore trafitto sul legno della Croce. Sola a conservare la fede, la Madre del Salvatore ha custodito nel proprio Cuore Immacolato la certezza che il Suo divin Figlio sarebbe risuscitato dai morti, e così avvenne. Con quella stessa certezza, che ci viene dall’umile confidenza in Dio e dall’esempio della Consolatrice degli afflitti, affrontiamo anche il Calvario della Chiesa, che come Corpo Mistico di Cristo deve affrontare anch’essa la propria passione ai tempi dell’Anticristo, così come l’ha sofferta nei suoi membri durante lo scorrere della storia. Chiediamo a Lei, Auxilium Christianorum, di conservare in noi il fuoco della Carità, la fiamma della Fede e la luce della Speranza,
perché non ci troviamo in mezzo alla scelesta turba di quanti ridono e scherniscono la Sposa di Cristo, condotta verso il Golgota. La Santa Chiesa risorgerà gloriosa: la sua liturgia, specchio di quella celeste, non sarà certo quella di monsignor Bugnini.
Roma, 3 Dicembre 2018
San Francesco Saverio, Confessore
Maria Stuart, Jardin du Luxembourg
Oggi è il 100° giorno in cui il Pontefice regnante non ha, ancora, risposto.
“Quando ha saputo che McCarrick era un uomo perverso, un predatore omosessuale seriale?”
“È vero, o non è vero, che mons. Viganò lo ha avvertito il 23 giugno 2013?”
Joseph Fessio, sj: “Sia un uomo. Si alzi in piedi e risponda”.
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PADRE PIO CONTRO SATANA. LA BATTAGLIA FINALE
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Tag: baronio, cavalcoli, papa chiesa
Categoria: Generale
Le intelligenti, appasssionate riflessioni e le ispirate asserzioni di Cesare Baronio mi paiono essere infinitamente più persuasive e condivisibili del discettare un po’ arzigololato e un po’ noioso (absit iniuria verbis, se possibile) di Giovanni Cavalcoli.
Nel primo avverto la forza convincente di una fede viva e fervente, nel secondo non so esattamente come dire, non intendo giudicare, ma nel suo periodare sento un grande vuoto, quello dei dottori che si occupano soprattutto degli iota piuttosto che dello spirito profondo della legge.
Scusate ma….chi copia chi?
https://www.culturacattolica.it/attualità/in-rilievo/ultime-news/2018/12/06/vetus-ordo
In che senso chi copia chi?
In effetti il finale dell’articolo è molto chiaro:
“Spesso si sente dire che il Vetus Ordo appare espressione di un clima ecclesiale, di un paradigma superato dalle nuove esigenze liturgiche e pastorali, nonché dalla nuova ecclesiologia e sacramentaria elaborate dal Concilio Vaticano II. Con il termine ecclesiologia si intende la dottrina concernente i caratteri fondamentali della Chiesa e con sacramentaria la dottrina concernente i caratteri fondamentali dei Sacramenti: se entrambe le discipline che riguardano aspetti fondamentali cioè il paradigma cattolico, cambiando questi, cambia anche l’intero edificio che si basa tanto sulla Chiesa quanto sui Sacramenti e cambiando questi, cambia anche l’intero edificio che si basa in continuità tradizionale tanto sulla Chiesa quanto sui Sacramenti. Questo non è tradizionalismo, ma è modernismo.”
ritengo necessario un chiarimento. Cesare Baronio afferma che nessun concilio precedente fu messo in discussione per la sua ortodossia o per l’interpretazione che se ne fece successivamente. Chiedo: anche per quello di Basilea? E per quanto riguarda il contenuto anche il precedente Concilio di Costanza non ebbe mai l’approvazione papale riguardo alla disputa sulla presunta e richiesta supremazia del Concilio sul papa. Ritengo opportuno un chiarimento, anche perché le situazioni di allora e di oggi non sono molto cambiate
Va beh…qua partiamo proprio dai fondamentali….
Che meraviglia! Non aggiungo altro, se non un GRAZIE dal profondo del cuore.
Egregio Cesare Baronio, ancora grato per la sua risposta, vorrei anzitutto rassicurarla circa l’assenza di qualsiasi intenzione di accusarla di ignoranza. Se da qualche passaggio delle mie osservazioni ha tratto questa impressione, me ne scuso. Le chiedo comunque la gentilezza di evitare espressioni insultanti nelle prossime, eventuali, risposte.
Lascio convenevoli e battibecchi ai fannulloni e vengo al sodo delle sue repliche, rispetto alle quali rispondo come segue.
1) – A me pare invece che dopo i Concili gli eretici si siano quasi sempre mossi per riaffermare in forme diverse le eresie sostenute in precedenza, quando non ne hanno inventate di nuove partendo dalle definizioni conciliari
Confermo: erano eretici, condannati e che non volevano rimanere dentro la Chiesa di Roma. Non mi pare nel novero si possano includere gli stessi Papi che indissero quei Concili
PRECISAZIONE 1: mai parlato di Papi e ci mancherebbe altro
PRECISAZIONE 2: c’è stato un equivoco. Non parlavo di coloro che erano eretici prima di un Concilio, ma di coloro che, dentro la Chiesa, hanno ripreso elementi di eresie precedenti riproponendole in forma modificata e adattata a quanto stabilito dal Concilio (che non poteva prevedere e condannare eresie future, giocate sulle sue stesse definizioni). Il fenomeno può riscontrarlo con una certa frequenza riesaminando le fasi di sviluppo e perfezionamento dei dei dogmi trinitari, cristologici e pneumatologici
2) – per ogni questione risolta, gli eretici riuscivano ad aprirne un’altra partendo da quella
Confermo: ogni questione era risolta, e ne venivano aperte di nuove: col Vaticano II le questioni sono sempre le medesime, già condannate mille volte
PRECISAZIONE 1: la risposta è più in linea con quanto spiegatole nella precedente precisazione n. 2
PRECISAZIONE 2: il Vaticano II non è stato convocato per risolvere questioni dogmatiche o censurare eresie, quindi è giocoforza che eventuali eresie preesistenti siano sopravvissute. L’errore qui non è nel Concilio (che appunto aveva altre finalità), ma nel fatto che la Chiesa prima e dopo il Concilio non si sia impegnata in tal senso.
3) – così anche dopo il Concilio di Trento, a proposito dei soliti temi (giustificazione/predestinazione/fede-opere/libero arbitrio etc ) con formazione di vere e proprie eresie o di scuole opposte non condannate ma comunque in aperta polemica tra loro
Confermo: i temi affrontati facevano nascere nuove eresie, che come tali i Padri conciliari condannavano: gli eretici erano sempre fuori dal Concilio
PRECISAZIONE 1: anche qui probabilmente c’è un equivoco. Mi riferivo ad eresie nuove, quindi non condannate dai Padri Tridentini, sviluppatesi dopo ed a partire da formulazioni dello stesso Concilio Tridentino. Trattasi di un esempio pratico e più recente dell’ipotesi già esaminata al punto (1)
PRECISAZIONE 2: non tutte le teorie opposte sviluppatesi dopo sono qualificabili come eretiche, in quanto mai condannate dalla Chiesa. Alcune sono giuste, le opposte sono sbagliate, ma ancora non è possibile dire quali.
4) – dopo il Concilio Vaticano I, il problema dell’infallibilità del Papa che mi pare lei stesso tratta come una questione tutt’altro che risolta (e lei stesso, sbagliando, definisce una interpretazione che non le piace, espressamente “eretica”)
Confermo: l’infallibilità, così come proclamata dalla Pastor Aeternus, non presta il fianco ad alcun fraintendimento, essendo definizione dogmatica infallibile. Chi ne estrapola un senso estensivo, secondo cui il Papa sarebbe sempre infallibile, non ha letto la definizione. Qualsiasi studente di Dogmatica (almeno fino a prima del Concilio) sarebbe stato bocciato se avesse detto uno sproposito del genere
PRECISAZIONE 1: la Pastor Aeternus non è fraintendibile perché é chiara nello stabilire sia i requisiti che deve avere una pronuncia infallibile, sia nello stabilire il principio di indefettibilità della fede; non perché è essa stessa infallibile.
PRECISAZIONE 2: non sono a conoscenza di alcuna corrente teologica che sostenga che il Papa sia sempre infallibile. Mi risulta invece che vi siano teologi ed alti prelati che indagano tra le pieghe di quella Costituzione per verificare se vi siano spazi per sostenere che, nell’esercizio della sua funzione magisteriale (anche non infallibile) il Papa possa commettere errori tali da farlo cadere in eresia (con conseguenti speculazioni sulle consegunze). Il dibattito, a quanto mi consta è attuale, con ben pochi risultati, visti gli espedienti utilizzati da chi lo coltiva (forzatura di dati storici relativi a presunti papi eretici; uso strumentale di argomentazioni teologico-canonistiche, peraltro sviluppate secoli prima della Pastor Aeternus; riferimenti a patacche documentali come il “si papa” del Decreto di Graziano….che qualcuno qua dentro ha detto essere stato un papa…). A mio avviso la soluzione è semplice: la Pastor Aeternus specifica quando vi è esercizio dell’infallibilità, specifica le conseguenze (immutabilità), ma non delimita in alcun modo il principio fondante dell’infallibilità (il carisma di verità e di fede) che invece qualifica come “indefettibile”. La conseguenza canonica dell’assenso di volontà e di intelletto al magistero non infallibile, esclude l’ipotesi che tale magistero possa essere eretico.
Questa naturalmente è una mia opinione che, in assenza di pronunciamenti della Chiesa, è da ritenersi accettabile tanto quanto eventuali interpretazioni estensive o restrittive che abbiano una base logica e non contraddicano frontalmente il dogma. Un’eventuale bocciatura all’esame di dogmatica sarebbe evidentemente arbitraria (anche perché la dogmatica, sul punto, non dice nulla di più di quanto dice la Pastor Aeternus).
4) – Forse non sa che dopo i Concili si sono consumati dei veri e propri scismi
Confermo: lo scisma dichiarato è la prova che la definizione dottrinale costringeva gli eretici ad abbandonare la Chiesa, che li condannava immediatamente, mentre oggi ne sono allontanati quanti conservano la Fede, e gli eretici sono tutti al loro posto, tanto nella Gerarchia quanto negli Atenei
PRECISAZIONE 1: ribadisco quanto precisato sopra: il CV II aveva finalità diverse dall’estirpazione di eresie e il risultato è fisiologico. Ribadisco anche il rilievo sulle negligenze della Chiesa prima e dopo il CV II;
PRECISAZIONE 2: essendo le decisioni dei Concili equivalenti a quelle adottate individualmente dal Papa, azzardo un paragone. Quanti modernisti sono rimasti nella Chiesa dopo la promulgazione di Pascendi e Lamentabili? Le rispondo io: tanti. E’ colpa di quei due documenti o del Papa che li ha emanati? NO. La colpa sta nell’attuazione/carente attuazione di quei documenti, dopo la loro adozione (attuazione che è stata mitigata già dall’immediato successore di San Pio, come lei ben sa). Pertanto, l’inefficacia di un Concilio nell’eliminare eresie non dipende dal concilio, ma da come lo si attua. Discorso comunque peregrino perché il CVII non aveva questo scopo e non si può quindi parlare di un programma antieretico da attuare;
PRECISAZIONE 3: che dopo il CV II “quanti conservano la Fede” si siano allontanati è ovviamente una sua mera opinione, su cui mi sento libero di dissentire.
5) – Forse lei dimentica il concilio dei concili, tenutosi in Gerusalemme
Cerchiamo di essere seri: come può prendere ad esempio il primo Concilio, che qualsiasi storico della Chiesa riconosce non fosse ancora strutturato, proprio in ragione che fu appunto il primo! Questo è archeologismo ridicolo, sarebbe come pretendere di trovare i formulari della Messa tridentina nei frammenti delle anafore della Messa apostolica. Non mi pare che, rispetto alle esigenze del tempo, il sinodo gerosolimitano si sia dimostrato inadeguato o carente, non fosse che per il fatto che ad esso parteciparono gli stessi Apostoli (San Pietro, San Paolo, San Barnaba, San Giacomo), che quanto a chiarezza non avevano certo rivali. Quanto alla soluzione pastorale, questa è un’interpretazione da scuola Radio Elettra: si legga i Padri e veda come commentano i fatti, senza tirar fuori il ciarpame modernista
PRECISAZIONE 1: non so a cosa si riferisca quando parla di “struttura” e di “archeologismo”. La struttura è la stessa: Apostoli con e sotto Pietro – Vescovi con e sotto il Papa. Altre strutture o modalità organizzative – mutevoli nel tempo – non qualificano sicuramente che cosa sia o meno un Concilio. Quanto vi è di essenziale, qualificante ed inderogabile si trova negli Atti, esattamente come quanto vi è di essenziale, qualificante ed inderogabile nella Messa Tridentina, si trova nel Nuovo Testamento.
PRECISAZIONE2: mai detto che il Concilio di Gerusalemme sia stato “inadeguato o carente”, anatema su di me se mi venisse in mente una cosa del genere. E’ lei a sostenere che un Concilio che non produca una formula dogmatica corredata da specifiche condanne è inadeguato. Io ho richiamato il primo Concilio per darle un esempio di come ciò non sia vero.
PRECISAZIONE 3: mai messa in discussione la chiarezza degli Apostoli, anatema su di me se mi venisse in mente una cosa del genere.
PRECISAZIONE 4: è proprio perché leggo i Padri (e i Dottori) e non il ciarpame modernista (che non conosco) che assimilo il Concilio di Gerusalemme più ad un concilio “pastorale” che ad un concilio “dogmatico”. Provi ad esempio a leggere Agostino, discorso n. 162/C, par. 8: qui trova espresso esattamente il mio pensiero e, sebbene non si usi il termine “pastorale”, la soluzione individuata dagli apostoli è chiaramente descritta (sia nel suo aspetto pratico, sia nelle motivazione) in tal senso. Interessante anche il par. 9 dove viene spiegata la condotta personale di Paolo.
6) Concludo invitando Lei e gli altri lettori, prima di esprimere giudizi temerari ed impancarvi a petulanti censori altrui, a chiedervi se siete proprio sicuri delle vostre argomentazioni. Evitereste di esporvi, oltre che al ridicolo, anche alla pubblica deplorazione per le sesquipedali lacune del vostro tristo bagaglio culturale à la Ravasi.
NESSUNA PRECISAZIONE: certe sciocchezze si commentano da sole.
SUGGERIMENTO: se ritiene inadeguati i suoi interlocutori, cambi luogo, perché se espone le sue erudite posizioni ad un uditorio incapace di comprenderle, eventuali adesioni al suo pensiero non saranno conseguenti ad un vaglio consapevole, ma al potere seduttivo del suo eloquio.
Precisazioni….Precisazioni…..Precisazioni……
Ma che sta a dire?Che nenia.
Il fatto è che non si tratta di ritenere inadeguati,ma se lo si sia effettivamente e Lei,sig.?,si presenta con un set di precisazioni?
Bah.
Amico, un suggerimento te lo do io: Cambia luogo tu che è meglio. Hai già rimediato varie figure di m…., non è necessario farne altre: abbiamo capito a sufficienza. Passi lunghi e ben distesi, mi raccomando. Addio.
Che bel linguaggio.Degno di chi lo esprime.
Auguri di buone feste e gioioso Natale,
Soprattutto degno di chi lo riceve, amico. Il principio di responsabilità esiste per tutti, e viene anche prima di qualsiasi considerazione pseudoreligiosa, tipo la tua. Buon natale.
Non era rivolto a te ma al troll che ha scritto la lenzuolata di precisazioni di cui sopra, sveglia
Perchè Troll?
E’ vero, come dice padre Cavalcoli, che il Papa non dice eresie ed è vero che, in genere, i Vescovi della CEI sono attenti a non dire eresie.
Ma anche Baronio ha delle ragioni. Per cui un punto di incontro tra i due teologi si potrebbe trovare.
Infatti: non c’è bisogno di dire eresie per “insegnarle”, ovvero per testimoniarle.
Cioè: se, come afferma padre Cavalcoli, non c’è documento ufficiale della Chiesa che contiene chiaramente un errore, può essere però che dei Pastori della Chiesa siano in se stessi eretici senza, però, insegnare l’eresia.
Ad esempio: un Vescovo che tace sul fatto che l’omosessualità è peccato, non dice un errore, ma se, come è accaduto, “accoglie” a braccia aperte un sacerdote dichiaratamente omosessuale e non lo sospende dal ministero, testimonia l’errore. In tal caso l’eresia non la insegna con le parole, ma coi fatti
Apprezzo la buona volontà, ma quante arrampicate sugli specchi per non ammettere l’evidenza…
Mettere in relazione Bergoglio, e i suoi scagnozzi, con la Fede Cattolica è come cercare far quadrare il cerchio.
Baronio, qualche giorno fa scrissi su questo blog che di Baronio ce n’è uno … tutti gli altri …
Il suo intervento di ieri è una lectio magistralis
Bell’articolo.
Ho finito poco tempo fa di leggere “Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta” del professor De Mattei, la mia prima lettura sul Concilio e quindi un nulla nello sterminato oceano bibliografico su quell’evento. Inoltre, mi si obietterà, un libro di parte, scritto da un autore noto per le sue riserve sul Concilio. I medesimi fatti, anche quando sono oggettivamente tali, a seconda di come li si presenta, possono orientare il lettore su opinione anche opposte. Nonostante tutte queste premesse, il volume mi è piaciuto, lo ho trovato ben scritto e sufficientemente dettagliato per quanto possa esserlo un solo, piccolo volume dedicato a questo sterminato argomento.
Al di la della recensione “letteraria”, la lettura, come cristiano, mi ha lasciato invece l’amaro in bocca. La sensazione preminente è stata di aver assistito ad un avvenimento umano, troppo umano. La gestione del concilio da parte dei Padri mi ha ricordato un conciliabolo politico nella peggior accezione del termine. Altra sgradevolissima sensazione, è che i documenti finali siano stati partoriti da un ristretto manipolo di persone, in sedi, per amor di metafora, “extraparlamentari” e quindi non si neppure bene (..ma lo si sa) con il contributo di chi. L’impressione è corroborata dalla frase di un prelato che, andando ad sensum, più o meno diceva: “tremila pecore che non conoscono neppure le questioni e vanno al traino di pochi”. E non era un conservatore.
Trucchi, trabocchetti, prepotenze, violazioni dei protocolli e perfino insulti (“..quei bastardi ci hanno battuti” disse un Cardinale rivolto contro i suoi “avversari”).
Un uso strumentale della stampa e di altre forze sociali alla quale nei decenni precedenti, sarebbe stato impossibile avere accesso a determinate notizie e che invece venivano fatte trapelare ad arte dalle fazioni.
Libri, fascicoli, interviste rilasciate Concilio durante dagli stessi Padri con lo scopo di trarre a sé tutti coloro che potevano essere utili alla propria causa.
Ai nostri giorni sembra più che normale, ma per l’epoca era scandaloso! Pensare l’enorme scandalo che, decenni prima, aveva suscitato la prima foto “privata” di un Papa (Pio XII?) ritratto negli appartamenti privati su un giornale.
La strategia del Concilio era stata studiata a tavolino dai novatori prima del Concilio.
Uno dei primi passi fu di far decadere gli schemi preparatori, già approvati anche da GXIII che ne autorizzò la revisione senza batter ciglio.
Essi si presentarono organizzati ed agguerriti pur essendo guidati da un manipolo di non più di dieci persone (10 su 3000!!!) ma con un organizzazione (..e quindi finanziamenti) poderosa. I conservatori furono presi completamente alla sprovvista e impiegarono moltissimo tempo ad organizzarsi senza riuscire mai ad eguagliare gli avversari. Tedeschi, Belgi, Olandesi e, con alcune differenze, Francesi erano scesi a Roma con il preciso intento di ridimensionare il più possibile il primato della Sede Apostolica. Per ottenere questo, io credo, non esitarono a infierire anche sulla dottrina.
I novatori avevano anche l’appoggio dei Papi. Totale ma breve quello di GXIII, lungo e deciso seppur talvolta ondivago quello di PVI. Quest’ultimo, su determinati argomenti non si volle spingere fin dove volevano i suoi sodali, giacché tali erano visti anche i rapporti interpersonali con alcuni di loro, facendoli talvolta irritare perché, pensavano, se fossero già state operanti le loro riforme sinodali, non sarebbero stati costretti a piegare il capo davanti a quello che ancora per poco, era il monarca assoluto della Chiesa. Altro elemento di contraddizione di PVI sono le varie esternazioni che sul finire della sua vita, sembra abbia in più occasioni espresso verso le conseguenze del Concilio. Peraltro qualche lacrima di coccodrillo fu versata anche da qualcuno dei grandi novatori, “stupito” dagli esiti più deleteri a cui fece ancora in tempo ad assistere durante la propria vita.
Ripeto interessante ma triste.
Ma è così che lo SS guida i suoi figli prediletti? Forse sono io che sono un ingenuo! Non dico che non ci dovesse essere confronto e anche scontro ma sempre nell’ottica della Gloria di Dio e della salvezza delle anime. Non è quello che, almeno per me, traspare da quanto letto.
Forse lo SS è stato imbavagliato e messo a tacere?
MI resta la certezza che, in ogni caso, nulla sfugge all’onniscienza di Dio che ci guida al bene nonostante i nostri disperati tentativi di ostacolarlo in tutti i modi.
Caro Roberto,
Non è che nei concili precedenti fossero solo rose e fiori; quello che del Vaticano II più colpisce, probabilmente, è che gli usuali “magheggi” siano stati architettati con il precipuo fine di abolire il cattolicesimo e di sostituirvi una nuova religione – missione compiuta?
Il censurabile contegno di Giovanni XXIII non deve stupire (e lasciamo perdere Paolo VI, più equivoco che ondivago), e neppure il suo trionfante discorso di apertura, che ancora oggi scuote i nostri animi con tutto quell’echeggiare di suggestiomi massoniche.
Le premesse del Vaticano II furono poste per trarre determinate conclusioni: fumo di Satana? Massoneria? O, più semplicemente, entrambe le cose (sempreché si riescano a distinguere)?
Ossequi.
«Ma è così che lo SS guida i suoi figli prediletti?»
Mi sembra che la sua sia una domanda retorica, in quanto Lei stesso si è data la risposta, pur se con un’altra domanda, anch’essa retorica:
«Forse lo SS è stato imbavagliato e messo a tacere?»
Secondo gli anticonciliaristi, proprio così (in questa occasione non sto fornendo un giudizio sui pro od anticonciliaristi).
Da questo non si può concludere come fanno molti con leggerezza, che non è vero che lo Spirito Santo assista la Chiesa e che ispiri i Padri conciliari (ed anche nei Conclavi). Il fatto è che l’ispirazione dello Spirito Santo si può scontrare con la volontà dell’uomo, il quale, essendo libero, può rifiutarla. La libertà dell’uomo, senza la quale l’uomo degraderebbe al livello delle bestie, è un grande dono che Dio ha concesso all’uomo affinché diventi, un giorno “simile a Dio” (cfr 1Gv 3,2). Sta all’uomo fare un uso appropriato della sua libertà, e quindi salvarsi o dannarsi. Ma nel secondo caso non si può dare la responsabilità a Dio.
Comunque nel Tempo lo Spirito Santo risolve sempre le storture dell’uomo, come è stato dimostrato per le innumerevoli crisi superate lungo i secoli della storia della Chiesa, unica “Società” al mondo che perdura da da duemila anni, al contrario dei più potenti ed apparentemente indistruttibili imperi, spariti tutti nel nulla.
Magistrale.
Inattaccabile.Stupendamente Cattolico.
Lo ripeto.Ho smesso di seguire Padre Cavalcoli.
Apertamente ambiguo ed incoerente.
La ringrazio per il finale.
Non praevalebunt.
“…ma triste e dolorosissima esperienza di tante anime sacerdotali, morte di crepacuore nel veder come si era ridotta la Chiesa.”
Una preghiera.
“CB “Nessun Concilio ha mai evitato di esporre chiaramente la dottrina, omettendo ad esempio i Canoni di condanna, come per la prima volta ha fatto il Vaticano II” + “Nessun Concilio prima del Vaticano II si è definito pastorale, rinunciando ad esser dogmatico per non condannare chi è nell’errore”.
R – Forse lei dimentica il concilio dei concili, tenutosi in Gerusalemme. All’esito di quel Concilio non vi fu la proclamazione di alcun dogma, non vi fu alcuna formula di condanna e il Concilio stesso fu eminentemente “pastorale”: fosse stato dogmatico gli Apostoli e lo Spirito Santo avrebbero decretato il superamento delle regole ebraiche e avrebbero detto “basta restrizioni alimentari, non salvano, contraddicono il valore redentivo della morte di Gesù, pagani e giudei mangiate quello che volete”. Invece, come ben sappiamo, hanno adottato una soluzione pastorale (oggi verrebbe qualificata come una svendita compromissoria) per tenere dentro gli uni e consentire l’accesso agli altri”.
Altre cose da dire in proposito:
– già all’epoca si formarono sette simil-cristiane che non accettavano la soluzione “pastorale” e, al fondo, rifiutavano la superiorità di Cristo rispetto alla Legge (giudaizzanti e sette simili. Questo va in aggiunta agli scismi e problemucci vari conseguenti ai vari concili, che il sig. Baronio ritiene essere una novità del post Vaticano II.
– i grandi teologi successivi (da Agostino a Tommaso d’Aquino) non si sono peritati nel dimostrare che gli Apostoli erano dei venduti o degli eretici o dei massoni, ma si sono sforzati di compredere le ragioni della sopravvivenza di regole che di per sé erano chiaramente obsolete; con tanto di discussioni sul fino a quando e da quando seguire le regole ebraiche fosse da considerarsi peccato. Questo è quello che fanno i veri teologi, fedeli alla Chiesa e al suo insegnamento.
Complimenti!
Mi ci volevano queste dispute!
Le argomentazioni del dr. Baronio mi convincono.
Ora mi stampo tutto per leggere attentamente.
Grazie
Quando circa un anno fa ho avuto la grazia di ascoltare ancora, dopo 50 anni, l’Introibo ad altare Dei mi sono messo a piangere…
Mi si permetta una osservazione rivolta a P. Cavalcoli, di cui ho grande stima e di cui leggo gli articoli anche su altri siti. Senza entrare nel dettaglio delle discussioni che probabilmente sono al di fuori della mia portata, mi sembra che Egli sia prigioniero della proprio senso di lealtà anche verso persone o oggetti che non lo meritano.
Per quanto riguarda il NO, do la mia testimonianza, sempre tenendo presente che non sono né assiduo né un buon esempio da seguire. Ebbene da sempre, che io mi ricordi, ho trovato la messa imposta molto brutta e squallida anche se fatta in modo solenne, un chiacchiericcio infine privo di senso immediato (e se quello era lo scopo, cioè far capire ciò che supera la comprensione umana…).
Nella messa, quella libera, sempre considerando la mia pochezza, io stesso percepisco un qualcosa di più, e perlomeno ne percepisco un fascino che non trovo altrove. Scusatemi il commento non all’altezza, lo dico davvero.
Semplicemente grande! Grazie.
Questa disputa ci arrichisce e aiuta nel discernimento.
Una domanda che esula: qualcuno sa dirmi come mai, in questo triste scenario, non si sente più parlare cardinal Sarah, i cui interventi sono sempre stati illuminanti? Silenziato?
Si sarà stancato di parlare con il muro.
Baronio ,
un sentito ringraziamento per la verità ( scomoda )
delle Sue argomentazioni e per la logica ( implacabile ) dell’esposizione .
Sull’origine e la diffusione della mentalità modernista , mi permetto di invitarLa alla lettura di una novella di Barbey d’Aurevilly , intitolata : “A’ un diner d’ athées ” , ( chiedo scusa , ma la mia tastiera manca della i con l’accento circonflesso ) , dove l’arte sa bene sintetizzare le degenarazioni del pensiero e della condotta umana.
Le dovrebbe piacere molto – se già non la conosce – considerata
la sua acuta e sensibile critica del ” Pranzo di Babette “.
con questo autore B.-A. non siamo in pieno horror
ecclesiastico ottocentesco ?
La Chiesa deve predicare Cristo Risorto, non instillare orrende paure ai poveri fedeli….
Dipende…se i fedeli sono dei vampiri ottocenteschi Baronio va bene 🙂
Zotico.
Nell’ottocento la barbarie stava da un’altra parte.
I NEMICI DI DIO SONO PENETRATI NEL SENO DELLA CHIESA. CON ASTUZIA. Io direi pure con GRANDE EVIDENZA ed in MODO SPETTACOLARE visto che un 13 Ottobre è stata portata con GRANDE ONORE una STATUA DI MARTIN LUTERO in SAN PIETRO. Ed inoltre allo SCISMATICO ed ERETICO è stato dedicato un francobollo delle POSTE VATICANE ( nel quale è raffigurato insieme ad un altro eretico di cui adesso non ricordo il nome ). Con quel 13 Ottobre e con quel francobollo si è resa nota la presa di San Pietro da parte dei nemici. Ci manca la loro bandiera issata sul Cupolone. Tempo al tempo arriverà anche quella. Preghiamo il Santo Rosario per il Trionfo del Cuore Immacolato di Maria e per l’italia, che ne abbiamo tanto bisogno.
@ Nicola B.
Forse sbagli bandiera. Sarà issata quella con la mezzaluna.
Cesare Baronio: “Le ricordo che Benedetto XVI ha formulato proposizioni materialmente eretiche in Introduzione al Cristianesimo, e che l’ha fatto con la competenza del teologo e con la consapevolezza di quel che diceva, a differenza delleboutades di Bergoglio”.
Senta Baronio, parli pure di liturgia, ma lasci perdere le presunte eresia materiali di Ratzinger (perché “materiali”, poi?). Sappiamo bene da che scuola di teologi cialtroni provengono certe censure e mi duole sapere che anche lei ne faccia parte. Con gli aforismi ratzingeriani non dimostrerete mai nulla, perché Ratzinger ha una tale profondità di pensiero con cui difficilmente lei, Radaelli e compari varj, riuscireste a confrontarvi.
Proprio l’altro giorno qualche suo improvvido seguace ha sostenuto la solita storiella del Ratzinger che contesta San’Anselmo e la sua teoria della soddisfazione vicaria. Ma basta conoscere il pensiero di Sant’Anselmo (che mentre scriveva il Cur Deus Homo, scriveva anche le Meditationes) per comprendere che la posizione di Ratzinger era grossomodo anche la sua e che la critica è stata rivolta non al nucleo del suo pensiero, ma all’eccessivo appiattimento giuridicista su un aspetto specifico di un pensiero più complesso (aspetto specifico che Anselmo aveva appositamente isolato nel Cur Deus per le finalità proprie del libro).
Chi conosce la storia della ricezione del pensiero di sant’Anselmo sa anche bene che Ratzinger appartiene a quella corrente che nel XX secolo lo ha rivalutato e non certo a quella che lo ha censurato.
Quindi mi dia retta, prima di accusare di “eresie materiali” un pensatore come Ratzinger, chini la testa sui libri (e non sulle fanzine tradizionaliste di internet) e studi a fondo i problemi. Oppure, più semplicemente, si astenga e stia al suo posto.
Stesso discorso per quando le viene voglia di dissertare di infallibilità e papi eretici. Intanto si ricordi che anche dove non c’è pronuncia infallibile è obbligatorio prestare assenso di volontà e intelletto. Cosa che dicevano anche Leone XIII e San Pio X. Quindi, anche qui, si astenga (dal dissertare) e si attenga (almeno a quanto insegnato dai due Pontefici citati).
Eresia materiale quando si aderisce ad un’eresia oggettiva, senza per altro avere coscienza di essa. Eresia formale quando di aderisce ad un’ eresia oggettiva, conoscendone i fondamenti.
“Introduzione al cristianesimo”: “Quale posizione assume la croce in seno alla fede in Gesù considerato come il Cristo? […] In questo campo la coscienza cristiana è in genere ancora largamente improntata ad una grossolana idea della teologia di espiazione risalente ad Anselmo di Canterbury”
“Haurietis aquas” (Pio XII) sulla devozione al Sacratissimo Cuore di Gesù: “Il Mistero della Divina Redenzione, infatti, è propriamente e naturalmente un mistero di amore: un mistero, cioè, di amore giusto da parte di Cristo verso il Padre celeste, cui il sacrificio della Croce, offerto con animo amante ed obbediente, presenta una soddisfazione sovrabbondante ed infinita per le colpe del genere umano: «Cristo, soffrendo per carità ed ubbidienza, offrì a Dio qualche cosa di maggior valore, che non esigesse la compensazione per tutte le offese a Dio fatte dal genere umano »(30). Inoltre, il Mistero della Redenzione è un mistero di amore misericordioso dell’Augusta Trinità e del Redentore divino verso l’intera umanità, poiché questa, essendo del tutto incapace di offrire a Dio una soddisfazione degna per i propri delitti(31), Cristo, mediante le inscrutabili ricchezze di meriti, che si acquistò con l’effusione del suo preziosissimo Sangue, poté ristabilire e perfezionare quel patto di amicizia tra Dio e gli uomini, ch’era stato una prima volta violato nel Paradiso terrestre per colpa di Adamo, e poi innumerevoli volte per le infedeltà del Popolo Eletto. Pertanto il Divin Redentore — nella sua qualità di legittimo e perfetto Mediatore nostro — avendo, sotto lo stimolo di una accesissima carità per noi, conciliato perfettamente i doveri e gli impegni del genere umano con i diritti di Dio, è stato indubbiamente l’autore di quella meravigliosa conciliazione tra la divina giustizia e la divina misericordia, che costituisce appunto l’assoluta trascendenza del mistero della nostra salvezza, così sapientemente espressa dall’Angelico Dottore in queste parole: «Giova osservare che la liberazione dell’uomo, mediante la passione di Cristo, fu conveniente sia alla sua misericordia che alla sua giustizia. Alla giustizia anzitutto, perché con la sua passione Cristo soddisfece per la colpa del genere umano: e quindi per la giustizia di Cristo l’uomo fu liberato. Alla misericordia, poi, poiché, non essendo l’uomo in grado di soddisfare per il peccato inquinante tutta l’umana natura, Dio gli donò un riparatore nella persona del Figlio suo. Ora questo fu da parte di Dio un gesto di più generosa misericordia, che se Egli avesse perdonato i peccati senza esigere alcuna soddisfazione. Perciò sta scritto: “ Dio, ricco di misericordia, per il grande amore che ci portava pur essendo noi morti per le nostre colpe, ci richiamò a vita in Cristo” »(32).
“Eresia materiale quando si aderisce ad un’eresia oggettiva, senza per altro avere coscienza di essa. Eresia formale quando di aderisce ad un’ eresia oggettiva, conoscendone i fondamenti”.
Appunto, il Baronio afferma che Ratzinger era consapevole, quindi non dovrebbe parlare di eresia materiale. Va beh cosa poco importante. Tanto il coraggio di dire che Ratzinger non è diventato Papa perché eretico formale prima dell’elezione, penso non lo abbia.
Vedo che si diverte a fare i collage di aforismi; forse è proprio quello che il lettore sopra sconsigliava di fare quando si tratta di questioni complesse. Se posso, consiglierei di lasciare gli aforismi ai comunisti coi loro libretti rossi e cominciare a studiare più seriamente.
Oppure, se proprio vuole lavorare con gli aforismi, legga meglio quello che ha citato: non dice che era grossolana la teoria di Sant’Anselmo, ma la teologia che risale a lui. Se legge lo stesso libro qualche decina di pagine dopo può trovare un altro aforisma in cui si dice chiaramente che oggetto di critica è stata l’elaborazione successiva che, in effetti, è stata molto grossolana nel ridurre il sacrificio di Cristo ad un mercimonio (che non è la prospettiva di Haurietis aquas né quella originale di sant’Anselmo).
Ma compri il libro di carta mi raccomando, perché se cerca il secondo aforisma nei siti da cui ha pescato il primo non lo troverà mai.
Ti do uno spunto in più….sai a chi piace tanto la tesi (volgarizzata e criticata da Ratzinger) “risalente a sant’Anselmo”? Ai PROTESTANTI (Barth su tutti). E lo sai perché??? Non te lo dico, studiatelo! 🙂
Ringrazio di cuore per il giusto consiglio di studiare di più. Temo, però, di non essere in grado di farlo dato che non riesco a comprendere bene la lingua italiana: ho infatti sempre pensato che “risalente a” significasse che Sant’Anselmo fosse il caposcuola della teoria. Non essendo, ormai, più certo di nulla sono andato a leggere la definizione di “caposcuola” sul sito della Treccani: caposcuòla s. m. e f. [comp. di capo e scuola] (pl. m. i capiscuòla, pl. f. le caposcuòla). – Chi è capo di una scuola letteraria, artistica o scientifica; cioè l’iniziatore di un metodo, di una dottrina, di una tendenza o di un gusto nuovi, che si affermino e abbiano seguaci. http://www.treccani.it/vocabolario/caposcuola/
Andrea guarda che il brano di Hauriets Aquas non cita passaggi di Anselmo ma di Tommaso, che aveva già corretto la visione anselmiana riconducendola nell,ambito della misericordia divina (cioè per evitarne la riduzione ad un mero giustizialismo). In verità anche Anselmo aveva questa visione, ma aveva sviluppato l’aspetto giuridico perché era interessato ad un particolare argomento.
Il problema è dato dalla banalizzazione della tesi di Anselmo che, per questo, è divenuta inaccettabile come dice Ratzinger.
Non si tratta di rifiutarla, ma di leggerla in un quadro più ampio. Diversamente la redenzione si riduce a questo: hai fatto un danno x, devi pagare x dove x è il valore della vita di Cristo. La soteriologia cristiana è più ricca di questa roba e purtroppo questa roba ha tenuto in ombra gli altri modelli, parimenti ortodossi (per esempio la meravigliosa ricapitolazione di Ireneo).
Senza questi correttivi che recuperano tutta la tradizione cattolica, la teoria della soddisfazione vicaria, espressa al suo massimo grado giuridico, è diventata sostituzione penale, tipica del protestantesimo.
Spero di averti aiutato a chiarire la questione.
Stattibbun’ e stattaccuort!
«…la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un matrimonio umano». «Non c’è dubbio:la formulazione della filiazione divina ‘fi-sica’di Gesù è quanto mai infelice ed ambigua».
Ora,sig.ra Giulia,Lei che invita all’astensione-da quale pulpito poi?-
spieghi a noi che non abbiamo né tempo né giudizio alcuno per chinarci sui libri,cosa significano frasi come quelle riportate.
Non serve che indichi l’autore.
Spieghi a me cosa ha da spartire la profondità di pensiero con:
“… perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.”
«… prima di accusare di “eresie materiali” un pensatore come Ratzinger, chini la testa sui libri (e non sulle fanzine tradizionaliste di internet) e studi a fondo i problemi. Oppure, più semplicemente, si astenga e stia al suo posto.»
Mi piace quel”pensatore” come Ratzinger.E quel “suo posto”,presumo,sia Lei ad indicarlo.
E Lei che titoli ha?
Cesare Baronio.. papa subito..
Scusi Dottor Baronio, ho scorso velocemente il suo scritto che merita senza dubbio una lettura attenta.
Però mi sono già saltate all’occhio alcune affermazioni che mi lasciano perplesso.
La prima è la seguente: “Va pur detto che nessun Concilio precedente al Vaticano II venne messo in discussione per la sua ortodossia, né prestò il fianco ad interpretazioni eterodosse, giacché alla formulazione della parte discorsiva, pur chiarissima, si affiancavano sempre canoni a condanna degli errori che si opponevano alle verità definite”. Come fa a dire una roba del genere? Conosce la storia dei Concili? Sa che sviluppi hanno avuto le eresia, ogni qualvolta un concilio interveniva con i canoni a condanna? Forse lei ha una visione un po’ idealizzata della storia preconciliare, ma guardi che il Vaticano II è forse uno dei concili che hanno creato meno problemi di tanti altri, all’esito dei quali ci si ammazzava. Lei è vittima della società massmediatica e forse vedendo un maggior clamore, amplificato dai media, ritiene di vivere in una situazione eccezionale. Ed invece nessun concilio è stato indolore.
L’altra affermzione che mi lascia perplesso è quella che riguarderebbe la revoca della scomunica ai divorziati-risposati dopo Amoris Laetitia. Vero è che su questa Esortazione ormai se ne dicono di tutti i colori, ma qui la sua creatività raggiunge livelli davvero sublimi.
Gentile sig. Prime Osservazioni,
la mia osservazione non concerne le vicende ecclesiali né tantomeno sociali derivate dalla promulgazione di un Concilio, ma la chiarezza dottrinale dell’esposizione. I documenti dei Concili Ecumenici di qualsiasi epoca possono aver suscitato proteste, rivolte, anche guerre; ma non è mai avvenuto nella storia della Chiesa che la Suprema Autorità della Chiesa formulasse i testi di un Concilio in modo da permetterne un’interpretazione eterodossa ed allo stesso tempo una ortodossa. Nessun Concilio ha mai evitato di esporre chiaramente la dottrina, omettendo ad esempio i Canoni di condanna, come per la prima volta ha fatto il Vaticano II. Nessun Concilio ha provocato la defezione dei fedeli o la diminuzione delle vocazioni secolari e religiose. Nessun Concilio prima del Vaticano II si è definito pastorale, rinunciando ad esser dogmatico per non condannare chi è nell’errore.
Dai frutti si giudica un albero.
Credo sia chiaro.
Gentile Cesare Baronio, anzitutto grazie per la risposta.
Credo di essere ancora una volta poco d’accordo con lei.
CB “non è mai avvenuto nella storia della Chiesa che la Suprema Autorità della Chiesa formulasse i testi di un Concilio in modo da permetterne un’interpretazione eterodossa ed allo stesso tempo una ortodossa”.
R – A me pare invece che dopo i Concili gli eretici si siano quasi sempre mossi per riaffermare in forme diverse le eresie sostenute in precedenza, quando non ne hanno inventate di nuove partendo dalle definizioni conciliari:
– così è accaduto a seguito degli antichi Concili che risolsero questioni trinitarie, cristologiche e pneumatologiche: per ogni questione risolta, gli eretici riuscivano ad aprirne un’altra partendo da quella
– così anche dopo il Concilio di Trento, a proposito dei soliti temi (giustificazione/predestinazione/fede-opere/libero arbitrio etc ) con formazione di vere e proprie eresie o di scuole opposte non condannate ma comunque in aperta polemica tra loro
– dopo il Concilio Vaticano I, il problema dell’infallibilità del Papa che mi pare lei stesso tratta come una questione tutt’altro che risolta (e lei stesso, sbagliando, definisce una interpretazione che non le piace, espressamente “eretica”).
CB “Nessun Concilio ha provocato la defezione dei fedeli o la diminuzione delle vocazioni secolari e religiose”.
R – Forse non sa che dopo i Concili si sono consumati dei veri e propri scismi.
CB “Nessun Concilio ha mai evitato di esporre chiaramente la dottrina, omettendo ad esempio i Canoni di condanna, come per la prima volta ha fatto il Vaticano II” + “Nessun Concilio prima del Vaticano II si è definito pastorale, rinunciando ad esser dogmatico per non condannare chi è nell’errore”.
R – Forse lei dimentica il concilio dei concili, tenutosi in Gerusalemme. All’esito di quel Concilio non vi fu la proclamazione di alcun dogma, non vi fu alcuna formula di condanna e il Concilio stesso fu eminentemente “pastorale”: fosse stato dogmatico gli Apostoli e lo Spirito Santo avrebbero decretato il superamento delle regole ebraiche e avrebbero detto “basta restrizioni alimentari, non salvano, contraddicono il valore redentivo della morte di Gesù, pagani e giudei mangiate quello che volete”. Invece, come ben sappiamo, hanno adottato una soluzione pastorale (oggi verrebbe qualificata come una svendita compromissoria) per tenere dentro gli uni e consentire l’accesso agli altri.
CB “Dai frutti si giudica un albero”.
R – Se dovessi giudicare guardando i frutti che dimostrano di aver raccolto taluni personaggi che scrivono qui e nei siti che lei frequenta, dovrei giudicare il loro “albero” molto negativamente. Fortunatamente valuto le cose in modo meno schematico di come le valuta lei.
Mi compiaccio di sentirmi dar dell’ignorante, perché sono rare le occasioni in cui il mio orgoglio è rimesso al suo posto. Con pazienza e spirito di cristiana sopportazione Le rispondo:
– A me pare invece che dopo i Concili gli eretici si siano quasi sempre mossi per riaffermare in forme diverse le eresie sostenute in precedenza, quando non ne hanno inventate di nuove partendo dalle definizioni conciliari
Confermo: erano eretici, condannati e che non volevano rimanere dentro la Chiesa di Roma. Non mi pare nel novero si possano includere gli stessi Papi che indissero quei Concili
– per ogni questione risolta, gli eretici riuscivano ad aprirne un’altra partendo da quella
Confermo: ogni questione era risolta, e ne venivano aperte di nuove: col Vaticano II le questioni sono sempre le medesime, già condannate mille volte
– così anche dopo il Concilio di Trento, a proposito dei soliti temi (giustificazione/predestinazione/fede-opere/libero arbitrio etc ) con formazione di vere e proprie eresie o di scuole opposte non condannate ma comunque in aperta polemica tra loro
Confermo: i temi affrontati facevano nascere nuove eresie, che come tali i Padri conciliari condannavano: gli eretici erano sempre fuori dal Concilio
– dopo il Concilio Vaticano I, il problema dell’infallibilità del Papa che mi pare lei stesso tratta come una questione tutt’altro che risolta (e lei stesso, sbagliando, definisce una interpretazione che non le piace, espressamente “eretica”)
Confermo: l’infallibilità, così come proclamata dalla Pastor Aeternus, non presta il fianco ad alcun fraintendimento, essendo definizione dogmatica infallibile. Chi ne estrapola un senso estensivo, secondo cui il Papa sarebbe sempre infallibile, non ha letto la definizione. Qualsiasi studente di Dogmatica (almeno fino a prima del Concilio) sarebbe stato bocciato se avesse detto uno sproposito del genere
– Forse non sa che dopo i Concili si sono consumati dei veri e propri scismi
Confermo: lo scisma dichiarato è la prova che la definizione dottrinale costringeva gli eretici ad abbandonare la Chiesa, che li condannava immediatamente, mentre oggi ne sono allontanati quanti conservano la Fede, e gli eretici sono tutti al loro posto, tanto nella Gerarchia quanto negli Atenei
– Forse lei dimentica il concilio dei concili, tenutosi in Gerusalemme
Cerchiamo di essere seri: come può prendere ad esempio il primo Concilio, che qualsiasi storico della Chiesa riconosce non fosse ancora strutturato, proprio in ragione che fu appunto il primo! Questo è archeologismo ridicolo, sarebbe come pretendere di trovare i formulari della Messa tridentina nei frammenti delle anafore della Messa apostolica. Non mi pare che, rispetto alle esigenze del tempo, il sinodo gerosolimitano si sia dimostrato inadeguato o carente, non fosse che per il fatto che ad esso parteciparono gli stessi Apostoli (San Pietro, San Paolo, San Barnaba, San Giacomo), che quanto a chiarezza non avevano certo rivali. Quanto alla soluzione pastorale, questa è un’interpretazione da scuola Radio Elettra: si legga i Padri e veda come commentano i fatti, senza tirar fuori il ciarpame modernista
Concludo invitando Lei e gli altri lettori, prima di esprimere giudizi temerari ed impancarvi a petulanti censori altrui, a chiedervi se siete proprio sicuri delle vostre argomentazioni. Evitereste di esporvi, oltre che al ridicolo, anche alla pubblica deplorazione per le sesquipedali lacune del vostro tristo bagaglio culturale à la Ravasi.
Ben detto.
Io fossi in Lei lascerei da parte la pazienza e lo spirito di cristiana sopportazione.Quando ci vuole ci vuole .Tanta è la sicumera e la sesquipedale presunzione di taluni “teologi” à la carte.
Il destinatario incassi e si prepari meglio.